Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Parla Zafesova «L’opposizione a Putin è sfaldata. Il 40% del Pil è investito in guerra ma la Russia non è alla fame» Intervista di Antonio Picasso
Testata: Il Riformista Data: 19 settembre 2025 Pagina: 2 Autore: Antonio Picasso Titolo: «Navalny e i dissidenti, parla Zafesova: «L’opposizione a Putin è sfaldata. Il 40% del Pil è investito in guerra ma la Russia non è alla fame»»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi 19/09/2025, a pagina 2, l'intervista di Antonio Picasso ad Anna Zafesova dal titolo "Navalny e i dissidenti, parla Zafesova: «L’opposizione a Putin è sfaldata. Il 40% del Pil è investito in guerra ma la Russia non è alla fame»".
Antonio Picasso
Anna Zafesova
«Mio marito è morto avvelenato» . Le parole di Julija Naval’naja, vedova del defunto oppositore russo, riaprono il fascicolo del marito, morto il 16 febbraio 2024, nella colonia penale a regime speciale di Kharp. Secondo Anna Zafesova, politologa, editorialista de La Stampa e autrice di “Navalny contro Putin” (Paesi edizioni), questa è una novità. «Sì, perché, in effetti, la causa ultima della morte di Navalny è ignota. Del resto, cambia poco. Dopo tre anni di torture in prigione, la causa di morte di un detenuto perché avvelenato, o perché schiaffato in una cella a 30 gradi sottozero, resta comunque omicidio».
Ma perché parlarne ora?
«Julija Naval’naja lascia intendere che sapesse di come sia stato ucciso suo marito, ma ha potuto dirlo solo ora. Perché? Sembra quasi chiedere ai governi occidentali un aiuto per ricostruire i fatti. Sul veleno usato, o sul laboratorio che l’ha fornito».
Cosa resta del movimento di Aleksej Naval’nyj?
«Tanta confusione. Mi spiace dirlo. I suoi eredi politici non si sono trovati con altri esponenti dell’opposizione russa. Dalla fondazione di Navalny (Fondazione per la lotta alla corruzione, Fbk, Ndr), si è dimesso Ivan Zhdanov, che ne era stato il direttore. È possibile così Julija abbia sentito il bisogno di ricompattare i sostenitori».
Una chiamata alle armi?
«Non posso escluderlo. In questo momento, per un movimento di opposizione a Putin e che si trova fuori dalla Russia, è molto difficile proporre qualcosa».
La guerra non è una leva di opposizione?
«La guerra è l’elefante nella stanza. Il movimento di Navalny si basava sulle denunce di corruzione del regime e sulla proposta di cominciare a costruire una democrazia. L’invasione dell’Ucraina è qualcosa di fin troppo grande rispetto a queste cose. Inoltre, allo scoppio del conflitto, alcuni sostenitori – che comunque sono russi, non ucraini – hanno avuto posizioni ambivalenti. L’hanno condannato. Però, le sanzioni e l’attribuzione della responsabilità del conflitto, ai russi e non solo a Putin, ha generato contrasti. Oggi nemmeno Yulia Naval'naja si sente di affrontare questi argomenti».
Ma contro Putin, c’è soltanto il movimento di Navalny?
«C’è una galassia di attivisti, dissidenti, scrittori, registi, giornalisti. Manca però un’organizzazione di riferimento. Khodorkovsky è l’unico che sta cercando di elaborare una visione politica di un dopo Putin. Oltreché il solo a disporre di risorse economiche, da ex oligarca qual è. Ma proprio per questo i navaliani lo contestano. E poi diciamo chiaramente che il taglio dei fondi dell’Usaid ha impattato parecchio».
Sulla guerra però l’opposizione potrebbe fare pressione. I regimi spesso cadono proprio a causa di un’economia alla fame.
«La Russia è sì impoverita, ma non è alla fame».
Nemmeno l’alto numero di caduti intacca il consenso?
«Il servizio militare è pagato bene».
Quanto?
«Soltanto per firmare il contratto, si ottengono 22-25 mila euro. Poi c’è uno stipendio mensile, che viaggia intorno ai 3.500 euro. In caso di ferimento o morte, si ottengono premi importanti. Intendiamoci, la vita umana è senza prezzo, però per molte famiglie povere della più profonda provincia russa, il prezzo invece c’è. Ed è quello di una casa, mandare i figli a studiare e accudire i genitori anziani».
Qual è l’origine di tutti questi soldi? Sempre gas e petrolio dati alla Cina?
«Petrolio soprattutto. Gas sempre meno. Gazprom è ridotta ai minimi termini. Da primo contribuente russo qual era, la sua capitalizzazione in borsa il mese scorso è scesa a 37 miliardi di dollari, sotto quella di Labubu, la società cinese dei pupazzetti. Varrebbe la pena comprarla, in attesa che un giorno la guerra finisca e il regime collassi».
Chi compra petrolio dai russi? Oltre alla Cina, s’intende.
«Per quanto i suoi derivati ci arrivino via Turchia. L’India, che, dopo le nuove sanzioni di Trump, ha ripreso i contatti con Mosca e adesso lo accetta chiedendo un ulteriore sconto cospicuo per i rischi collegati alle sanzioni. Questo però non basta a Putin per non toccare il Fondo Nazionale per la Ricchezza (Nwf), accumulato negli anni precedenti e ora, secondo gli esperti, ridotto di due terzi. A questo ritmo dovrebbe finire nel giro di un anno».
Una spesa pubblica indirizzata solo al conflitto.
«Più o meno il 40% viene investito in guerra. Ma poi ci sono i costi della repressione, con le voci della polizia politica e servizi segreti».
Ma dov’è finita più la vecchia industria pesante di epoca sovietica?
«Con la guerra si è ripresa. Ma quello che producono operai qualificati e ben pagati, che certo non possono essere sacrificati al fronte, viene comunque bruciato nel Donbass. Tra proiettili e carri armati. Quindi, sì, la guerra sta pompando risorse in alcuni settori. Ma è un meccanismo che non si può più fermare. Non si può trasformare un’economia di guerra in una di pace senza generare un collasso. Putin sta già tagliando pensioni, sanità, investimenti nelle infrastrutture, nella scuola».
A che punto è la notte in Russia?
«Credo che sia ancora piena. La guerra non piace. Lo dicono i sondaggi. Perfino quelli ufficiali. La maggioranza dei russi vorrebbe che finisse. Poi sul come è un altro discorso. Però da qui a dire che c’è una prospettiva di cambio regime è prematuro».
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