Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Altro che la meglio gioventù. Questa è l’Italia peggiore Newsletter di Giulio Meotti
Testata: Newsletter di Giulio Meotti Data: 07 ottobre 2025 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Altro che la meglio gioventù. Questa è l'Italia peggiore»
Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Altro che la meglio gioventù. Questa è l'Italia peggiore".
Giulio Meotti
Lo striscione che inneggia ai terroristi del 7 ottobre, alla manifestazione di Roma. Clicca sulla foto per il parlato di Giulio Meotti
Evidentemente non si comprende la gravità del momento. Soltanto in Italia tutti i partiti dell’opposizione sono scesi in piazza dietro slogan e bandiere a favore del terrorismo. In Francia ci trovereste soltanto la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon; in Germania non ci trovereste mai i Socialdemocratici (forse neanche la Linke) o in Inghilterra il Labour post-Corbyn (al massimo Mothin Ali, il fanatico islamico appena eletto vice dei Verdi britannici).
In Italia si va dal PD alla sinistra di Fratoianni e Bonelli passando per l’avvocato del M5S. Campo largo, larghissimo.
Ci sono almeno una decina di episodi vergognosi che avrebbero dovuto spingere i capi di questi partiti a dissociarsi, condannare e uscire dai ranghi di una macchina del terrore morale e politico che devo ancora capire come fa a essere così organizzata e finanziata.
Fra gli striscioni: “7 ottobre giornata della Resistenza palestinese”, inno agli attentati di Hamas. E bandiere dell’organizzazione terroristica.
Si marcia per la pace e per l’odio direbbe George Orwell.
Perché paragonano Gaza alla Shoah? Non per ignoranza, lo fanno perché vogliono che Gaza rimpiazzi la Shoah, così potranno smettere di fingere di rispettare gli ebrei e saranno liberi. Il 7 ottobre è la loro Festa della Liberazione, la Liberazione dalla Memoria.
Dimenticate il rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, che conferisce la laurea honoris causa a Suad Amiry, attivista e scrittrice palestinese, che dice che ad Hamas va riconosciuto “il grande merito storico di aver riportato al centro dell’agenda mondiale la questione della Palestina”.
Dimenticate quanto appena successo al teatro Valli di Reggio Emilia.
Fischi, urla e una strigliata davanti a centinaia di persone dalla relatrice dell’Onu Francesca Albanese per Marco Massari, sindaco di sinistra dal giugno 2024. Alla cerimonia di consegna del Tricolore ad Albanese, un intimorito e sottomesso Massari ha detto: “La liberazione degli ostaggi è una condizione necessaria per avviare per quanto possibile un processo di pace”.
Partono i “vergognati” dal pubblico. Albanese si copre il volto e scuote la testa, per poi dire, sorridendo: “Il sindaco si è sbagliato e ha detto una cosa che non è vera, il sindaco non lo giudico, lo perdono, però mi deve promettere che questa cosa non la dice più”.
Dimenticate che ai convegni del Partito Democratico sia invitata Alae Al Said, altra scrittrice e attivista palestinese, che ha scritto il 7 ottobre: “Una mattina d’autunno ti svegli e scopri che la Storia ha impugnato una penna e ha deciso: ‘Oggi scrivo il capitolo più bello di tutti: quello della rinascita palestinese’”.
Comparse liquidabili rievocando gli slogan che nelle piazze italiane erano molto gettonati, come “camerata, basco nero, il tuo posto è al cimitero” e “uccidere un fascista non è un reato, la lotta partigiana ce l’ha insegnato”.
Un pezzo di sinistra è tornata allo sdoganamento del terrorismo. Altro che Lameglio gioventù di Marco Tullio Giordana, peana a un’Italia che vagheggiava il bagno di purificazione della Resistenza mai finita.
Questa è l’Italia di cui vergognarsi.
Un gruppetto di indottrinati con ancora il latte alla bocca ieri brandiva lo striscione “fermiamo il sionismo con la resistenza” e l’immagine di un terrorista palestinese armato di kalashnikov.
L’inganno è svanito dopo che la loro posticcia maschera umanitaria è caduta: una parte di questo paese che ancora chiamiamo “Italia” confessa di volersi arruolare come contingente dei macellatori di Hamas.
Ma questo delirio maniacale non si fermerà agli slogan.
In Inghilterra hanno appena arrestato una donna, bianca e convertita all’Islam, per complicità nell’attentato alla sinagoga di Manchester.
Che fare?
I getterei Greta di Gaza e la sua banda narcisista, assetata di pubblicità e sostenitrice del terrorismo, in un tunnel buio e stretto per una o due settimane e lasciamo che scavino buche profonde. Niente panini, niente sole, niente bastoni per i selfie. Altro che cinque ore di fermo al porto di Ashdod.
E vieterei scioperi politici che flirtano con le parole d’ordine della Jihad.
Se uno stato di diritto, se una democrazia, se il liberalismo, non si difendono con gli strumenti a disposizioni, sono soltanto tigri di carta che saranno sbranate.
Già vent’anni fa cominciava a essere tardi. Ora non so più neanche a che punto siamo, forse già dopo mezzanotte.
È stato Michel Houellebecq a descrivere gli sviluppi nel suo romanzo Sottomissione. Pubblicato nel 2015, Houellebecq guardava al 2022.
Spesso, o quasi sempre, i grandi scrittori si sbagliano sulla data, perché si sottovalutano sempre le forze d’inerzia, ma raramente sul contenuto, sulle previsioni. Nel romanzo di Houellebecq, il politico musulmano Mohamed Ben Abbes sale al potere grazie al sostegno dei socialisti, che volevano impedire l’ascesa del Front National di Marine Le Pen. Una volta al potere, Ben Abbes agisce in conformità con i principi musulmani, sospendendo la costituzione laica e introducendo la sharia.
Bisogna allora leggere La Pieuvre de Téhéran (Éditions du Cerf), un nuovo libro in cui Emmanuel Razavi e Jean-Marie Montali descrivono i mezzi impiegati dall’Iran per diffondere i suoi messaggi in mezzo a noi.
L’ex agente di polizia francese Matthieu Ghadiri ha raccontato loro come mentre conduceva la vita apparentemente normale di uno studente, sia stato avvicinato dai servizi segreti iraniani. Gli hanno parlato delle sue origini iraniane, della grandezza dell’Iran, e lo hanno lusingato. E poi arriva la richiesta: vogliono che si infiltri nel Partito Socialista. Ma ciò che questi agenti iraniani non sanno è che questo giovane studente di origine iraniana lavora in realtà per la Francia e che si infiltrerà su suo ordine nella piovra iraniana. “Si rivolgono ai partiti politici per far passare le loro idee” racconta Ghadiri. “Una volta reclutati, la loro missione è quella di entrare in contatto con la sinistra, di partecipare alle riunioni. I servizi segreti iraniani possono anche reclutare studenti. Viene loro chiesto di entrare in contatto con associazioni, poi con i politici. Gli studenti sono uno degli obiettivi principali. Possono chiedere alle loro reclute di avvicinarsi ad associazioni filo-palestinesi o a reti legate ai Fratelli Musulmani, che sostengono Hamas. Quando mi reclutarono, fu per spiare e influenzare il Partito Socialista, al quale ero vicino”.
E ancora: “I servizi segreti iraniani contattano anche personaggi che non hanno legami familiari con l’Iran, ma che, ai loro occhi, godono di un’aura significativa negli ambienti giornalistici e diplomatici. Di tanto in tanto, queste persone vengono invitate a recarsi in Iran, con le spese di viaggio coperte”. Le foto in possesso di Razavi e Montali dimostrano che, dal 2013 al 2018, emissari di Teheran hanno utilizzato i locali del Partito Comunista Francese per tenere conferenze.
Tra loro c’è Seraj Mirdamady, collaboratore del Ministero degli Interni iraniano e cugino di Ali Khamenei. Esiste un metodo estremamente semplice utilizzato da quasi tutti i regimi totalitari: convincere un giornalista invitandolo a visitare il paese, adulandolo e fornendogli un visto giornalistico, in cambio del quale deve riferire sulla Repubblica Islamica dell’Iran, evitando critiche. Una volta lì, la maggior parte dei giornalisti autorizzati a recarsi a Teheran, Isfahan o Shiraz sono accompagnati da una guida agli ordini del Ministero dell’Informazione, che mostra loro ciò che è loro consentito vedere. Così, dalla rivoluzione “Donna, Vita, Libertà”, abbiamo assistito a un vero e proprio festival di reportage che a volte mostravano donne iraniane a capo scoperto o con veli inadatti, il che offriva un’immagine rassicurante, mentre migliaia di loro sono state arrestate negli ultimi tre anni e torturate per aver manifestato contro l’obbligo del velo islamico.
I colori della Palestina si estendono intanto lungo tutti i boulevard. Un “manifestante” che ha distribuito le bandiere è Shahin Hazamy, un attivista ben noto agli oppositori iraniani e alle autorità che si reca regolarmente in Iran. Originario di Cergy, si dichiara “portavoce della periferia”. Il 7 ottobre ha riconcentrato la sua attenzione sulla causa palestinese. Hazamy è stato visto ai funerali del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah in Libano lo scorso febbraio.
“Alcuni intellettuali godono della simpatia dell’ambasciata... Tuttavia, rimane difficile stabilire se questi discorsi derivino da convinzioni personali o da legami più profondi”, avverte un esponente dell’opposizione a Parigi a Le Point.
Nell’ultimo anno, l’ambasciata iraniana è stata molto affollata. Nel febbraio 2025 ha ospitato un gruppo di studenti provenienti da importanti università. All’inizio di giugno si è tenuta una conferenza sugli stessi argomenti alla Sorbona. Il manifesto presenta il logo dell’Istituto Qalam, con sede a Teheran. “La più grande forza dell’Iran è il suo soft power antisionista”, afferma Amélie Chelly, ricercatrice specializzata in Iran e Islam politico.
Matthieu Ghadiri, ex agente dei servizi segreti francesi, rivela: “Sono 40 anni che l’Iran si infiltra nella gauche attraverso la causa palestinese”.
I mullah stanno sfruttando le crepe della nostra società.
Il presidente del Salone del Libro di Torino, Massimo Braj, ex ministro della Cultura e direttore generale della Treccani, è volato a Teheran per incontrare il viceministro della Cultura iraniano Abbas Salehi, che ha detto che “la fatwa di Khomeini contro Rushdie è un decreto religioso che non perderà mai il suo potere” (lo si è visto a New York), è questione di opportunismo.
Per Gianni Vattimo, uno dei più apprezzati prodotti del “made in Italy” a livello intellettuale, andare ai festival della filosofia di Teheran è questione di antisemitismo.
Mentre per Toni Negri il fondamentalismo islamico è un grande alleato per “il suo rifiuto della modernità come arma dell’egemonia euro-americana”, dunque era questione di marxismo antioccidentale.
Nel 1955, in L’oppio degli intellettuali, Raymond Aron denunciò l’atteggiamento delle élite “spietate verso i fallimenti delle democrazie, indulgenti con i crimini più grandi, purché commessi in nome di buone dottrine”.
La storia si sta ripetendo, non come una farsa, ma come una vergogna.
Intanto nessuno, non uno, in quelle piazze ha chiesto la liberazione degli ostaggi israeliani.
Basta leggere l’intervista di Eli Sharabi al Telegraph, a cui i terroristi beniamini delle piazze italiane hanno ucciso la moglie e le due figlie: “In ogni discussione che abbiamo avuto con i terroristi, hanno detto di sognare di fondare un impero islamico che conquisterà il mondo intero. Nella loro mente, Israele non esiste, né Francia, Svezia o Gran Bretagna. ‘Tutto il mondo dovrebbe essere musulmano’, dicono. ‘Anche se la guerra finisce, torneremo il 7, 8, 9, 10 ottobre, e se vi rivedremo a Be’eri, questa volta vi uccideremo, non vi rapiremo’”.
E noi lasciamo che imam a Bologna inneggino al terrorismo per strada, fra gli applausi generali.
Ma visto che il muezzin ora risveglia la città sazia e rossa denunciata dal cardinale Biffi, la Bologna città pacifista, democratica, woke e antisemita, gli utili idioti imparino il Corano e a come sottomettersi. Perché soltanto la sinistra sembra non aver capito che la chiamata del muezzin non è come le campane di una chiesa, ma un mezzo dell’Islam per segnalare le terre cadute sotto al proprio dominio.
Un caro amico da Gerusalemme, iscritto alla newsletter, ieri mi ha scritto:
“Grazie per la solidarietà sincera di sempre. Spesso mi sembra di vivere un incubo e penso che presto mi sveglierò...ma non succede...Non avrei sinceramente mai immaginato che potesse succedere quello che sta succedendo...Quello che mi lascia scioccato è che gli Europei ci odiano così tanto da essere pronti a suicidarsi per sostenere gli Arabi. Grazie a D-o ci sei tu e altri a farmi tornare la speranza. Un abbraccio e fai attenzione a te. Sono molto serio. Questi bastardi sono i veri fascisti e sono pericolosi: proteggi te e i tuoi familiari”.
Ha ragione: c’è davvero da avere paura. E io non so per quanto ancora continuerò su questa strada della battaglia solitaria.
Prima o poi anche noi finiremo come Amsterdam, dove il 30 per cento della popolazione totale della città è scesa in piazza per il terrorismo.
Ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno.
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