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L'ostaggio 21/10/2025 -

L’ostaggio                                       Eli Sharabi

Traduzione dall’inglese di

Andrea Russo e Annachiara Biagini

Newton Compton editori                euro 12,90

Sono passati due anni dal 7 ottobre 2023, quando i terroristi di Hamas provenienti dalla Striscia di Gaza hanno invaso il sud di Israele, hanno ucciso, saccheggiato, rapito e distrutto il pezzo di Paese che, tra tutti, era quello che più sosteneva la convivenza e si adoperava per la pace.

Quel 7 ottobre i terroristi hanno preso d’assalto anche il kibbutz Be’eri e in pochi minuti la vita tranquilla che Eli Sharabi aveva costruito con la moglie Lianne, di origini inglesi, e le loro figlie adolescenti, Noiya e Yahel è stata spazzata via.

Proprio in occasione del secondo anniversario di quel pogrom esce anche in Italia “L’ostaggio” il libro di Eli Sharabi, edito da Newton Compton nella collana “I volti della storia”, un memoir doloroso, un documento storico sinora unico, oltre che una testimonianza preziosa contro l’indifferenza del mondo e la violenza di chi, incapace di accettare l’Altro, ne vuole solo la distruzione.

Con una narrazione asciutta, priva di retorica Eli Sharabi ripercorre i 491 giorni di prigionia trascorsi nei vari tunnel di Gaza con altri giovani ostaggi (venivano spostati di frequente e ogni volta era una discesa in un inferno peggiore del precedente) trascorsi fra umiliazioni, percosse, mancanza di cibo fino ad arrivare ad un unico pasto al giorno, senza aria, in condizioni igieniche spaventose, scalzi, irrisi dai loro aguzzini che a loro insindacabile giudizio gli vietavano di andare in bagno, senza alcuna assistenza sanitaria e con la paura costante di esseri uccisi o di ammalarsi gravemente.

In questo tempo senza luce, senza respiro, sottoposto a continui abusi psicologici Sharabi non smette di sperare di poter riabbracciare la moglie e le figlie senza sapere che i terroristi le hanno già uccise insieme al fratello Yossi. E’ proprio con l’immagine straziante delle figlie terrorizzate dinanzi all’irruzione di terroristi armati che si apre il libro la cui rievocazione è uno shock anche per il lettore. “Siamo tutti in pigiama; loro in uniforme, con i passamontagna e i kalashnikov. Ci hanno trovati… siamo nella safe room di casa nostra; è un rifugio rinforzato che dovrebbe proteggerci dagli attacchi missilistici, non da intrusi come loro. Il cane abbaia spaventato. Il rumore attira il fuoco dei terroristi, e gli spari rimbombano contro le pareti…guardo le mie figlie negli occhi, cerco di rassicurarle, dico che andrà tutto bene. Non gridano. Non piangono. Non dicono una parola. Sono paralizzate dalla paura. Non dimenticherò mai il terrore nei loro occhi

In questo viaggio disumano fatto di privazioni e sofferenze quotidiane Sharabi riflette a lungo sull’essenza dell’uomo e sulla sua capacità di essere resiliente davanti a situazioni che non può controllare. Si trova così ad essere un punto di riferimento per i compagni di prigionia che via via si susseguono nei tunnel dove viene portato. Gli altri sono tutti più giovani di lui, ancora impreparati alla durezza e alle sfide della vita e lui è consapevole di poter dar loro forza e sostegno: individua quelli più fragili, vicini al crollo emotivo e diventa per loro un padre, un sostegno prezioso.

Insieme imparano il modo migliore per sopravvivere alle violenze fisiche e psicologiche dei loro carcerieri, a trovare espedienti per racimolare un po’ di cibo per tutti, anche se in alcune occasioni questo fragile equilibrio rischia di spezzarsi perché la fame che li attanaglia in modo crudele e le umiliazioni fanno emergere il naturale istinto di sopravvivenza.

L’autore ricorda alcuni rituali messi in campo per affrontare quelle drammatiche giornate: dalla condivisione di momenti sereni trascorsi con le famiglie alla preghiera del mattino insieme ai compagni di prigionia, anche se lui non è uomo di fede e alla lettura ripetuta più volte dell’unico libro in loro possesso dell’autrice americana Leigh Bardugo “Tenebre e ossa” che, “anche se è finzione, e il libro in sé è un fantasy, ha qualcosa da insegnare sul sopravvivere nelle tenebre”.

Sono questi i mesi in cui Eli Sharabi è tenuto prigioniero insieme ad altri ostaggi tre dei quali, Hersh Goldberg-Polin, Almog Sarusi e Ori Danino, a un certo punto vengono spostati altrove ma del loro tragico destino Eli non saprà nulla fino alla liberazione.

In alcune circostanze Sharabi che parla bene l’arabo ascolta le conversazioni dei suoi carcerieri e capita che uno di loro gli illustri la sua visione del mondo: “La terra - spiega il terrorista - appartiene a loro, tutta la terra, tutto ciò che chiamano Palestina…qui non c’è posto per gli ebrei e Israele non esiste. Non smetteranno di combattere contro di noi finchè non ce ne andremo e torneremo da dove siamo venuti”.

L’8 febbraio 2025 dopo 491 giorni di prigionia, Eli Sharabi viene liberato, in condizioni fisiche molto precarie, a seguito di un accordo di cessate il fuoco mediato da Qatar, Egitto e Stati Uniti e da allora non ha mai smesso di lottare per la liberazione di chi era rimasto nelle mani di Hamas.

Nato a Tel Aviv da genitori yemeniti e marocchini solo dopo il suo rilascio l’autore, che ha dedicato il libro alla moglie, alle figlie e al fratello, ha scoperto la terribile verità sulla sorte occorsa alla sua famiglia: le figlie e la moglie non erano ostaggio di Hamas come aveva creduto e forse sperato ma erano state uccise il 7 ottobre durante l’assalto al kibbutz mentre lui veniva catturato e trascinato nei tunnel di Gaza.

Sharabi che ha condiviso la sua storia in sedi prestigiose come le Nazioni Unite, incontrato leader mondiali e si è impegnato attivamente nella causa degli ostaggi, ci consegna il primo libro di un ostaggio israeliano liberato, un memoir che interseca una drammatica esperienza personale con la testimonianza collettiva del periodo più tragico della storia del popolo ebraico dopo la Shoah.

E’ un racconto che si legge con rispetto e devozione, consapevoli di insinuarsi in un grumo di sofferenza indicibile, per provare a capire la drammatica esperienza vissuta dagli ostaggi e dalle loro famiglie e per non dimenticare coloro che hanno perso la vita in un evento irripetibile e intollerabile che ha visto “il ritorno del male nella sua forma più nuda”.

Giorgia Greco

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