Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
«Io, padre dell’ostaggio liberato, mi chiedo perché l’Occidente si rivolta contro Israele» Intervista di Lorenzo Vita a Jonathan Dekel-Chen
Testata: Il Riformista Data: 08 ottobre 2025 Pagina: 4 Autore: Lorenzo Vita Titolo: ««Io, padre dell’ostaggio liberato, mi chiedo perché l’Occidente si rivolta contro Israele»»
Riprendiamo dal RIFORMISTA del, 08/10/2025, a pagina 4, l'intervista di Lorenzo Vita a Jonathan Dekel-Chen: «Io, padre dell’ostaggio liberato, mi chiedo perché l’Occidente si rivolta contro Israele».
Lorenzo Vita
Jonathan Dekel-Chen (al centro), padre di Sagui, ora tornato in libertà dopo 498 giorni nelle mani di Hamas
Due anni dopo il 7 ottobre, Jonathan Dekel-Chen vive ancora il dolore di quella giornata come una ferita difficile da rimarginare. Suo figlio Sagui è stato liberato nell’ultimo accordo tra Israele e Hamas dopo 498 giorni di sequestro. Ma molte persone del suo kibbutz, Nir Oz, sono ancora nella Striscia di Gaza.
Come si sente dopo due anni?
«A livello del tutto personale, sono profondamente grato che mio figlio sia tornato. Ma questo è un promemoria quotidiano di due cose: dei 48 ostaggi rimasti e della catastrofe avvenuta a Nir Oz il 7 ottobre.
Dei 48 ostaggi, nove provengono dal nostro kibbutz, dalla nostra piccola comunità. Le nostre case sono state distrutte. Ci hanno portato via il nostro stile di vita. Decine di persone sono state assassinate e molte prese in ostaggio. E tutto questo in una comunità di poco più di 400 persone.
Quindi stiamo ancora lottando e potremo davvero riprenderci, guarire ed elaborare il lutto solo quando tutti gli ostaggi saranno tornati a casa.»
Cosa ricorda di quei momenti del 7 ottobre?
«L’unica ragione per cui possiamo parlare ora è che non ero nel kibbutz in quel momento. Ero negli Stati Uniti per partecipare a una conferenza. Ho saputo di cosa stava succedendo solo verso le 6.30 del mattino a Baltimora, negli Stati Uniti.
Avevo mio figlio, mia figlia con la sua famiglia e la mia ex moglie nel kibbutz.»
Una famiglia colpita al cuore. Ma possiamo immaginare un’intera comunità.
«Sì, bisogna anche capire che siamo un piccolo kibbutz, una piccola comunità. In un certo senso, tutti quanti i suoi abitanti sono la mia famiglia allargata.
Ho vissuto con queste persone per 45 anni. E quindi, anche se non siamo legati da vincoli di sangue, questa è una grande famiglia. È molto tipico di un kibbutz, ma in particolare di quelli più piccoli e periferici del Paese.»
In questi giorni si attende l’esito del negoziato in Egitto. Come può descrivere i momenti precedenti la liberazione di suo figlio?
«Una volta annunciato l’accordo, circa una settimana prima (o forse anche meno) del suo rilascio, abbiamo ricevuto la notifica che Sagui sarebbe stato effettivamente liberato.
C’era un’enorme aspettativa, agitazione e preoccupazione perché non sapevamo in quali condizioni si trovasse. Camminava? Non lo sapevamo. Era mentalmente e spiritualmente sano? Non potevamo saperlo. Non eravamo sicuri nemmeno che fosse vivo.
Sapevamo che era stato ferito il 7 ottobre e ci era stato confermato anche dagli ostaggi rilasciati alla fine del 2023 che lo avevano incontrato durante la prigionia. Ma da allora era passato più di un anno.
Inoltre, quelle che avevamo visto nelle settimane precedenti erano immagini di persone consegnate in condizioni terribili. Molti di loro provenivano da Nir Oz.
Era quindi incredibilmente spaventoso pensare a cosa fosse successo a loro e a cosa fosse successo a Sagui. Per cui eravamo molto preoccupati anche per la sua sicurezza, anche durante quelle cerimonie infernali create da Hamas.»
Cosa dice ai familiari degli ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas?
«Parlo con loro spesso, li conosco, sono di qua. Quello che dico loro è di mantenere la fede.
Il governo israeliano spesso non è sembrato concentrarsi sul riportare a casa gli ostaggi, è vero. Ma i cittadini vogliono solo riportare a casa i rapiti e fermare questa guerra.
Poi certo, per molti di loro è solo un conforto parziale perché alcuni ostaggi sono stati assassinati.
Come si può confortare un familiare di qualcuno il cui corpo è a Gaza da due anni? Non esistono parole giuste.»
Lei è in America, dove le proteste per Gaza sono molto forti. Come percepisce oggi gli Stati Uniti e il mondo rispetto al giorno dopo il 7 ottobre?
«L’opinione pubblica – in generale in Occidente – si è rivoltata contro Israele e chiede un cessate il fuoco. E io, in un certo senso, lo capisco, perché la sofferenza a Gaza è reale.
Ma è anche vero che l’8 ottobre 2023 ci sono state manifestazioni pro-Israele, ma anche manifestazioni pro-Hamas e anti-Israele. E dobbiamo ricordarlo.
Ci sono molti motivi per cui il sentimento anti-israeliano nel mondo è diffuso. Sicuramente molti sono genuinamente a favore dei palestinesi, ma pochi sembrano disposti a concentrarsi sull’unico modo per porre fine alla guerra.»
Ovvero?
«Questo risultato si ottiene non facendo pressione su Israele, boicottandolo o condannandolo, ma convincendo Hamas a rilasciare gli ostaggi.
Questi non sono prigionieri, sono ostaggi, e nel momento in cui saranno restituiti, la guerra finirà e la popolazione di Gaza non dovrà più soffrire e potrà in qualche modo iniziare a ricostruire la propria vita.
E quindi, ancora una volta, pur comprendendo totalmente la sofferenza dei cittadini di Gaza, in gran parte vittime di Hamas, ho meno pazienza con i manifestanti di tutto il mondo che hanno semplicemente scelto di dimenticare come è iniziata questa guerra e come può davvero finire.»
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