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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Informazione Corretta Rassegna Stampa
11.10.2025 L’umanitario col cronometro
Commento di Daniele Scalise

Testata: Informazione Corretta
Data: 11 ottobre 2025
Pagina: 1
Autore: Daniele Scalise
Titolo: «L’umanitario col cronometro»

L’umanitario col cronometro
Commento di Daniele Scalise 

 
Daniele Scalise

L'indignazione si accende all'istante quando viene colpita Gaza. Ma quando ad essere attaccati sono gli ebrei, allora iniziano i "distinguo", le "verifiche" e il "contesto"

C’è un dolore che si misura a tempo. Un dolore con il cronometro in mano: si accende all’istante quando c’è Gaza, si ferma di colpo quando c’è un ebreo aggredito in Europa. È un dolore organizzato per finestre emotive, sincronizzato con gli hashtag e con gli anniversari della memoria.

Sui social la bussola morale cambia direzione ogni settimana. Quando l’attenzione è su Gaza, il bravo cittadino trova subito la voce giusta: parole accorate, indignazione pronta, immagini condivise. Ma quando tocca a una sinagoga imbrattata, a un ragazzo picchiato sul tram, a una scuola ebraica evacuata per una minaccia, allora improvvisamente l’orologio si ferma. Cominciano le formule di sempre: “verifiche in corso”, “non generalizziamo”, “non strumentalizziamo il dolore”. La stessa platea passa così dalla corsa all’apnea: sprint e poi silenzio.

È un meccanismo rodato. L’umanitario col cronometro vive di sincronismi. Quando parte l’allarme emotivo, corre. Quando l’allarme riguarda l’odio antiebraico, guarda altrove, preferibilmente lontano, preferibilmente senza nomi. In questi casi, l’indignazione non scompare: cambia tono. Diventa burocratica. “Condanniamo ogni forma di violenza, ma…” — e quel “ma” è sempre un segnale d’arresto. Scatta solo quando la vittima è sbagliata per il racconto. Allora servono “i contesti”, “le sfumature”, “la prudenza”. È così che funziona: urgenza quando si può accusare la parte comoda, cavillosità quando si rischia di toccare l’antisemitismo di casa.

Anche le parole seguono un ritmo preciso. Si dice “strage” quando conviene, “tensioni” quando non conviene. “Pogrom” se è nei libri di storia, “scontri” se accade oggi. “Solidarietà” quando c’è la folla in piazza, “vicinanza” quando si tratta di esporsi senza corteo. “Mai più” nei giorni comandati, “non esasperiamo” il giorno dopo. Le parole marciano a tempo, non a verità.

Gli anniversari diventano allora promemoria di coscienza: si posa il fiore, si accende la candela, si cita la lezione di storia. Poi tutto torna com’era. Il bullismo antiebraico è un eccesso di sensibilità, la svastica in metro una bravata, l’invito a non portare la kippah una misura di prudenza. Il calendario diventa una maschera: un giorno l’anno inflessibili, gli altri trecentosessantaquattro elastici.

E il risultato si vede. Questo metronomo morale insegna due lezioni. Primo: la gerarchia del dolore esiste e la decide l’algoritmo. Secondo: non contano i fatti, conta la scena. Così si impara che l’antisemitismo europeo è solo rumore di fondo, mai la traccia principale. È una forma di cecità educata: si vede ciò che guardano tutti, si ignora ciò che richiede coraggio.

Ecco tre esempi pratici. Prima frase a cronometro: “Condanniamo tutte le violenze, ma oggi pensiamo alla pace.” Versione onesta: “Ieri a Milano un ebreo è stato aggredito. Lo diciamo, lo nominiamo, chiediamo protezione. E poi parliamo di pace.”
Seconda frase a cronometro: “Non alimentiamo polarizzazioni.” Versione onesta: “Questa svastica su una scuola è antisemitismo. Punto. La condanna non divide: chiarisce.”
Terza frase a cronometro: “Non è il momento dei bilanci.” Versione onesta: “È sempre il momento dei bilanci quando qualcuno viene aggredito per ciò che è. La prudenza senza parole è fuga.”

Esistono antidoti? Sì. Bisogna rompere il ritmo, non farsi guidare dall’orologio emotivo. Nominare gli autori, non solo i dolori. Tenere aperta la finestra anche quando gli applausi finiscono. Pretendere simmetria: se una causa merita piazza e voce, lo merita anche un bambino che toglie la collanina con il Magen David per paura. E soprattutto, fare manutenzione alla memoria: meno anniversari-spettacolo, più attenzione quotidiana nelle scuole, nei cortili, nelle bacheche.

Non si chiede di cambiare parte, ma di cambiare metrica. Chi tiene ostaggi, chi rompe tregue, chi incita all’odio va chiamato per nome sempre, non solo quando conviene. E chi subisce minacce e aggressioni va difeso ogni giorno, non soltanto nel rito del ricordo.

L’umanitario col cronometro è allenato all’intermittenza: scatta, corre, si ferma, dimentica. La postura adulta fa l’opposto: respira, verifica, nomina, insiste. E non teme il silenzio tra un hashtag e l’altro. È lì che si misura la serietà: nel tempo morto, quando l’attenzione non porta like e la decenza non ha sponsor.


takinut3@gmail.com

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