Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Il riconoscimento della Palestina è un errore. Il primo passo è liberare Gaza da Hamas Intervista di Aldo Torchiaro a Gianni Vernetti
Testata: Il Riformista Data: 24 settembre 2025 Pagina: 2 Autore: Aldo Torchiaro Titolo: «Il riconoscimento della Palestina è un errore. Il primo passo è liberare Gaza da Hamas»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 24/09/2025, a pagina 2, l'intervista di Aldo Torchiaro a Gianni Vernetti dal titolo "Il riconoscimento della Palestina è un errore. Il primo passo è liberare Gaza da Hamas".
Aldo Torchiaro
Gianni Vernetti, pur essendo stato del governo Prodi, è contrario oggi al riconoscimento della Palestina, contrario quindi alla sinistra
Gianni Vernetti, già parlamentare con la Margherita e sottosegretario agli Esteri nelgoverno Prodi, è uno degli osservatori più attenti del Medio Oriente e dei suoi delicati equilibri. Lo abbiamo intervistato alla vigilia dell’Assemblea Generale dell’Onu, in cui torna il tema del riconoscimento della Palestina come Stato membro.
Si riunisce l’Assemblea Generale Onu: che cosa si decide e che cosa c’è in gioco dietro l’istanza di riconoscimento della Palestina?
«Io credo che oggi, in queste condizioni, il riconoscimento della Palestina sia un errore. Un riconoscimento senza condizioni, mentre una parte del territorio teoricamente sotto l’Autorità nazionale palestinese è ancora controllata da Hamas, senza il suo disarmo, senza la liberazione degli ostaggi e con operazioni militari in corso, sarebbe percepito come un premio per chi ha compiuto il peggiore attacco, quello del 7 ottobre. Questo metterebbe in difficoltà chi vuole i negoziati e darebbe forza alle componenti più estremiste».
Riconoscere ora significherebbe quindi rafforzare Hamas?
«Sì, sarebbe una ricompensa per aver portato a termine quell’attacco. Non è un caso che proprio ieri Ghazi Hamad, uno dei leader di Hamas, lo abbia rivendicato come “premio”. Se vogliamo essere seri, il primo passo è liberare Gaza da Hamas, ottenere la liberazione degli ostaggi, arrivare a un cessate il fuoco e poi aprire una prospettiva politica. Solo così può riaprirsi un processo credibile».
Lei cita gli Accordi di Abramo. In che modo entrano in questa prospettiva?
«Gli Accordi di Abramo erano il percorso che portava alla pace tra Israele e Arabia Saudita. Il 7 ottobre Hamas e l’Iran li hanno fatti saltare proprio per impedire quel processo. Io penso che la cornice del futuro dialogo debba restare quella: Arabia Saudita ed Autorità palestinese dovrebbero entrare negli Accordi di Abramo. Solo un’alleanza tra paesi arabi moderati – Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti – può garantire anche la gestione della sicurezza a Gaza e avviare la ricostruzione».
Come si stanno muovendo i paesi arabi?
«Con grande cautela. Alcuni considerano Hamas parte integrante della Fratellanza musulmana, dunque un gruppo terroristico. Non hanno interesse a un conflitto permanente. Io sono convinto che Egitto, Emirati e Arabia Saudita puntino alla scomparsa di Hamas dalla scena e al rafforzamento della componente più moderata dell’Autorità palestinese».
E l’Europa?
«Italia e Germania mantengono dubbi sull’efficacia diplomatica di un riconoscimento immediato, mentre Francia e Spagna spingono di più. Personalmente credo che la prudenza di Giorgia Meloni in questa fase sia un approccio corretto».
In Israele, intanto, le posizioni radicali di Ben Gvir e Smotrich sembrano crescere.
«Quella è una minoranza estremista che non rappresenta la grande maggioranza della società israeliana. Israele non ha interesse a rimanere a Gaza né a un conflitto permanente. È uno Stato che vuole vivere in sicurezza, non un paese colonizzatore. La prospettiva deve essere un governo di unità nazionale, più ampio e rappresentativo».
Molti però negano oggi non solo Netanyahu, ma la stessa esistenza di Israele.
«Ed è questo il punto più grave. In una fase di antisemitismo globale crescente, anche parole come quelle di Francesca Albanese, special rapporteur Onu, negano Israele come Stato. Si nega persino la risoluzione 181 del 29 novembre 1947, quella che prevedeva due Stati, uno ebraico e uno arabo. Gli ebrei accettarono, gli arabi rifiutarono e il giorno dopo Israele venne invaso dagli eserciti arabi. Lì nasce tutto. Oggi invece si vuole cancellare la legittimità stessa di Israele».
Ma il bilancio delle vittime civili a Gaza resta drammatico.
«È innegabile: le vittime civili sono enormi, troppe, oggettivamente inaccettabili. Ma nulla giustifica posizioni che negano l’esistenza dello Stato di Israele. Israele è nato per garantire agli ebrei un luogo sicuro, un diritto che il mondo non può mettere in discussione. Da una parte c’è chi ha investito su pace e sviluppo, dall’altra chi ha investito su terrorismo e guerra. Questo è il nodo che ancora oggi fa la differenza».
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