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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Giornale Rassegna Stampa
12.10.2025 Le lodi a Donald e i meriti di Netanyahu negati per ideologia
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 12 ottobre 2025
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Le lodi a Donald e i meriti di Netanyahu negati per ideologia»

Riprendiamo da IL GIORNALE di oggi 12/10/2025 a pag. 6 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Le lodi a Donald e i meriti di Netanyahu negati per ideologia".


Fiamma Nirenstein

Lodi a Trump per denigrare Netanyahu, l'ultima strategia comunicativa per condannare Israele. Perché l'ideologia dominante è contro il premier israeliano, al punto da riabilitare il "mostro" Trump. Ma se non fosse stato per Netanyahu, Israele sarebbe ancora circondato da nemici che ne vogliono la distruzione.

È difficile sottrarsi all’impressione che il florilegio di lodi a Trump per il piano di pace che muove i suoi passi neonati siano dettati solo da ammirazione, o da approvazione pacifista verso il presidente americano. In genere si dice che il merito della pace è tutto suo, anzi, che vi ha costretto Netanyahu. Ma il Primo ministro israeliano è oggetto continuo di opposizione ideologica, di fissazione politica, di insulti, e l’occasione di proseguire nella negazione dei suoi meriti lodando Trump, è evidente. Pace e Netanyahu non sono due parole che possano andare insieme. In realtà certo, Trump si merita tutte le lodi; ma Netanyahu ne merita altrettante se non di più: mette in gioco il futuro del suo Paese, la propria immagine, la conclusione della biografia di uno statista che ha subito la terribile torsione del 7 di ottobre in una pace traumatica, che comprende la liberazione di terribili terroristi con migliaia di morti sulla coscienza, e il ritiro dell’esercito mentre ancora Hamas non ha consegnato le armi. Ma tutto è graduale e soggetto al rispetto degli accordi, e  il contraccambio è enorme: si sfila dalle mani di Hamas il suo principale bene, la detenzione di tutti gli ostaggi. E qui si registra un punto a favore della strada maestra che ha portato all’accordo, ovvero la pressione militare su Gaza City di cui tutti avevano paura; la forza di Netanyahu nel continuare a sostenere nonostante il parere di Witkoff che, incaricato da Trump, si accontentava di un accordo parziale, la necessità di portare a casa tutti i rapiti, vivi e morti, in una volta.

Netanyahu ha seguito strade impossibili, impervie, sin dal tempo di Biden, quando la proibizione di andare a Rafah chiudeva la strada alla caccia a Sinwar, che poi è stata completata; quando il bando dallo Tzir Filadelphi ha invece, catturato, chiuso la strada a rifornimenti di uomini e armi dall’Egitto. Netanyahu ci è andato contro Biden: siamo al tempo in cui disse “combatteremo con le unghie e coi denti” sfidando il taglio delle armi. Di fronte all’attacco degli Hezbollah, fronte sciita definitivo coi loro 200mila missili, barriera contro ogni attacco, Netanyahu entra in Libano, ordina la missione dei cercapersone, elimina Nasrallah; di fronte all’impresa Iraniana, Netanyahu è da solo, contro tutti, con una buia previsione di caos. Ma gli F15 e 16 vanno a Teheran, e solo la seconda volta Trump si unisce all’impresa. Più avanti l’attacco a Doha porta finalmente il Qatar a capire che Israele non sopporta più il suo falso ruolo di mediatore, e che sarà meglio che si decida a spingere Hamas. Trump ci mette del suo. Le scuse di Netanyahu sono un mezzo per cui la coalizione per premere Hamas si consolida.

E veniamo a Trump: lungi dall’aver costretto Netanyahu a piegarsi a un suo disegno di pace tipo Biden (cessate il fuoco, e restate con Hamas alle porte), il presidente si è posto a fianco degli interessi israeliani, capendo che sono i suoi. Minaccia Hamas di distruzione; si impegna per i rapiti; incita Israele alla pressione militare; aiuta, non recrimina, nella distribuzione degli aiuti umanitari. Dà, con Netanyahu, la botta fatale alle strutture iraniane che minacciano tutto il mondo; sta con Bibi quando chiede tutti gli ostaggi e rifiuta l’accordo parziale. Trump con la sua forza ha spinto il Qatar, la Turchia, l’Egitto e altri cinque stati musulmani a fiancheggiare l’accordo, ma è l’atteggiamento mediorientale di Israele che dice “con me non si scherza” che convince alla convenienza di una grande pace futura. Da essa sono esclusi i Paesi e i gruppi terroristi legati all’Iran.

E anche l’Europa, se non si sveglia. In vista forse del Nobel l’anno prossimo, forse Trump capirà che le ragioni di Zelensky sono anche le sue e del ruolo americano di pacificatore nel mondo.   

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