Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Più armi a Zelensky, panico a sinistra Commento di Marco Patricelli
Testata: Libero Data: 13 ottobre 2025 Pagina: 1/7 Autore: Marco Patricelli Titolo: «Trump ora vuole la pace a Kiev. Panico per la sinistra»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/10/2025, a pag. 1/7 con il titolo "Trump ora vuole la pace a Kiev. Panico per la sinistra", il commento di Marco Patricelli.
Marco Patricelli
Trump, fatta la tregua a Gaza, adesso ci prova con l'Ucraina. Non sarà facile. Se però ci riesce, sarà solo perché darà più armi a Kiev, non grazie alla sua amicizia con Putin. Su questo punto, la sinistra è fuori dal mondo, perché la sua "mobilitazione delle coscienze" che ha danneggiato Israele, non serve a fermare l'invasione russa dell'Ucraina. Ma anche la destra si illude se pensa che smettendo di fornire armi a Kiev si possa ottenere una tregua con Putin, il cui obiettivo è chiaro ed è quello di invadere tutta l'Ucraina (e magari procedere anche in altri paesi).
Per avere la pace anche in Ucraina un paio di cose sono da escludere: la missione di una Global Opir/Soprotivleniye Flotilla, per declinare la parola resistenza che fa sempre chic anche se non fa nulla; la mobilitazione di piazza e lo sciopero generale come ai bei tempi delle bandiere rosse e della Piazza Rossa, anche se il compagno Maurizio Landini non saprebbe che vessilli sventolare e contro chi. E poi all’ex compagno Vladimir Putin non andrebbero a genio né l’una né l’altra cosa: la prima la farebbe accogliere dalla Flotta del Mar Nero secondo il rude stile sovietico, la seconda non lo smuoverebbe di un passo dai suoi piani. Gira e rigira, di fronte all’inconsistenza del nanetto afono europeo e dello stillicidio ucraino, l’unico a poter fare davvero qualcosa è il baubau della sinistra italiana, quel Donald Trump che si muove sugli scenari internazionali con la grazia di John Wayne nei saloon del Far West. Questione di rapporti di forza. Ci ha già provato a fare lo sceriffo nel summit in Alaska, terra di frontiera, esortando a posare il winchester, ma stavolta solo lui potrà alzare la voce sul riottoso e pervicace amico Vladimir che, pur blandito e accarezzato, non ha né promesso né raffreddato i venti di guerra e anzi li ha rinfocolati. Era scontato. E quando Bruxelles ha pigolato sugli sconfinamenti veri o presunti di aerei e droni, il molosso da guardia Lavrov ha abbaiato. Zitti e Mosca. È chiaro che ci vuole altro per fermare quel conflitto che non è né l’Operazione militare speciale per estirpare il nazismo in Ucraina, come ipocritamente sostenuto dalla propaganda russa, né tantomeno la difesa dei valori democratici europei, come avventurosamente spacciato dalla vulgata a dodici stelle.
L’Ucraina ha perso un quinto del territorio che non potrà mai recuperare con la forza delle armi, e nel frattempo non è entrata nell’Unione e neppure nella Nato come si vagheggiava spacciando i desideri per realtà. Putin, nello stesso frattempo, non è morto e neppure è stato aggredito da una malattia letale, e l’economia russa non è crollata sotto i colpi guantati delle sanzioni, talmente tanti pacchetti che l’Europa ha perso il conto pur rivelandosi un solo unico pacco autolesionista. Anche a condizionatori spenti, come sosteneva Mario Draghi che non poteva ricorrere all’immagine della scelta tra burro e cannoni, l’orso russo non è andato in letargo.
In assenza di attori che si credevano protagonisti e invece hanno recitato da comprimari e da comparse nel Vecchio continente politicamente decrepito e militarmente velleitario, c’è un solo uomo di statura a poter confermare l’assioma storico che la pace si impone e poi si fa; che la pace giusta non esiste; che la diplomazia utopistica non basta; che è pia illusione che le mobilitazioni di piazza siano uno strumento di pressione.
Quell’uomo è Trump, che ha preso per un orecchio Netanyahu e per la collottola Hamas smorzando i furori bellici e di martirio a Gaza, e che ha già detto a Zelensky che nella sua situazione non ha più carte da giocarsi e la partita va chiusa il prima possibile limitando i danni. La guerra o si vince o si perde, e solo l’Italia si illuse di pareggiarla l’8 settembre 1943 precipitando in un disastro dal quale non si è mai completamente ripresa quanto a coscienza e coesione nazionale.
Se Trump riuscirà nella missione impossibile di far tacere le armi in Ucraina, prima di una missione di Greta e dei velisti con aiuti umanitari, prima di uno scioperetto qualsiasi per la pace, prima di un treno regionale transadriatico fino a Kiev, allora per la sinistra sarà una débâcle ideologica. Perché è quella che si innamora delle cause perse e perde le cause assieme alla trebisonda, e pure quella che viene puntualmente spiazzata e battuta dalla storia. Si è scoperta pro Pal e antisemita con un giro di valzer, e dopo aver idolatrato Obama premiato sulla fiducia col Nobel per la pace e poi impegnato a raffica sugli scenari di guerra si potrebbe ritrovare a ballare la quadriglia della contemporaneità sotto la direzione dell’aborrito presidente a stelle e strisce col ciuffo, che la pace la tira per i capelli senza aver avuto il Nobel.
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