L'intifada diplomatica e i volonterosi candidati allo stupro a destra Alon Liel Cari amici, come titolava ieri il Manifesto, è iniziata l'Intifada. Non quella di piazza, che nonostante il continuo incitamento dell'Autorità Palestinese non riesce a decollare davvero e per ora consiste semplicemente nell'intensificazione del terrorismo a bassa intensità condotto a Gerusalemme e nei territori amministrati dalla Stessa Autorità Palestinese da qualche decina, al massimo qualche centinaio di persone, spesso ragazzi minorenni, che appartengono ai partiti della guerriglia (Fatah, Hamas, Jihad Islamica). Ma anche se è concettualmente spuria, l'”intifada diplomatica” è una furbata pazzesca, perché essendo diplomatica non la devono compiere i sudditi dell'Autorità Palestinese, di cui tutti i sondaggi mostrano che sì, in grande maggioranza avrebbero piacere se ci fosse una sollevazione contro Israele, ma non hanno affatto voglia di farla loro, perché hanno cose più urgenti da fare nei loro campi, uffici, negozi e non hanno voglia di farsi male - a parte i professionisti, naturalmente, che sono pagati per il terrorismo grande e piccolo; e i ragazzi, cui a scuola non spiegano il teorema di Pitagora o la genetica, ma quanto è bello e buono diventare martiri, cioè morire cercando di ammazzare gli ebrei. Saeb Erekat Abu Mazen e John Kerry Comunque no, non devono fare niente, a parte lamentarsi un po', tutto il lavoro lo fanno le diplomazie europee e occidentali. Funziona così: Abbas per una ragione qualunque ordina una “giornata della rabbia”, il che significa che dice ai suoi teppisti di divertirsi un po' con le molotov e le pietre sugli automobilisti, meglio se ci scappa una coltellata; La polizia israeliana presidia in forze la zona dei disordini, chiude provvisoriamente i possibili punti di concentramento dei teppisti, come il monte del Tempio. Allora Abbas telefona a Kerry e gli chiede di intervenire contro la repressione israeliana e il segretario di stato puntualmente esegue, seguito dai ministeri degli esteri europei. Oppure: nel lungo e cauto percorso burocratico che porta allo sviluppo edilizio delle città e dei villaggi israeliani, in particolare quelli oltre la linea verde, accade spesso che un qualche progetto superi un certo stadio, ottenga l'autorizzazione alla progettazione dettagliata, o si decida che è conforme al piano urbanistico o che c'è il finanziamento per renderlo esecutivo o anche che si apra finalmente il cantiere. Si tratta di solito di qualche centinaio di appartamenti, cioè di qualche decina di palazzi in tutto. Accade che qualche ministro ne parla e vanta la realizzazione burocratica, o più spesso che qualcuno che lavora per il re di Prussia segnali la cosa ai media o direttamente ai palestinisti. E poi una grandinata di comunicati a fotocopia: “Ci interroghiamo se Israele è davvero impegnato nel processo di pace”, “gli insediamenti sono illegali” eccetera eccetera. Il fatto è che gli insediamenti non sono affatto illegali, nè lo sono le costruzioni in esso. Per sostenerlo, si cita a sproposito, senza conoscerlo l'articolo 49 della IV convenzione di Ginevra, che proibisce alle potenze occupanti la deportazione delle proprie popolazioni nei territori occupati, come progettava di fare per esempio il nazismo per spostare gli altoatesini in Ucraina. Federica Mogherini Ma non importa. C'è sempre qualche diplomazia europea, per esempio l'ex ministro degli esteri italiano Mogherini, ora emigrata a Bruxelles, che ignora i fatti e parla di illegalità - facendo così il lavoro dell'intifada diplomatica per conto di Abbas e della sua cupola. Poi ci sono i governi e i parlamenti che riconoscono lo “stato di Palestina” anche se non se ne sanno i confini, la popolazione e non controlla il territorio che pretende suo, in parte controllato da Hamas, in parte amministrato da Israele. Così il parlamento inglese e il governo svedese si sentono più nobili e buoni, ma in realtà stanno solo facendo intifada e rendono più difficile una trattativa, perché incoraggiano Abbas a irrigidirsi, dandogli l'illusione che qualcuno possa fare il lavoro per lui. Ma qui le diplomazie occidentali non sono sole. Vi sono degli israeliani e degli ebrei della diaspora che collaborano attivamente a questo lavoro contro la pace e contro Israele. Le cronache riportano che bel 496 israeliani (su 6 milioni di ebrei, non è male) hanno firmato un appello al parlamento spagnolo, che è il prossimo teatro dell'intifada diplomatica, perché dia anch'esso la sua benedizione al fantastato di Abbas (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/469-Israelis-petition-Spain-to-recognize-a-Palestine-state-380110 ). Inutile dire che i soliti noti li appoggiano da fuori: i Chomski, i Pappé, le Butler e i loro squallidi imitatori italiani che non nomino per non dar loro soddisfazione. E' interessante però notare che i 496 israeliani nemici di Israele hanno un capo o un coordinatore notevole. Si chiama Alon Liel, è stato direttore generale del ministero degli esteri israeliano. Capite quanto sia annidata nella burocrazia dello stato israeliano la vecchia nomenklatura “postsionista” e quanto poco essa si ritenga legata ai criteri di normale lealtà alla politica dello Stato, come il tradimento, l'alleanza oggettiva con i terroristi non faccia loro paura. Ugo Volli |