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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Riformista Rassegna Stampa
04.09.2025 La gerarchia del Male genera mostri. Il trend passerà, l’antisemitismo no
Editoriale di Paolo Macry

Testata: Il Riformista
Data: 04 settembre 2025
Pagina: 1
Autore: Paolo Macry
Titolo: «La gerarchia del Male genera mostri. Il trend passerà, l’antisemitismo no»

Riprendiamo dal RIFORMISTA del 04/09/2025, a pagina 1, l'editoriale di Iuri Paolo Macry dal titolo "La gerarchia del Male genera mostri. Il trend passerà, l’antisemitismo no".

Paolo Macry
La tempesta mediatica su Gaza passerà presto di moda, già se ne vedono i segnali. Ma l'antisemitismo non passerà. Il 7 ottobre ha risvegliato un mostro che difficilmente terremo a bada nei prossimi anni 

Dimenticare Gaza? Dopo che per quasi due anni quei 360 chilometri quadrati hanno occupato le prime pagine del mondo intero? Così sembrerebbe. Oggi, a Pechino, nei palazzi del potere comunista, si discute di equilibri indo-pacifici, di gasdotti sino-russi, di coalizioni anti-occidentali. A Washington, il tycoon Maga appare concentrato sulla demolizione dei checks and balances. A Parigi, Macron attende l’ennesima crisi governativa del suo travagliato percorso politico. Perfino in Italia, l’attivismo pro-Pal rischia di essere oscurato dalle elezioni nelle Marche e dalle relative beghe locali. Se il mondo mostra di avere altro a cui pensare, forse è il momento di riflettere sulla dimensione comunicativa del conflitto di Gaza, sulle distorsioni percettive che ha provocato e sulle radici culturali da cui ha tratto alimento. Sulla sua fragilità e, insieme, sulla sua pericolosità.

Come è noto, l’iconografia della guerra nella Striscia, diffondendo a valanga immagini di bambini denutriti, di madri con le pentole vuote, di corpi senza vita, ha finito per costruire un unicum della sofferenza. Un gorgo di disumanità eccezionale – non a caso assimilato al genocidio hitleriano – capace di sollecitare un’indignazione globale, una pietà planetaria. E di rigettare ogni dubbio. Eppure il dubbio era ed è ragionevole. Dopo la scoperta di Auschwitz e la condanna universale della Shoah, mai l’opinione pubblica aveva reagito a un evento tragico con simile unanimità.

Non che in seguito siano mancati momenti di mobilitazione popolare: la guerra del Vietnam, il golpe in Cile, i bombardamenti Nato sulla Serbia, l’invasione dell’Iraq. Ma in quei casi a riempire le piazze erano spesso le contrapposizioni ideologiche della Guerra Fredda, il pacifismo manovrato dall’Urss, gli umori terzomondisti e antiamericani della sinistra. Le proteste nascevano dalla politica, erano riconoscibili, limitate a segmenti di opinione, agli “impegnati”, ai militanti. Mai, invece, era accaduto che un’emergenza geopolitica e umanitaria monopolizzasse l’attenzione globale, malgrado l’esistenza di altri e sanguinosi punti di crisi: le stragi di civili, le pulizie etniche, le torture, le carestie che tuttora devastano Sudan, Etiopia, Somalia, Sahel, Congo, Myanmar, Tibet, Xinjiang. Milioni e milioni di corpi violati. Senza dimenticare il martirio dell’Ucraina, con città in macerie, abusi sessuali, decine di migliaia di minori rapiti e deportati in Russia, milioni costretti a lasciare il Paese.

C’era da chiedersi – e in pochi l’hanno fatto – quale senso avesse, nel quadro di una simile carneficina, riservare tutta la pietà del mondo a Gaza. Che senso avesse questa gerarchia del Male che antepone i bambini scheletrici della Striscia ai bambini stuprati del Sudan, i piccoli colpiti dalle bombe israeliane ai bambini rapiti da Putin. Lo strazio delle madri palestinesi che piangono i figli a quello delle donne sudanesi vittime di stupri e mutilazioni genitali. Quale può mai essere il metro di giudizio del dolore? La quantità? L’intenzionalità? Il tasso di crudeltà?

Difficile trovare una risposta razionale. Con ogni evidenza, Gaza è diventata il simbolo del martirio e, fatalmente, Israele quello della violenza. L’onda di pietà planetaria per i gazawi e di indignazione planetaria per lo Stato degli ebrei pretende di coinvolgere l’umanità di ciascuno di noi, imponendosi come un imperativo categorico. Non mostra alcuna matrice politica: sembra piuttosto un fenomeno prepolitico, germogliato su un terreno millenario, culturale, spesso inconsapevole, che è quello dell’antisemitismo.

Ed è facile profetizzare che, prima o poi, Gaza verrà dimenticata. La bolla mediatica della pietà planetaria finirà per sgonfiarsi: i primi segnali sono già visibili. Ma resterà, perché non è mai morto, il fiume carsico dell’antisemitismo.

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redazione@ilriformista.it

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