Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
A Venezia, una coppia di turisti ebrei aggredita da dieci nordafricani al grido di “Free Palestine”. Sempre a Venezia, sputi, l’attacco con un cane e insulti a due ebrei.
Francoforte
A Nizza manifestanti pro Palestina tentano di entrare in sinagoga.
A Edimburgo, autori ebrei cancellati al festival letterario.
A Toronto, un film sul 7 ottobre cancellato dai cinema.
A Melbourne, una sinagoga data alle fiamme con i fedeli dentro.
In Colorado, marce per gli ostaggi nascoste per evitare di essere nuovamente bombardate.
A Lione un memoriale della Shoah vandalizzato con “Free Gaza”.
A Palermo, un ordinario universitario che invita a togliere l’amicizia agli ebrei.
Violinisti ebrei cacciati da un ristorante di Vienna.
A Flensburg, in Germania, un negozio espone il cartello “vietato l’ingresso agli ebrei”.
“Vietato l'accesso agli ebrei” (Germania)
Questa è l’Europa, questo è l’Occidente. E questo è solo un elenco difettoso e per restare soltanto alle ultime due settimane.
Eventi che potrebbe passare per fatti di cronaca, sommersi dal rumore quotidiano della violenza, ma sono un segno. Non di uno squilibrio, ma di un'epoca in cui aggredire non è più solo un crimine: è un gesto ideologico, una liturgia laica.
“Una frase ampiamente ma erroneamente attribuita a Lenin afferma che ci sono decenni in cui non succede nulla e settimane in cui accadono decenni, la scorsa settimana è stata una di quelle settimane”. Così Walter Russell Mead sul Wall Street Journal. “Ciò a cui stiamo assistendo oggi è l'accelerazione della dissoluzione dell'ordine mondiale post-1945”.
Quando un mondo cambia troppo rapidamente, le società provano un profondo senso di umiliazione, impotenza e paura di fronte a stravolgimenti che non comprendono. È in questi momenti di fragilità che germina la violenza.
L’odio non cambia natura; ricicla i suoi miti, inverte le sue giustificazioni, cambia maschera per sopravvivere meglio. Il bianco e l'ebreo non sono più due figure distinte: ora sono fuse nella stessa condanna. Due facce dello stesso male immaginario.
Ciò che viene preso di mira attraverso di loro è l'Occidente stesso, con la sua eredità cristiana, portatrice dell'idea di universale, la sua eredità ebraica, che incarna la memoria irriducibile di un popolo ritornato alla sua terra, la sua eredità greco-romana fondata sulla ragione e sulla città, la sua eredità illuminista che afferma la libertà di coscienza e, infine, la sua eredità democratica che difende l'uguaglianza dei diritti.
Ed è per questo che una giovane donna bianca può essere sgozzata nell'indifferenza generale in un treno a Charlotte, proprio come un ebreo può essere picchiato nelle strade d'Europa, senza che l’Occidente ne sia scosso, o 22 cristiani in Africa siano massacrati durante una cerimonia di battesimo.
A questa matrice occidentale si aggiunge l'islamismo, che ha alimentato e amplificato l'odio e che il coraggioso imam francese Hassen Chalghoumi a un simposio a Bruxelles questa settimana definisce “il veleno numero uno delle nostre società”. L'islamismo conferisce a questo risentimento un orizzonte religioso, una giustificazione divina, una narrazione globale. Per esso, l'Ebreo è il nemico assoluto fin da Khaybar; il Bianco è il crociato da sconfiggere; l'Occidente è la civiltà impura che deve crollare. L'islamismo non inventa l'odio: lo struttura, gli fornisce un esercito, lo sostiene con una teologia della conquista. Laddove l'antirazzismo parla di riparazione, l'islamismo parla di sterminio. E i due si fondono: nell'odio per l'Occidente, nella designazione dell'Ebreo e del Bianco come bersagli sacrificali.
“Ottant’anni dopo la liberazione di Auschwitz, l’idea di un esodo di massa degli ebrei dall’Europa è impensabile, eppure è questa la strada che stiamo percorrendo, a meno che i leader non agiscano con decisione, ora” scrivono centinaia di rabbini alla Commissione di Bruxelles.
Le vittime dell’aggressione di Francoforte hanno deciso di fare le valigie: “Non c’è futuro qui”.
Siamo all'accettazione passiva, a volte complice, dell'annientamento degli ebrei come preludio alla conversione forzata dell'Occidente.
Questa settimana ho dato un’intervista al Riformista. Fra le domande, una è sugli ebrei in Europa:
“La situazione è anche peggiore di quando scrissi il libro. Nell’ultimo mese abbiamo visto ebrei attaccati a una veglia per gli ostaggi israeliani in Germania, turisti israeliani aggrediti in Olanda, auto ebraiche deturpate in Francia, ebrei aggrediti in Grecia e a Venezia, case ebraiche e sinagoghe vandalizzate in Inghilterra, musicisti ebrei cacciati dai ristoranti in Austria. La storia ebraica europea è finita, non so se nel 2030 o 2040 o 2050, non sarà ovunque alla stessa velocità (Bruxelles o Malmö o Marsiglia finiranno prima di altre), ma nei prossimi anni sarà sempre peggio: come nella Shoah, gli ottimisti resteranno e proveranno a entrare in uno stato di dhimmitudine, i pessimisti se ne saranno andati. Ma la vera domanda è un’altra: che ne sarà allora dell’Europa senza il suo canarino nella miniera?”.
“L’islamismo lavora per soggiogare l'Europa” scrive sulla Neue Zürcher Zeitung lo psicologo arabo-israeliano che vive in Germania, Ahmad Mansour. “L'infiltrazione degli islamisti non è uno scenario apocalittico tratto da un romanzo di Michel Houellebecq. È realtà. Dal 7 ottobre, questo è evidente anche in Europa, per tutti coloro che sono disposti ad affrontare il pericolo”.
Ha ragione Melanie Phillips, la scrittrice e giornalista inglese che non lesina difesa d’ufficio all’Occidente giudaico-cristiano: “Non sopravviveremo come civiltà a tutto questo”.
E per evitare il collasso, Phillips propone tre azioni urgenti: abolire l’Onu, abolire i dipartimenti di humanities e bandire la sharia.
Vasto e necessario programma. Ma non si vede un inizio.
Il pogrom non è mai cessato: cambia solo le sue forme, le sue giustificazioni, le sue vittime. Ritorna sotto le spoglie di una crociata morale, di una giustizia vendicativa, di una purezza immaginaria. Alimentata dall'antirazzismo occidentale, esaltata dall'islamismo globale, trasforma le nostre città in nuovi shtetl destinati alle fiamme.
“Se gli ebrei, anche dopo che l'Europa li ha così tragicamente abbandonati, hanno comunque mantenuto fede al cosmopolitismo europeo, Israele, la loro piccola patria finalmente riconquistata, mi sembra il vero cuore dell'Europa, un cuore peculiare situato fuori dal corpo”.
L’Europa potrà sopravvivere con questo suo pezzo di cuore strappato?
“Penso che siamo l'ultima generazione ebraica a vivere in Belgio. I giovani se ne vanno, gli anziani restano, e alla fine moriranno. Tra 25 anni, potrebbero rimanere solo 2.000-3.000 ebrei nel regno, rispetto ai circa 30.000 di oggi... Abbiamo vissuto un periodo di calma per 80 anni, ma la finestra si sta chiudendo. Quello che stiamo vivendo, l'ha vissuto mio padre e prima di lui mio nonno. Ognuno di loro ha dovuto lasciare il proprio paese natale. Perché la nostra generazione dovrebbe essere privilegiata? In Belgio, abbiamo pochissimi statisti che pensano alla prossima generazione. La maggior parte dei nostri politici pensa alle prossime elezioni. Sanno che in Belgio ci sono 30.000 cittadini ebrei e probabilmente 900.000 cittadini musulmani. Nell'elettorato, il rapporto è quindi di 30 musulmani per ogni ebreo. La lotta contro l'antisemitismo unisce le persone motivate dall'etica, non quelle che si lasciano governare dall'aritmetica. A chi mi chiede di capire cosa stiamo vivendo, consiglio di leggere il romanzo ‘1984’ di Orwell. È esattamente ciò con cui abbiamo a che fare: il Ministero della Verità, la polizia del pensiero. È spaventoso; è un totalitarismo soft. E siamo vulnerabili perché noi belgi abbiamo una tradizione di docilità, compromesso e bonarietà. E Bruxelles è presa di mira dagli islamisti perché è la Washington d'Europa. Ecco perché sono preoccupato per i belgi nel loro insieme, non solo per i belgi ebrei, perché hanno già capito cosa sta succedendo e sono più preparati a gestirlo”.
Siamo preparati noi, a gestire lo tsunami che verrà?
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