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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa Rassegna Stampa
07.10.2025 Nonostante lo scriva su La Stampa, Elena Loewenthal risponde per le rime ad Anna Foa e Ilan Pappé
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 07 ottobre 2025
Pagina: 26
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Israele e sionismo gli errori di Pappé»

Riprendiamo dalla STAMPA del 06/10/2025, a pag. 26, con il titolo "Israele e sionismo gli errori di Pappé" il commento di Elena Loewenthal.


Elena Loewenthal

Lo storico israeliano Ilan Pappé, come Anna Foa prima di lui, decreta "la fine di Israele". Elena Loewenthal smonta le sue tesi principali contro il sionismo, che lo storico comunista vede come movimento razzista e suprematista destinato all'estinzione. La Loewenthal ricorda che il sionismo presuppone l'impegno a convivere con gli arabi, sin dalla nascita dello Stato di Israele nel 1948. Il disegno di annientare lo Stato ebraico è semmai quello degli arabi che lo hanno attaccato dal giorno in cui ha proclamato l'indipendenza. E per gli ebrei non c'è alternativa a Israele: il suo eventuale annientamento sarebbe una catastrofe irreparabile. Strano che La Stampa pubblichi un articolo così equilibrato e puntuale, dopo aver lasciato spazio alla peggior propaganda anti-sionista.

C'è qualcosa di surreale nell'invocazione da più parti alla fine d'Israele. La gridano gli striscioni che nelle manifestazioni di massa chiamano il 7 ottobre resistenza palestinese, urlano dal mare al fiume, dichiarano che Israele non ha diritto di esistenza. Questa negazione di uno Stato e della sua realtà viene declinata non solo nei cortei o sui social ma anche in dibattiti televisivi o più o meno filosofici, su copertine di libri. Anna Foa scrive Il suicidio di Israele senza punto interrogativo in fondo.

Ilan Pappé pubblica oggi in italiano La fine d'Israele. E anche qui, nessun dubbio, nessuna incertezza. Israele finisce, finirà o è già finito. Israele è l'unico Paese al mondo del quale si possa pronunciare la morte con l'evidenza incontrovertibile dell'affermazione. E viene da chiedersi perché mai tanta sicurezza sull'insostenibilità di questo Paese. Sul fatto che non abbia futuro. Che o si sta suicidando o sta morendo, comunque è alla fine. Tutto questo viene prima e va al di là del conflitto in corso. Anzi: la fine d'Israele non è la conseguenza del conflitto, ma viceversa. Il conflitto è il segno che Israele è un Paese finito, per mano sua o altrui o di una non ben definita istanza storica o etica o chissà.

Pappé sbaglia dicendo che Israele non ha mai riconosciuto gli arabi, i vicini, i conviventi su quel pezzo di terra. L'auspicio e l'impegno a tutto questo stanno scritti nella dichiarazione d'indipendenza letta a voce alta da Ben Gurion il 14 maggio del 1948, poche ore prima che tutti i Paesi arabi dichiarassero guerra a Israele perché esisteva. Pappé sbaglia sostenendo che il 99% degli israeliani manco sa l'arabo, che è seconda lingua e molto spesso obbligatoria nelle scuole medie e superiori del Paese. Prima lingua, ovviamente, nel sistema scolastico parallelo della minoranza araba israeliana. Senza contare il fatto che la maggioranza degli israeliani è discendente degli ebrei cacciati dai Paesi arabi a partire dal 1948 – la nabka dimenticata, un milione di profughi dal Marocco all'Iraq, dall'Iran alla Libia. Loro stessi si definiscono "ebrei arabi"...

Ma il punto non è soltanto questo. Chi invoca o constata la fine d'Israele solitamente addita il sionismo come la madre di tutte le colpe. In un certo senso è vero che il sionismo è finito. Ha ottenuto il suo obiettivo: trovare e costruire una patria per gli ebrei. Il sionismo è finito così come è finito il Risorgimento. Eppure il sionismo è chiamato in causa come la radice di tutti i mali. Come se lo Stato d'Israele, cioè l'esito del movimento sionistico, fosse il frutto malato di una malattia.

Allora, sempre per assurdo, poniamo il caso che sia così. Che lo Stato ebraico sia cancellabile. Che Israele sia alla fine, come dice Pappé. Che abbia commesso o stia commettendo un suicidio, come dice Foa. Che non abbia diritto di esistenza, come proclama una certa sedicente resistenza palestinese da prima del 7 ottobre, anzi dal 1948. Che si fa? Dove li mettiamo gli otto milioni di israeliani ebrei e i due milioni e mezzo di israeliani arabi (mussulmani e cristiani)? Li deportiamo tutti? E la giurisdizione del defunto Stato ebraico a chi passa? Chi lo governa? Hamas? L'Anp che ha già il suo da fare nei territori dell'Autonomia palestinese e si è subito chiamato fuori da Gaza? Una potenza coloniale, sempre che ne esistano ancora? La questione non è da poco. Chi auspica o profetizza la fine di Israele dovrebbe farci i conti. A meno che non sia tutto un perverso gioco retorico, una deliberata ignoranza di quella realtà dove oggi si vive e si muore e si spera nel presente ma anche nel futuro. 

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