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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio Rassegna Stampa
05.10.2025 Hamas senza l’arma dell’ambiguità, l’ultimatum prima dell’inferno
Analisi di Micol Flammini

Testata: Il Foglio
Data: 05 ottobre 2025
Pagina: 1
Autore: Micol Flammini
Titolo: «Trump detta i tempi e concede a Hamas 'l’ultima possibilità'»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/10/2025, a pag. 1/XV, con il titolo "Trump detta i tempi e concede a Hamas 'l’ultima possibilità'", l'analisi di Micol Flammini.

Micol Flammini
Micol Flammini

Hamas deve rilasciare gli ostaggi, oppure sarà "l'inferno, come non l'avete mai visto", come promette Trump, se il suo ultimatum non sarà rispettato. Il gruppo terrorista di Gaza, dopo due anni di guerra, è ormai ridotto all'ombra di se stesso.

Tel Aviv, dalla nostra inviata. L’attesa delle famiglie degli ostaggi per una risposta di Hamas al piano di pace proposto dal presidente americano Donald Trump è dolorosa e pungente. Sono quasi due anni, settecentoventinove giorni, che madri, padri, sorelle, fratelli e figli aspettano l’accordo definitivo. Dentro la Striscia, nelle mani dei terroristi rimangono quarantotto rapiti, circa venti sono vivi. Il piano di Trump prevede che vengano tutti riportati in Israele in settantadue ore. Da lunedì, quando Trump con il premier israeliano Benjamin Netanyahu al suo fianco e il sostegno dei leader del mondo arabo alle spalle ha annunciato i punti del piano, tutti in Israele si aspettavano che Hamas avrebbe risposto: “Sì, ma”. Così è stato, i terroristi hanno mandato il loro comunicato, accettando di aprire i negoziati, di rilasciare gli ostaggi, di favorire la transizione del potere, ma non hanno affrontato uno dei punti fondamentali: il disarmo imposto dal piano. Non è un “no”, ma un’apertura per continuare a negoziare e prendere tempo.

Ieri il presidente americano ha scritto sul suo social Truth un messaggio ai terroristi, ha dato loro una scadenza, “l’ultima possibilità”. Se entro le 18, ora di Washington, non sarà raggiunto un accordo, allora “l’inferno, come nessuno lo ha mai visto prima, si scatenerà su Hamas”. Nei punti presentati da Trump, c’è il riferimento chiaro al sostegno americano a Israele per continuare la guerra ed eliminare il gruppo. I leader del mondo arabo hanno accettato che questo ultimo sforzo per l’annientamento di Hamas avvenga. Dopo la minaccia, Hamas ha risposto, dicendo di apprezzare lo sforzo di Trump e dei leader della regione. Su Truth, il presidente americano ha scritto che venticinquemila miliziani sono già stati eliminati, agli altri offre la possibilità di salvarsi, accettando l’accordo. Hamas è l’ombra di quell’esercito che è stato capace di organizzare e portare a termine il 7 ottobre, ma ancora esiste, lancia razzi contro Israele, attacca i soldati nella Striscia, amministra la vita dei palestinesi sfiniti e detiene gli ostaggi: in una delle ultime dichiarazioni, un combattente delle brigate al Qassam di Hamas ha detto che per fermare l’avanzata israeliana dentro alla città di Gaza, gli ostaggi sarebbero stati spostati per fare da scudo all’organizzazione. L’ultimatum di Trump era necessario, Hamas è convinto di poter gestire il tempo, di poterlo usare contro Israele: non ha un’opinione pubblica da tenere a bada, non ha la pressione internazionale che la confronta. Finora è rimasto in attesa che fossero le contestazioni a divorare Israele dall’interno e lo stigma internazionale a soffocarlo dall’esterno. Il piano di Trump, per la prima volta, rende l’eliminazione di Hamas una questione non soltanto israeliana: “La maggior parte dei restanti (terroristi) è circondata e intrappolata militarmente, in attesa soltanto del mio ‘VAI’, per estinguere rapidamente le loro vite”, ha scritto il presidente americano.

Negli ultimi giorni, vari funzionari di Hamas hanno rilasciato dichiarazioni a diversi media. Il quotidiano pubblicato a Londra in lingua araba Asharq al Awsat riportava che il gruppo avrebbe accettato, proponendo modifiche in alcuni dei punti sostanziali, come il disarmo. L’apertura di ieri segue questa ultima posizione. “La guerra è un principio radicato nell’identità di Hamas, ed è condiviso da tutti, dalla Striscia alla Cisgiordania, fino ai leader che vivono all’estero”, dice Michael Milshtein, uno dei più grandi conoscitori del gruppo. Non c’è nessuno dei miliziani e dei loro capi che voglia cedere. Dentro alla Striscia alcuni civili hanno formato piccole proteste per chiedere di accettare il piano. In Israele, l’ultimatum di Trump è stato un sostegno e un peso allo stesso tempo: gli israeliani non sono soli, mal’ultimo attacco potrebbe essere una condanna per gli ostaggi. Quando domenica a Washington saranno le 18, in Israele e nella Striscia sarà l’una di notte, già lunedì. Basterebbe un “sì” di Hamas al piano e tutto si fermerebbe. L’ultimatum americano rimane in vigore dopo la risposta del gruppo.

Dopo le parole di Trump, Tel Aviv si è trasformata in un’immensa sala d’attesa, ognuno aspetta dove può, dove è meglio. Prima dello Shabbat alcuni cittadini sono andati a pregare guardando il tramonto. Un gruppo di pensionati ha intonato una canzone per chiedere il ritorno degli ostaggi, riadattando il testo di una canzone chassidica. “Non sono religioso”, dice uno dei cantanti, che di fatto aveva appena finito di pregare.

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