Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Quando ci pentiremo di aver barattato i nostri valori per manodopera a basso costo sarà troppo tardi".

Giulio Meotti

Quando il sonno della ragione genera mostri sarebbe meglio svegliarsi subito.
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Benvenuti al consiglio comunale di Molenbeek, una delle municipalità della regione di Bruxelles: “Le donne col velo vi disturbano? Andatevene!”.
Così il sindaco ad interim e consigliera socialista Saliha Raïss. Prima di terminare il suo intervento con una risata, Raïss ha rinnovato due volte l’invito a chi non accetta l’islamizzazione: “Andatevene!”.
La clip è diventata virale dopo essere stata ripresa da Elon Musk, che ha scritto: “Se la tolleranza significa la fine della civiltà occidentale, allora non possiamo essere tolleranti”.
Georges-Louis Bouchez, presidente del Movimento Riformatore a livello federale, ha detto che l’episodio dimostra “il concetto di convivenza secondo la sinistra”. Daria Safai, deputata al Parlamento federale, ha ricordato che “la sharia e la cultura islamica non sono al di sopra di tutto”. Un’altra eletta, Melissa Amirkhizy, teme uno scenario preoccupante: “Quello che dice, è la verità... presto sarà la legge della sharia, o saremo fuori”.
La Raïss dice di “non pentirsi di niente”.
E pensare che quattro membri di un'organizzazione fiamminga di destra sono stati condannati a sei mesi di carcere per aver esposto uno striscione con la scritta "Stop all'islamizzazione". Un tribunale ha stabilito che si tratta di “incitamento all'odio”. In pratica hanno detto le stesse cose della sindaca reggente di Molenbeek, ma lei può dirlo.
Quando ci pentiremo di aver barattato i nostri principi e valori per la manodopera a basso costo sarà tardi.
La data qui è il 2000, l’anno del crollo della manodopera a causa della demografia. Fu allora che i numeri diventano assurdi:
“Rispetto alla sua popolazione, il Belgio ha sperimentato uno shock migratorio più importante di Francia, Germania o Paesi Bassi! In vent’anni, il Belgio ha naturalizzato da 600.000 a 700.000 persone, vale a dire il 5 o il 6 per cento della popolazione, per non parlare di immigrati clandestini e richiedenti asilo. Dal 2000 al 2010 il Belgio ha accolto più di un milione di migranti su una popolazione di undici milioni”.
Durante una manifestazione questa settimana per la “Palestina” a Bruxelles, i bambini musulmani chiedono che vengano onorati “i nostri martiri”. Citano apertamente il jihadista assassino di Hamas Yahya Sinwar, l’ideatore del massacro del 7 ottobre 2023.
Immaginate adolescenti fiamminghi a una manifestazione in onore dei leader nazisti: ci sarebbe un putiferio durato giorni tra politici e giornalisti.
Drammatico il commento su Le Figaro di oggi di Alain Destexhe, già capo di Medici senza frontiere:
“Ogni giorno, il paese è scosso da un incidente legato alla Palestina, all'islamizzazione della società o all'antisemitismo, tre elementi collegati tra loro. Per diversi venerdì consecutivi, attivisti filo-palestinesi hanno occupato la Gare du Midi, la stazione ferroviaria principale del paese, per protestare contro la presenza di uno Starbucks e di un supermercato Carrefour, al grido di ‘Intifada!’. Durante una di queste manifestazioni, una donna ha riconosciuto una vicina ebrea e l'ha aggredita violentemente in pubblico, gridando: ‘Sionista, vattene!’. Ogni giorno, da oltre un anno, un centinaio di persone manifestano per una Palestina ‘dal fiume al mare’ di fronte alla Borsa di Bruxelles, nel cuore della città, occupando un'affollata area pedonale pubblica. Vengono scanditi slogan antisemiti e attivisti mascherati glorificano Hamas. Bambini con la kefiah sulle spalle sono invitati a gridare slogan anti-israeliani. La capitale belga è in completa disgregazione. Con almeno una sparatoria a settimana nelle sue strade, Bruxelles sta diventando una narco-regione, frutto di un'immigrazione incontrollata. Saliha Raiss, sindaco ad interim di Molenbeek, non pensava di offrire al suo comune un'altra campagna promozionale gratuita. Reagendo a un'osservazione sull'uso del velo, ha dichiarato con un ghigno compiaciuto: ‘Se a Molenbeek è insopportabile, andatevene!’. Ha così rivelato il suo vero progetto politico, quello della sottomissione, consenziente o meno, all'Islam politico, che deve essere imposto a tutti, anche ai non musulmani. La nuova civiltà che sta arrivando, un misto di islamismo e totalitarismo orwelliano, non sarà indulgente con i suoi oppositori e dissidenti. Bruxelles è la sua avanguardia”.

Alain Destexhe
Se volete vedere come sarà l’ultima tappa del multiculturalismo in Europa, Molenbeek è un caso da manuale, lontana dalla Grand Place da cartolina, dalle cioccolaterie eleganti e dalle birrerie alla moda frequentate dai turisti.
Molenbeek è da vent’anni a maggioranza musulmana, dei 640 jihadisti schedati e che risiedono in Belgio 70 vivono a Molenbeek, nelle ultime chiese si festeggia il Ramadan (non bastano la trentina di moschee costruite in 6 chilometri quadrati), le sinagoghe hanno chiuso da tempo quando gli ebrei se ne sono andati tutti, gli omosessuali non si azzardano a camminare per strada tenendosi per mano, via libera all'uso del velo per chi lavora nella pubblica amministrazione e messa al bando del consumo di alcolici in alcune zone.
Il partito belga che voleva instaurare la sharia non aveva previsto che la sharia è già di fatto praticata su larga scala e che basta lavorare ai fianchi del multiculturalismo a vocazione suicida.
Il fondatore del partito islamico belga, Redoune Ahrouch, che ha iniziato a Molenbeek, ha rifiutato di guardare negli occhi una giornalista durante un programma in tv. Nel corso di un dibattito sul tema “Elezioni locali: la stretta di mano che divide”, riferendosi al fatto che i candidati del partito Islam si rifiutano di stringere la mano alle donne, Ahrouch, che è anche consigliere comunale a Bruxelles, invitato per l’occasione non solo ha rifiutato di farsi truccare da una donna prima di entrare sul set, ma non ha mai incrociato lo sguardo delle donne presenti e non ha salutato Emmanuelle Praet durante il dibattito.

Il libro Molenbeek-sur-djihad di Jean-Pierre Martin e Christophe Lamfalussy rivela:
“Gli ultimi commercianti ebrei hanno lasciato lo quartiere storico di Molenbeek. Ce n'erano molti sulla Chaussée de Gand e su Rue du Prado. Questa parte di quartiere si chiamava ‘Piccola Gerusalemme’. Gli ultimi due negozianti belgi di fede ebraica si preparano a fare lo stesso. Philippe non dimenticherà mai la lettera che ha trovato nella cassetta della posta del suo negozio di abbigliamento. Ce la legge con le lacrime agli occhi: ‘Voi cani pagherete con il sangue. Andatevene da questo quartiere. Cristiani ed ebrei, andatevene da questo quartiere. Questo è l'ultimo avvertimento”.
In pratica è un grande laboratorio dove l’identità si sfarina e ogni legge si relativizza. E persino il New York Times lo ha chiamato lo “stato islamico di Molenbeek”.

Teun Voeten
Il fotografo di guerra Teun Voeten ha raccontato in uno straordinario articolo su Politico la sua vita di “infedele” a Molenbeek:
“Molenbeek è stata la mia casa per nove anni. Il mio appartamento, proprio di fronte al canale rispetto al centro città, è vicino alla casa in cui si trovavano due sospettati degli attentati di Parigi. Facevo parte di una nuova ondata di giovani professionisti urbani, per lo più bianchi e con un'istruzione universitaria – quelli che i belgi chiamavano bobo, (‘borghesi bohémiens’) – che si erano stabiliti nella zona per pragmatismo. Avevamo buone intenzioni. Il nostro appaltatore si chiamava Hassan. Era marocchino, e pensavamo che fosse una cosa molto carina. Immaginavamo che un giorno i nostri figli avrebbero giocato felici con i suoi per strada. Ci sentivamo come pionieri del Far West, come se vivessimo in trincea nella lotta per una società multiculturale. Lentamente, ci siamo svegliati alla realtà. Il quartiere non era affatto multiculturale. Anzi, con circa l'80 per cento della popolazione di origine marocchina, era tragicamente conformista e omogeneo. A Casablanca e Marrakech c'è forse una vivace cultura alternativa, ma certamente non a Molenbeek. In nove anni, ho visto il quartiere diventare sempre più intollerante. L'alcol è diventato introvabile nella maggior parte dei negozi e supermercati; ho sentito storie di fanatici alla stazione della metropolitana Comte des Flandres che facevano pressione sulle donne perché indossassero il velo; le librerie islamiche proliferavano ed era diventato impossibile acquistare un giornale decente. Non c'era un bar o un caffè dove bianchi, neri e persone di colore potessero socializzare. Un tempo c'erano negozi ebrei in Chaussée de Gand, ma erano terrorizzati da bande di ragazzini e la maggior parte chiuse i battenti intorno al 2008. Le persone dichiaratamente gay venivano regolarmente intimidite e facevano le valigie. Alla fine ho lasciato Molenbeek nel 2014. Non per paura. Il punto di svolta, ricordo, fu l'incontro con un salafita, che cercò di convertirmi nella mia stessa strada”.

Chiese di Molenbeek date all’Islam
E se diamo un’occhiata alla lista dei consiglieri comunali di Molenbeek si scopre che ci sono 29 eletti islamici su un totale di 46. Oltre la metà.
E sembra che Molenbeek sia in buona posizione per essere scelta come “capitale europea della cultura nel 2030”. Ma nel frattempo cosa sarà diventata l'Europa? “Per l'Islam sarà un gioco da ragazzi prendersi la vecchia Europa” mi aveva detto Boualem Sansal. E quanto aveva ragione, questo romanziere-profeta inascoltato.
I pesci hanno le branchie per respirare nell'acqua e gli europei ne avranno bisogno per nuotare nel mare di bugie multiculturali. La più grande menzogna è che la trasformazione dell’Europa in Molenbeek è un progresso e che opporsi una forma di razzismo.
O ci svegliamo, accettiamo che ci siano territori perduti in Europa tentando di riconquistarli e proviamo intanto a salvare quel che resta oppure ci dovremo rassegnare a Saliha Raïss e andarcene.
Ma dove? Il Migration Research Institute di Budapest, legato al prestigioso Collegio Mattia Corvino, stima 900 aree come Molenbeek in Europa.
Abbiamo lasciato che un Caucaso freddo sorgesse nel cuore del vecchio continente. Al prossimo consiglio comunale, la socialista velata Raïss dirà: “Questo paese è nostro”.
Quando capiremo la lingua che parlano e cosa vogliono sarà, temo, troppo tardi.
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