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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Informazione Corretta Rassegna Stampa
14.09.2025 La guerra persa nelle smentite
Commento di Daniele Scalise

Testata: Informazione Corretta
Data: 14 settembre 2025
Pagina: 1
Autore: Daniele Scalise
Titolo: «La guerra persa nelle smentite»

La guerra persa nelle smentite
Commento di Daniele Scalise

 
Daniele Scalise

Nella guerra mediatica, le smentite non contano nulla. La notizia falsa contro Israele circola in fretta e provoca indignazione. Quando la smentita viene pubblicata, non fa più notizia perché l'attenzione dell'opinione pubblica è già altrove. Una dimostrazione pratica? Il convoglio Onu "colpito da Israele" nel 2024 (se si cerca su Google si trova ancora questa notizia nei primi titoli). Notizia falsa: è stato colpito da un ordigno palestinese. Ma la smentita non la conosce nessuno, appunto.

Le guerre moderne non si combattono solo con i missili: si combattono con la velocità dell’informazione. La prima versione di un fatto è una colata di cemento armato nella memoria collettiva; la rettifica è un filo d’acqua che scivola via senza lasciare traccia. Su Israele, questa asimmetria è sistematica: la bugia corre e la verità inciampa.

Il meccanismo è semplice quanto spietato. Una notizia esce confezionata in modo da generare massima indignazione. In poche ore rimbalza su agenzie, prime pagine e social network. Poi, quando i dettagli cambiano, quando le fonti si correggono o si contraddicono, la macchina dell’attenzione è già altrove quando l’emozione (la prima) resta e i fatti evaporano.

Il 12 aprile 2024 un portavoce locale dell’UNRWA a Gaza pubblica sui social un’accusa precisa: un convoglio umanitario dell’ONU è stato colpito da un raid israeliano a Deir al-Balah, causando vittime. La notizia è perfetta per i titoli: militari contro i civili, cattivissimi che massacrano senza scrupoli i buonissimi. Reuters, AFP e AP la rilanciano quasi in simultanea, trasformandola in apertura di giornali e telegiornali. Sui social, migliaia di post e condivisioni fissano l’immagine: Israele bombarda chi porta aiuti.

Solo ore dopo arriva la smentita ufficiale dell’ONU: non c’è stato alcun attacco israeliano mentre l’esplosione è stata causata da un ordigno palestinese (ohibò!) esploso vicino al convoglio. La versione cambia radicalmente, ma la correzione appare in trafiletti senza foto e in coda ai notiziari. I titoli di prima pagina non vengono mai aggiornati.

Le smentite soffrono di tre handicap fatali. Primo: arrivano tardi, quando l’attenzione pubblica è già altrove. Secondo: sono meno emotive, perché si limitano a correggere e non a indignare. Terzo: chi le legge è spesso già convinto della colpa israeliana e interpreta la rettifica come propaganda riparatoria. In questo modo, la bugia non viene mai davvero cancellata: rimane latente, pronta a essere riesumata alla prossima occasione.

In altri conflitti, quando una notizia si rivela falsa, i media fanno almeno un gesto di autocritica: inchieste interne, servizi di approfondimento, spiegazioni ai lettori. Nel caso di Israele, no. La correzione è tecnica, asettica, quasi infastidita. La sensazione è che ammettere l’errore su Israele sia più pericoloso che diffondere la falsità stessa: meglio lasciar correre, confidando che il pubblico non se ne accorga.

Ogni notizia falsa non smentita con la stessa forza con cui è stata lanciata diventa un mattone nella costruzione di un pregiudizio. E quando questo pregiudizio è solido, non servono più fatti: basta evocare le accuse passate, vere o false che fossero. Israele resta sul banco degli imputati per crimini che non ha commesso, in processi che si celebrano ogni giorno sui media senza mai arrivare a sentenza.

In questa guerra, Israele perde non perché la verità non esista, ma perché arriva sempre dopo, stanca e sola. E in un mondo dove il primo titolo è quello che conta, la verità è una notizia vecchia già nel momento in cui viene pronunciata.


takinut3@gmail.com

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