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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.09.2003 Un'opinione interessante
parla il generale Amos Gilad, responsabile del Dipartimento politico dell'esercito israeliano

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 settembre 2003
Pagina: 2
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «Il problema di Israele si chiama sempre Arafat. Ora va messo fuori gioco»
Riportiamo l'articolo di Guido Olimpio pubblicato sul Corriere della Sera martedì 9 settembre 2003.
Il giudizio del generale Amos Gilad non lascia spazio a dubbi: «Abu Ala, Abu Mazen o chiunque altro non hanno alcuna possibilità di successo. Sono tutti destinati al fallimento perché c'è un problema chiamato Arafat». L'alto ufficiale, responsabile del Dipartimento politico dell'esercito israeliano, mena fendenti con il sorriso. «Sono abituato a convivere con il raís, lo conosco bene e ritengo che sia giunto il momento che vada in pensione. Ha l'età giusta. Per noi qualsiasi tattica o sistema che porti alla sua partenza va bene».
Gilad ha di fronte una platea internazionale. Esperti di terrorismo raccoltisi a Herzylia per discutere le nuove minacce dell'eversione. Il generale è convinto che «fintanto che Arafat resterà in carica non vi sarà alcuna possibilità di coesistenza tra israeliani e palestinesi». Spezza ancora una lancia in favore di Abu Mazen, anche se Israele ha contribuito al suo isolamento e non l’ha aiutato con la serie di omicidi mirati. «Dicono che non è coraggioso. E invece lo è stato perché ha denunciato il terrorismo», osserva Gilad e spiega che il premier che si è dimesso ha cercato di usare la hudna, la tregua temporanea, come un mezzo politico per mantenere la tranquillità, ha tentato di formare un governo effettivo. «Un'illusione», aggiunge, ricordando le ripetute manovre di Arafat che ha organizzato una rete di potere parallela. Per il generale israeliano oggi esistono maggiori possibilità di eliminare dalla scena Arafat perché anche gli Usa, l'Unione Europea e «persino i Paesi arabi» comprendono quale sia il vero ostacolo. Gilad tradisce una certa impazienza, però si mantiene cauto su «come» rimuovere il raís: «Non vogliamo certo arrestarlo. E comunque esistono difficoltà operative da risolvere».
L'ufficiale si guarda bene dall'entrare nei dettagli ma da oltre un anno la stampa locale parla di un piano preparato dalle teste di cuoio per entrare nella Mukata, catturare Arafat e metterlo su un elicottero. Destinazione? Il Libano, la Giordania, l'Egitto.
Poi Gilad passa all’altro nemico. Il movimento islamico Hamas. Per il generale la campagna di annientamento sta producendo degli effetti, ha costretto gli estremisti a cambiare tattica, i capi non si sentono più intoccabili. E plaude alla decisione dell'Unione Europea di mettere sullo stesso piano l'ala politica e quella militare. «Hamas è molto sensibile al suo status internazionale, soffre a sentirsi delegittimata», sottolinea Gilad. Anche il possibile congelamento dei fondi è ritenuto una mossa nella giusta direzione: «Contro i terroristi dobbiamo operare su tre fronti: militare, diplomatico, finanziario». Resta aperto, secondo Gilad, il nodo saudita: «Riad deve finirla con il suo doppio gioco. Dobbiamo convincere le autorità a sospendere gli aiuti economici». Il generale condivide l'opinione di chi, anche nei Paesi occidentali, sostiene che la casa reale da una parte afferma di collaborare nella lotta al terrorismo e dall'altra garantisce un fiume di denaro.
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