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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Riformista Rassegna Stampa
27.09.2025 Nirenstein: «Netanyahu ha scolpito le ragioni di Israele nei cuori del mondo»
Intervista di Aldo Torchiaro

Testata: Il Riformista
Data: 27 settembre 2025
Pagina: 2
Autore: Aldo Torchiaro
Titolo: «Nirenstein: «Netanyahu ha scolpito le ragioni di Israele nei cuori del mondo»»

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 27/09/2025, a pagina 2, l'intervista di Aldo Torchiaro a Fiamma Nirenstein dal titolo "Nirenstein: «Netanyahu ha scolpito le ragioni di Israele nei cuori del mondo»".

File:Aldo Torchiaro.png - Wikipedia
Aldo Torchiaro

Fiamma Nirenstein commenta il discorso di Netanyahu all'ONU

Fiamma Nirenstein è giornalista e saggista, tra le voci italiane più autorevoli su Medio Oriente, terrorismo e antisemitismo. Divisa tra Roma e Gerusalemme, unisce esperienza parlamentare e un’intensa attività pubblicistica e di divulgazione. Con lei analizziamo il discorso di Benjamin Netanyahu all’Assemblea Generale dell’ONU.

Fiamma, in che contesto arriva l’intervento di Netanyahu?
«In contesti plurimi, alcuni visibili e altri sotterranei. Il più importante è l’incontro imminente con Trump. Il discorso è stato un classico intervento onusiano, una hasbarà, cioè un esercizio di spiegazione. Sullo sfondo, un’ONU che si conferma ostile a Israele, con l’aula semivuota a segnalare l’isolamento. Trump lo ha detto chiaramente: l’ONU potrebbe fare del bene al mondo, ma ne fa del male. Già negli anni Sessanta Khrushchev capì che sarebbe stata una leva di sovversione contro la democrazia. Le persecuzioni anti-israeliane lo dimostrano: 173 risoluzioni contro Gerusalemme, mentre dittature come l’Iran siedono nei comitati per i diritti umani.»

Se dovessi riassumerlo in una frase, qual è il messaggio del premier?
«“Non ci sperate: non ci suicideremo”. Israele ha subito il 7 ottobre la peggiore tragedia dai tempi della Shoah, ma ha reagito affrontando i suoi nemici: Iran, Hezbollah, Hamas. Netanyahu ha mostrato cartelli con le sigle terroristiche, ricordando che tutte non minacciano solo Israele, ma anche l’Occidente. Ha citato il cancelliere tedesco: Israele combatte una guerra che altri non vogliono affrontare. È una battaglia epocale per la democrazia e per la verità».

Che significato attribuisci a questa denuncia rivolta all’Occidente?
«Il mondo ha perso i criteri elementari del giusto e del falso. Non riconosce la natura del terrorismo, finisce per legittimarlo. Netanyahu ha ricordato vittorie cruciali: Assad ridimensionato, Hamas indebolito, l’asse del male colpito. Ha parlato però anche di futuro, auspicando intese con la Siria e persino con il Libano, a condizione che Hezbollah ne resti fuori. Ha ringraziato l’Indonesia per i segnali di apertura. È un discorso che alterna fermezza e speranza».

Ha rilanciato i Patti di Abramo. Quale prospettiva vede Netanyahu?
«Vuole mostrare che Israele guarda alla pace e che un Islam moderato è possibile, soprattutto nell’area sunnita. L’Iran rimane il grande nemico strategico, ma sullo sfondo c’è l’astuzia politica di evitare scontri frontali con Erdoğan e con il Qatar. Entrambi restano nodi delicatissimi: il primo guida la Fratellanza musulmana, il secondo finanzia il terrorismo con miliardi pur dialogando con l’Occidente. Netanyahu li ha volutamente lasciati fuori, ma sanno di essere parte della partita».

Lo Stato palestinese è stato di fatto escluso. Perché questa scelta netta?
«Ha detto ciò che il mondo non vuole sentire: Hamas è Hamas, responsabile del 7 ottobre; l’Autorità Palestinese non vota da vent’anni e premia economicamente chi uccide israeliani con il “pay for slay”. Chiedere oggi uno Stato palestinese significa avallare il terrorismo. Netanyahu ripete che la sicurezza deve restare in mani israeliane e la gestione civile può essere affidata a Paesi arabi. È la sua formula alternativa: garantire stabilità senza creare un’entità ostile alle porte di Israele».

Il QR code con i video del 7 ottobre ha colpito tutti. Una trovata efficace?
«Sì. Ha voluto dire al mondo: non potete più fingere di non sapere. All’inizio Israele esitò a diffondere i filmati per pudore verso le vittime, ma l’effetto è stato che molti hanno minimizzato. “Quello che non si vede non esiste”, diceva Sartori. Netanyahu ha riportato l’orrore davanti agli occhi di tutti, un po’ come Marco Pannella che indossava simboli delle sue battaglie. È un modo di rompere la videocrazia che tende a cancellare la memoria».

Anche la citazione della Bibbia e l’elenco dei rapiti hanno avuto un forte impatto.
«Sì. Ha letto i nomi degli ostaggi, uno a uno, ad alta voce, perché gli altoparlanti che ha fatto disporre in tutta Gaza, davanti ai tunnel, facessero arrivare forte la voce di Israele fin dentro quei maledetti cunicoli. Per me è una sottolineatura del vero obiettivo della guerra. Ha detto: “Ridateci i nostri rapiti e la guerra finirà.” È una linea di pace concreta, non astratta. Ha parlato anche della fratellanza con i drusi, ricordando un comandante che gli salvò la vita. È un discorso di identità e di resilienza nazionale».

Quale ruolo attribuisce a Trump nei prossimi sviluppi?
«Gli ha detto: niente annessioni adesso. Paradossalmente è un favore: Netanyahu evita di spaccare la sua coalizione su un tema esplosivo. In cambio, Trump promette sostegno sui Patti di Abramo, sugli ostaggi, sul contenimento di Hamas. Così il premier può concentrarsi sulla vittoria militare e rimandare discussioni interne pericolose. Se riuscirà a riportare a casa i rapiti, avrà una forza politica enorme».

Che immagine esce dell’ONU dopo questa assemblea? La scena delle delegazioni che escono dall’aula mentre inizia a parlare Netanyahu ricordano più i tifosi allo stadio che le diplomazie… «Pessima. L’ONU continua a essere un’arena di distorsione: paesi che perseguitano donne e omosessuali presiedono commissioni sui diritti umani, mentre Israele viene colpito da raffiche di risoluzioni. 107 contro Israele, 9 contro l’Iran. Netanyahu ha citato la Bibbia: al virtuoso viene detto peccatore e al peccatore virtuoso. È l’immagine plastica di un’istituzione che tradisce la sua missione».

Quale messaggio ha mandato alle comunità ebraiche della diaspora e al mondo?
«Un invito a tenere la testa alta. “Il popolo ebraico vive e non ha paura.” Netanyahu è apparso come un grande combattente, determinato a non cedere nonostante l’antisemitismo dilagante. Ha indicato una road map: la vittoria su Hamas, la restituzione dei rapiti, la possibilità di nuove intese regionali. È un messaggio di resistenza, ma anche un’apertura: la pace non è esclusa, ma non può poggiare sulla menzogna. Israele non si suiciderà».

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