Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Il trionfo di Netanyahu può risvegliare l’Occidente e i suoi princìpi, dimenticati dalla sinistra Editoriale di Claudio Velardi
Testata: Il Riformista Data: 12 ottobre 2025 Pagina: 1 Autore: Claudio Velardi Titolo: «Il trionfo di Netanyahu può risvegliare l’Occidente e i suoi princìpi, dimenticati dalla sinistra»
Riprendiamo dal RIFORMISTA del 10/10/2025, a pagina 1, l'editoriale del direttore Claudio Velardi dal titolo: "Il trionfo di Netanyahu può risvegliare l’Occidente e i suoi princìpi, dimenticati dalla sinistra".
Claudio Velardi
I media occidentali per due anni hanno raccontato la guerra di Gaza con le parole e le immagini imposte dai terroristi. Ora che la pace si festeggia a Gaza come a Gerusalemme, quegli stessi media restano sconcertati. Scoprono che Netanyahu ha realizzato ciò che i suoi detrattori giudicavano impossibile: sta liberando gli ostaggi, ha fiaccato Hamas, ha mantenuto l’unità del Paese e imposto all’agenda mondiale la questione della sicurezza israeliana.
Quando finisce una guerra, per prima cosa bisogna rendere gli onori delle armi agli sconfitti. E non c’è dubbio che sul gradino più alto del podio dei perdenti vadano collocati i media dell’Occidente, i poteri forti del nostro tempo, che per due anni hanno raccontato la guerra di Gaza con le parole e le immagini imposte dai terroristi. Hanno rilanciato le cifre di Hamas, amplificato i video di Al Jazeera, costruito intere narrazioni su scene false e manipolate, diffuse attraverso la rete di disinformazione che corre sui social e spesso parte da Mosca o da Pechino. Si sono fatti megafono di un racconto che trasformava i carnefici in vittime e Israele in aggressore.
Ora che la pace si festeggia a Gaza come a Gerusalemme, quegli stessi media restano sconcertati. I loro pensosi editorialisti, gli inviati da scrivania e gli opinionisti col ditino alzato non sanno spiegare perché la realtà non si sia conformata ai loro desideri. Niente di nuovo: in genere non ci azzeccano mai. A ruota segue una corrente politica globale che, in mancanza di un pensiero autonomo, prende ordini dai media. È la sinistra che, dopo aver — nel bene e nel male — dominato il Novecento, si è accucciata a difesa di una visione del mondo conservatrice e perbenista, fatta di parole d’ordine consunte e distanti mille miglia dalla realtà. Così non ha visto la guerra scatenata il 7 ottobre 2023 da feroci terroristi islamisti contro l’Occidente: ha saputo solo condannare la risposta di Israele, mossa in nome di principi universali di civiltà oltre che della propria sopravvivenza. E negli ultimi due anni il suo racconto si è allontanato sempre più dal mondo vero, riempiendosi di simboli e feticci minoritari: fenomeni di onanismo politico, dalle crociate di Greta allo gnegne della Albanese, passando per flottiglie folcloristiche e scioperi generali indetti sul niente.
Il terzo gradino del podio è vuoto, ma spetta di diritto alla Grande Assente. Nemmeno nominata da Trump nei ringraziamenti di ieri, l’Europa — che doveva essere culla della pace — è oggi ridotta a coro morale, spettatrice impotente, incapace di incidere sulla storia. Bruxelles continua a discettare di diritti e umanitarismo (e a spaccarsi sui burger vegani) mentre la realtà si sposta altrove. La pace si fa senza di noi. E meno male che almeno l’Italia, con Giorgia Meloni, si è chiamata fuori dal lamento rituale delle prefiche continentali, prigioniere del loro immobilismo. Onore ai perdenti, dunque, anche se continuano a intorbidire le acque per non ammettere che a vincere la guerra sono stati i loro due nemici giurati. Politicamente scorretti, aggressivi, urticanti. In una parola: di destra.
Il primo vincitore si chiama, senza ombra di dubbio, Bibi Netanyahu. Senza la forza militare di Israele, la sua coesione sociale e la capacità di resistere a un assedio politico e mediatico senza precedenti, questa guerra non sarebbe finita. Netanyahu ha realizzato ciò che i suoi detrattori giudicavano impossibile: sta liberando gli ostaggi, ha fiaccato Hamas, ha mantenuto l’unità del Paese e imposto all’agenda mondiale la questione della sicurezza israeliana come condizione di ogni futuro accordo. Ha dimostrato che la fermezza, non la debolezza, apre la strada alla pace.
Il secondo vincitore è Donald Trump. Con il suo stile rutilante e caotico, sta dando una nuova forma alla leadership politica. Ha deciso, ha imposto, ha chiuso l’accordo. Ha costretto i Paesi arabi a scegliere: stabilità o caos, costruzione o fanatismo. È una vittoria diplomatica sorprendente, che riscrive la mappa mediorientale nel segno della convenienza reciproca e di un nuovo equilibrio possibile.
Il terzo vincitore è l’Occidente, ma a sua insaputa. Grazie alla solidità di Israele e al ritrovato ruolo americano, può tornare a respirare. Ritrova un bastione democratico nel cuore instabile del mondo, una diga contro il fanatismo e la propaganda. Ma deve capire che questa vittoria che Israele ci ha regalato non è solo geopolitica: è culturale, morale, civile. Perché la forza dell’Occidente non sta nei carri armati, ma nella consapevolezza dei propri valori — libertà, democrazia, diritti civili — e nella capacità di difenderli senza complessi. L’accordo firmato ieri non è perfetto, ma è vero. Chi lo disprezza o lo minimizza, lo fa perché non vuole riconoscere queste elementari verità.
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