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Storia degli ebrei sefarditi 06/12/2010 -

Esther Benbassa – Aron Rodrigue
Storia degli ebrei sefarditi
Einaudi


Gli storici Benbassa e Rodrigue raccontano in questo prezioso saggio la storia della diaspora sefardita, la minoranza ebrea spagnola che, cacciata dalla penisola iberica all'indomani della scoperta dell'America, si insediò nei territori dell'Impero Ottomano, nei Balcani e in Asia minore. E lì si è sviluppata mischiando lingua, tradizioni, costumi e vita sociale con l'Islam mediterraneo. L'Impero Ottomano era un contesto multietnico e multiculturale in cui lingue, religioni e modelli economici e sociali si integravano e in cui gli ebrei, così come greci e armeni, godevano di ampie autonomie e funzionavano di fatto come uno stato nell'Impero, sotto la guida dei rabbini e dei notabili. La nascita di nuovi Stati con forte identità nazionale su base etnica segnerà la fine di quella fase e l'inizio delle persecuzioni.

Miki Bencnaan - Il grande circo delle idee - 29/08/2014 -

Il grande circo delle idee                Miki Bencnaan
Traduzione di Anna Linda Callow
Giuntina                                              euro 18

La XVIII edizione del Festival della letteratura di Mantova (3-7 settembre) è un’occasione imperdibile per incontrare Miki Bencnaan. Docente presso la Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme, scenografa, costumista oltre che esperta di nuove tecnologie, l’autrice israeliana che ha pubblicato in proprio il suo primo libro ottenendo positive recensioni, sarà nella città lombarda domenica 7 settembre alle ore 10.00 presso la Basilica Palatina di S. Barbara in occasione dell’uscita del secondo romanzo, apparso in Israele nel 2011 con il titolo “Ha-Kirkas ha-gadol shel ha-ra’ayonot” e divenuto in poco tempo un bestseller. “Il grande circo delle idee” arriva in Italia nella bella versione di Anna Linda Callow grazie all’intuito di Shulim Vogelmann della casa editrice Giuntina che ancora una volta ha scoperto una voce originale della letteratura israeliana. Miki Bencnaan ha scritto una storia intensa che interseca le strade della Memoria con quelle della vita quotidiana e ci restituisce il racconto commovente e magico delle esistenze segrete di quattro ospiti della casa di riposo Yadlitza Norbert di Gerusalemme. Il romanzo, dalla struttura simile a una rappresentazione teatrale, prende avvio con il ritrovamento del corpo di due donne anziane nella casa di riposo gerosolimitana. Se la causa della morte è chiara, asfissia per le esalazioni di gas provenienti da una vecchia stufa, gli abiti che indossano le due donne destano sgomento nei parenti e nei poliziotti intervenuti sul posto: l’una indossa un travestimento da elefante, l’altra è abbigliata come una bambola; entrambe paiono fuggite da un Circo. Quale mistero si cela dietro quelle morti sorprendenti e ad un primo sguardo inspiegabili? “…il figlio della signora Hopsa ha raccontato che sua madre era molto attenta a spegnere la stufa prima di andare a dormire. La sua morte lo ha scosso profondamente”. Con raro talento narrativo l’autrice tesse un racconto di forte impatto emotivo che, seppur pervaso talvolta da amara ironia, non cela nulla dell’orrore della Shoah e delle conseguenze fisiche ed emotive nella vita dei sopravvissuti. “Vivere” e “Morire” sono i capitoli centrali del romanzo al cui interno si declinano le storie dei protagonisti che a vario titolo si ritroveranno nella casa di riposo Yadlitza Norbert: Pesca Principali primo di quattro figli è spinto dai genitori a entrare in seminario ma le visioni di elefanti che visitano la sua mente e i sentimenti che albergano nel suo animo lo inducono a lasciare quella vita e a iscriversi come residente nella casa di riposo di Gerusalemme; Futerko (Milinka) Hopsa e Inge Vonderholtzen l’una ebrea, l’altra tedesca figlia di un comandante delle SS si incontrano nel campo di sterminio di Belzec nella primavera del 1942 e per una di quelle casualità che solo la vita sa creare le loro esistenze rimarranno intrecciate per tutta la vita: uno stormo di corvi salverà l’una dalle camere a gas mentre un costume da elefante consentirà all’altra di vivere una vita non sua. Emanuel Elbalak che ha avuto un’infanzia segnata dalla perdita dei genitori, entrambi sordi, è stato adottato da una famiglia argentina, studia a Cordoba e dopo la morte dei genitori adottivi si trasferisce a New York. L’amore per le piante e gli alberi gli indicano la strada da percorrere. Diventato agronomo Emanuel vuole creare un trono biologico da semi di ciliegio e dedica la sua vita al raggiungimento di questo obiettivo. Leon Vaydenfeld è stato un artista brillante e le sue “capacità di regista si integravano alla perfezione con le sue doti musicali e il suo nome era cresciuto costantemente ….” Dopo che i nazisti gli hanno sterminato la famiglia giunge nel campo di Belzec e diventa il numero 135713 con il compito di suonare il violino nell’ orchestra vicino alle camere a gas. L’incarico di insegnare musica alla piccola Inge, figlia del comandante SS, si rivela infruttuoso per la scarsa attitudine della bambina ma gli offre l’occasione per tentare la fuga e scampare miracolosamente a un destino di morte. Il ritorno alla vita è lento e passa attraverso un lungo ricovero in una casa di cura psichiatrica prima di arrivare alla Yadlitza Norbert con un progetto già chiaro in mente che si propone di realizzare nel tempo che gli resta da vivere. E’ lui il regista che insieme a Emanuel, Futerko e Pesca dà vita a un coro il cui prestigio si espande ben oltre la casa di riposo e, nel frattempo, prepara a insaputa dei tre compagni un “evento teatrale” mai messo in scena; solo alla sua morte, visionando alcune cassette lasciate come testamento, i tre amici capiranno veramente chi era quel geniale regista, quale terribile dramma si portava dentro e le ragioni profonde che lo avevano indotto a intrecciare la sua esistenza con la loro. Non è semplice riassumere la trama di questo libro tale è la ricchezza della narrazione che scorre come un fiume impetuoso sotto l’incalzare di avvenimenti imprevedibili, di situazioni drammatiche e talvolta bizzarre, a metà strada fra magia e realtà. Anche i personaggi secondari del libro rivestono un ruolo determinante, come il nipote di Futerko, un giovane un po’ strambo, legato da profondo affetto alla nonna di cui accetterà di raccontare la storia in un libro. Nei capitoli dedicati a Pinki l’autrice dispiega un garbato umorismo nel descrivere situazioni esilaranti ma anche un’accurata capacità introspettiva nel cogliere le contraddizioni e gli stati d’animo che agitano il cuore degli uomini. Assoluta centralità hanno le “idee” che, scaturite dall’estro dell’uomo e realizzate da una tenace volontà, hanno il potere di cambiare il mondo e di renderlo migliore: i personaggi del libro, magistralmente ritratti, sono come attori di teatro che mettono in scena un’opera capace di dare concretezza alle aspirazioni più recondite dell’essere umano che, salvando se stesso, salva il mondo. Mescolando fantasia e realtà in un romanzo di rara freschezza espressiva, l’autrice riesce a comporre uno scenario che cattura, sconvolge, fa battere il cuore, fa rallentare la lettura per fermarsi a pensare e il tutto attraverso una storia fuori dal comune raccontata con misurata, discreta spesso poetica dolcezza.

 Giorgia Greco

Georges Bensoussan - Gli ebrei del mondo arabo - 26/11/2018 -
L’eredità di Auschwitz. Come Ricordare? 21/02/2014 -

George Bensoussan
L’eredità di Auschwitz. Come Ricordare?
Einaudi

Tante (forse troppe) volte commemorando lo sterminio degli ebrei perseguito dal regime nazista concludiamo con un «Mai piú» pericolosamente sospeso, impreciso. L'immensa barbarie della shoah spesso ci ammutolisce, riduce le nostre parole a una balbettante invocazione e trascura di spiegare con chiarezza quanto accaduto. E, invece, ciò di cui la storia ha assoluto bisogno non è uno sterile «dovere della memoria» ma un dovere di rigore storico che insegni a chi ancora non sa come e quando quell'atrocità si è consumata.
Nell'Eredità di Auschwitz, Georges Bensoussan indaga con sguardo acuto e lucido non tanto la dinamica della shoah come fatto storico, quanto il modo in cui la civiltà occidentale ha gestito e gestisce la memoria dell'evento: una memoria spesso mistificante e conciliatrice, che tende ad attenuare il portato traumatico dell'accaduto, piuttosto che farsi responsabilità bruciante. Per eludere le trappole della retorica è necessario - secondo Bensoussan - iniziare a prendere in considerazione le questioni politiche che questa storia solleva, a cominciare dal problema del suo insegnamento alle generazioni presenti e venture, e ad adottare un approccio critico che potrebbe anche apparire impopolare: la shoah è stata un'aberrazione imprevista e unica nel corso della Storia, o piuttosto una sua inevitabile evoluzione?

Nina Berberova - Il caso Kravcenko - 18/02/2019 -
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