L'Iran vuole il nucleare per scopi pacifici? Lo sostiene il fisico Claudio Nicolini intervistato da Aldo Torchiaro sul RIFORMISTA di martedì 12 settembre.
"Teheran" ci spiega "ha le sue ragioni: il petrolio si sta esaurendo". Peccato che Torchiaro non abbia consultato anche un economista.
Che avrebbe potuto spiegare l'assoluta antieconomicità del tentativo di colmare il deficit di energia interno dell'Iran con un programma nucleare e non con un incremento delle estrazioni (in proposito esiste una ricerca del Cato Institute, centro di ricerche che avversò, tra l'altro, la guerra all'Iraq)
Ecco il testo:
«L’Iran così come l’India e la Cina è costretto a produrre energia attraverso altre risorse, siano esse la fissione nucleare o il carbone, per la semplice ragione che il petrolio in quella regione è destinato a esaurirsi in dieci-vent’anni. Questa è la verità». Ad affermarlo è uno scienziato italiano, Claudio Nicolini, che si occupa di ricerca sulle nanotecnologie e ha un passato di fisico nucleare. E’ tornato in Italia dopo un ciclo di incontri con la comunità scientifica russa ed europea sullo stato di salute delle risorse energetiche nel mondo. Quella che abbiamo oggi, quella che non avremo domani. «Teheran estrae molto petrolio, ai giorni nostri. E’ tra i primissimi produttori al mondo e il suo greggio è di eccellente qualità, richiede un minor processo di raffinazione rispetto agli altri». Ma c’è un problema. «Le riserve», spiega Nicolini, «non dureranno a lungo. Ed il tasso di crescita iraniano, così come India e Cina, sta assumendo proporzioni geometriche, la domanda interna di energia si moltiplica ogni anno. Ci sono dossier dei servizi segreti dei paesi-guida e che filtrano in rete, aldilà del muro dei dati ufficiali Opec, che ne danno perfettamente conto». Fisico nucleare dal lungo curriculum, Nicolini ha insegnato ovunque, dal Mit di Boston alla Stanford di Palo Alto, dal Giappone alla Russia.
Un pianeta a secco. Chiamato all’insegnamento per chiara fama, come il suo collega Carlo Rubbia, insegna all’università di Genova, dirige il centro di eccellenza per la ricerca sulle nanotecnologie e presiede la Fondazione Elba, che mette intorno allo stesso tavolo di laboratorio le migliori menti europee, americane e russe. Dagli ultimi incontri in Russia è tornato giorni fa con dati, se possibile, ancora più allarmanti di quelli noti: il pianeta sta esaurendo le pile. E quelle poche che rimangono, rischiano di avvelenarci, saturando pericolosamente di carbondyoxine la sua atmosfera, come segnalato anche dall’Accademia delle scienze inglesi. «Il problema della crescita dei paesi emergenti dell’Asia minore, ma anche dell’Africa, è legato a doppio filo con lo sfruttamento delle risorse energetiche. Latitando le fonti alternative, con la ricerca sull’idrogeno, sulle cellule fotovoltaiche e sulla fusione nucleare ancora in vitro, temo che il ricorso al nucleare e quello al carbone saranno all’ordine del giorno nell’immediato futuro». E si finisce quasi senza volere tra le maglie del manicheismo. «Ci sono paesi che offrono garanzie di pacificità, democrazia e rispetto dei diritti umani. Altri che ne offrono meno. Ma chi analizza i fabbisogni energetici deve prescindere dalle categorie della politica: le leggi dell’energia si basano su domanda e offerta. In Iran, in Cina e in India la domanda è forte come non mai, e l’unica risposta possibile può provenire per quei paesi dalla fissione nucleare e dal carbone, quest’ultimo con il gas è mortale per il pianeta».
L’opzione a idrogeno. Se siamo in viaggio e la macchina sta per finire la benzina, chiaramente cerchiamo di fare rifornimento. Cosa fare però quando sono finite le pompe di carburante, o meglio quando è finito il petrolio stesso? Gli ingegneri iraniani, che qualche anno fa si sono posti il problema, si sarebbero trovati davanti alla scelta obbligata dell’autoproduzione di energia nucleare, consegnando al governo iracheno un programma con un solo, imperituro input: costruire centrali. «Questo non vale per l’Italia, che potrebbe realizzare, con maggiori investimenti nella ricerca, nuove applicazioni in materia di fonti alternative, prima tra tutte l’idrogeno», dice Nicolini. Che chiarisce: «L’idrogeno non è una fonte energetica ma un vettore, ed è l’elemento più abbondante nell’universo e sul pianeta è presente nell’acqua e negli idrocarburi, tuttavia per ricavarlo da tali sostanze vi è bisogno di energia elettrica. Può essere utilizzato nelle celle a combustibile (FC) per la produzione di energia, con un impatto ambientale molto ridotto».
Sta lavorando a questo progetto e pensa che, con adeguati investimenti dello Stato, in tempi brevi ci saranno nuove nanotecnologie in grado di realizzare un perfetto storage dell’idrogeno: parla di nanotubi al carbonio, che lo potrebbero immagazzinare e trasportare in enormi quantità con una velocità incredibile. Ma aggiunge che mentre l’Europa e gli Stati Uniti vanno avanti piano su questo fronte, a molti paesi in via di sviluppo non rimangono che le centrali a carbone, venefiche, e le centrali nucleari, spesso realizzate in fretta e furia, ad alto rischio ambientale.
Tra due follie. «Non voglio sostenere, sia chiaro, nessuna teoria giustificazionista per le aberrazioni sul piano politico e culturale del regime iraniano, per cui legittime sono le preoccupazioni di Israele. Dico però che una centrale nucleare fornisce energia, ed è un’altra cosa rispetto a una bomba nucleare. Allo stato attuale, occorrerebbero dieci anni a Teheran per dotarsi di un’arma del genere». Più di quelli che servirebbero all’Italia, ci spiega, per affrancarci tanto dal petrolio quanto dai fantasmi atomici di vecchio stampo: «La fissione nucleare è una follia, sì, ad oggi per il nostro Paese, geologicamente instabile. Ma è una follia anche l’inazione. Se qualcuno fa lo scherzo di chiudere il rubinetto del gas, dalla Russia, tutta l’Italia finisce completamente congelata, quest’inverno». E allora? «Allora bisogna capire l’esigenza dei paesi che autoproducono energia, e fare lo stesso. Magari in modo pulito, efficace e sicuro. Ed abbiamo una chiave: sono proprio le nanotecnologie a consentire di sviluppare l’idrogeno, o nuove cellule fotovoltaiche organiche o biologiche che utilizzano l’abbondante energia solare: se ci consentono di farlo, i laboratori italiani ed europei mostreranno presto di cosa sono capaci», dice. Aggiungendo che «la miglior politica estera sta nell’avere una buona politica energetica».
Il dossier più caldo. Forse con questo approccio si è parlato a Vienna, in questo fine settimana di colloqui tra l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza, Javier Solana, e il capo negoziatore iraniano, Ali Larijani, intorno ai progetti nucleari di Teheran. Un incontro il cui bilancio è diventato un’incognita, dopo che la svolta annunciata è stata smentita: la sospensione da parte iraniana fino a un massimo di due mesi e su base volontaria, delle sue attività di arricchimento di uranio; quel tanto che sarebbe bastato ad allontanare lo spettro delle sanzioni da parte dell’Onu. Dopo il colloquio con Solana, Laraijani si sarebbe peraltro incontrato con il direttore generale dell’Aiea Mohammed ElBaradei, in vista dell’apertura di ieri della riunione autunnale del “Board”, il Consiglio dei governatori dell’Agenzia atomica internazionale dell’Onu.
Nella loro agenda, al primo punto rimane fermo l’Iran. Nel rapporto che ha presentato ai 35 Stati membri del Board, ElBaradei ha informato che gli ispettori dell’Aiea hanno riscontrato che l’Iran aveva proseguito le sue attività di arricchimento di uranio fino all’ultimatum del 31 agosto. A quella dead-line era stato fissato il termine di scadenza dell’offerta fatta all’Iran dal gruppo dei 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu con l’aggiunta della Germania) per un congruo pacchetto di incentivi economici in cambio della rinuncia di Teheran ad arricchire l’uranio. L’ultimatum era stato ignorato da Teheran e la riunione Solana-Larijani di Vienna era l’ultimo tentativo di sondare le chance di negoziato ed evitare il muro contro muro, con il rischio di sanzioni politiche e economiche graduali contro Teheran. I colloqui, diplomaticamente definiti «costruttivi», sono giunti solo ad una pausa: proseguiranno la settimana prossima. Malgrado il carattere interlocutorio di questi primi, timidi passi avanti, Washington ha ingranato ormai la marcia che porta dritta verso una risoluzione Onu dura. Le sanzioni. Al punto che il numero due al dipartimento di stato, Nicholas Burns, in dichiarazioni rese venerdì a Berlino, aveva detto di contare sulla messa a punto di una bozza di risoluzione Onu per adottarne già la settimana prossima.
L’accordo tra i cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza è però tutto da costruire, e non è un mistero che Cina e Russia non sembrano accennare a disponibilità in quella direzione. Il ministro degli esteri francese Philippe Douste-Blazy, in dichiarazioni rese ad Abu Dhabi, dove aveva un vertice internazionale al quale ha preso parte, per l’Italia, il sottosegretario Bobo Craxi, ha però teso una mano agli Stati Uniti preconizzando che «lo scontento della popolazione iraniana di fronte alla prospettiva di sanzioni potrebbe far cedere il regime» di Teheran. Che almeno per ora, però, gonfia il petto. E per mantenere gli accordi petroliferi in essere si è impegnato ieri a continuare a ’rifornire di energia i mercati’, nonostante il braccio di ferro sul nucleare. La rassicurazione è giunta mentre anche ieri il prezzo del greggio segnava un calo, scendendo sotto i 66 dollari sul mercato after-hours di New York, grazie ai segnali incoraggianti del colloquio Larijani e Javier Solana. Alimentate dallo stesso ottimismo le dichiarazioni rese ieri dal ministro del petrolio del Qatar, Abdullah Bin Hamad al-Attiyah, che ha assicurato che l’Opec manterrà invariate le quote di produzione petrolifera. Almeno fino a che la spia rossa della riserva, a partire da quella dei giacimenti iraniani, non inizierà a lampeggiare pericolosamente.
Anche Farian Sabahi descrive un Iran pacifico e minacciato dall'esterno dove "gli ayatollah hanno proibito le armi di distruzione di massa"( a questo proposito vedi In Iran fatwa favorevole all'uso della bomba atomica, Informazione Corretta del 21.02.2006)
, in un'intervista a Francesco De Leo.
Ecco il testo:
Tra voci di una sospensione volontaria iraniana del processo di arricchimento dell’uranio, sarebbe stata prospettata nell’incontro tra Larijani e Solana, la grande questione nucleare legata all’Iran si avvia al prossimo importante passaggio. Venerdì prossimo è prevista una riunione dei Ministri degli Esteri della Ue che avrà in Solana l’invitato principale. Compito dell’Alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica estera sarà quella di riferire sugli esiti delle trattative con Teheran. Nocciolo della questione l’utilizzo di un’energia fondamentale per il potenziamento civile e militare di un paese. Non hanno dubbi gli americani, le finalità di ricerche e arricchimento sarebbero la realizzazione della bomba atomica. Diverse e articolate le posizioni del resto della comunità internazionale, tra le quali prevale la volontà di proseguire i negoziati per spingere l’Iran a chiarire i dubbi. E’ l’oro nero, intrappolato nelle rocce del sottosuolo iraniano a destare le più grandi perplessità in alcuni analisti. Il fatto che le riserve di petrolio più consistenti della terra si trovino in Medio Oriente, ed in Iran in particolare, rappresenterebbe la prova evidente della malafede degli ayatollah. L’Iran non avrebbe alcun bisogno di altra energia, di investimenti che distraggano risorse economiche, perché seduto su un enorme barile di petrolio. Tutta questa sete di nucleare con l’economia avrebbe dunque poco a che fare, più realistico immaginare un pericoloso tentativo di conquistare la leadership del Middle East in chiave antioccidentale.
Ma quali sono le motivazioni che in questi ultimi due mesi, durante frenetiche trattative, lunghi negoziati e incontri bilaterali in giro per il mondo, l’Iran sta cercando disperatamente di far valere? «Sono tante le motivazioni presenti dietro il programma nucleare iraniano. Economiche innanzi tutto, ma anche strategiche, etiche e religiose», dice a Il Riformista Farian Sabahi, studiosa iraniana del Medio Oriente. Insieme al ricercato prestigio regionale ed internazionale e ad una dimensione di sfida nei confronti dell’Occidente, che vuole ridimensionarne le legittime ambizioni, è in chiave economica che vanno ricercate le risposte agli interrogativi. «I dati parlano chiaro», sostiene convinta la Sabahi. «Dicono che l’Iran estrae ogni giorno 4,1 milioni di barili di petrolio, di cui 2,5 sono esportati e venduti e i rimanenti consumati direttamente. Per esempio, per far funzionare le automobili, la stragrande maggioranza delle quali non rispetta i principi di risparmio ed efficienza, provocando un altissimo consumo di carburante. Molti altri barili sono bruciati per produrre energia elettrica». In Iran secondo quanto dichiarato dalle autorità, c’è necessità di avere una capacità energetica pari a 40.000 megawatt. Questo vuol dire costruire quaranta centrali nucleari, come quella di Busher, quasi ultimata con l’aiuto dei russi e che tanto sta facendo discutere. «L’Iran a causa dell’embargo americano non ha tecnologie a sufficienza per raffinare il petrolio di cui avrebbe bisogno per soddisfare esigenze interne. Questo è un altro motivo fondamentale nella scelta del nucleare civile», dice Farian Sabahi.
L’Iran ha bisogno d’energia perché ha raggiunto una popolazione di settanta milioni di abitanti, dal 1979, inizio della rivoluzione islamica, è raddoppiata. «Nel ’79 la popolazione iraniana era di soli 35 milioni. Questo grande aumento demografico è avvenuto per vari fattori, ma in primis per il fatto che una volta al potere, l’Ayatollah Khomeini cancellò la maggior parte dei programmi messi in atto dallo scià e tra questi c’era quello sul controllo delle nascite e gli anticoncezionali». Il programma nucleare iraniano ha una lunga storia, ebbe origine negli anni Cinquanta ed aveva il nome di “Atomi per la pace”. Fu lanciato dai grandi nemici di oggi, gli Stati Uniti, che cominciarono ad osteggiarlo quando lo scià Reza Pahlavi lo rilanciò nel 1974 dando inizio alla costruzione della centrale di Busher, acquistando reattori dai francesi e dai tedeschi. In qualche modo il nucleare fa quindi parte della tradizione persiana ed è strettamente collegata al petrolio, paradossalmente per ragioni etiche. Nel senso comune iraniano il petrolio, scoperto nel 1908, è patrimonio della comunità, per questo da utilizzare con razionalità e parsimonia. E’ assolutamente ingiusto e scorretto sperperarlo, perché questa risorsa un giorno servirà alle industrie del paese per formarsi e svilupparsi.
«Esistono programmi di diversificazione rispetto allo sviluppo energetico. Va letto in questa ottica», per Sabahi, «l’accordo raggiunto nel 2005 con la Fiat, per la fabbricazione di automobili in Iran». Ma dov’è il principio etico? «Per produrre energia elettrica il petrolio va bruciato», risponde la scrittrice iraniana. «Tutto questo è considerato ingiusto». Ma c’è dell’altro nel rapporto degli iraniani con l’oro nero, «da noi esiste la consapevolezza, se vuoi antieconomica, che il rapporto con il petrolio debba essere gratuito. Benzina, carburante per riscaldamento, gli iraniani sono abituati a riceverlo gratuitamente. E’ molto difficile far capire loro che il prezzo del barile schizza vertiginosamente, che gli occidentali acquistano benzina a più di un euro al litro. Un iraniano alla pompa di benzina acquista un litro pagandolo otto centesimi di euro, una cifra che non copre né le spese di estrazione, tantomeno quelle di raffinazione. Le cose comunque cominciano a mutare», prosegue Sabahi. «Da settembre, ottobre dovrebbero cominciare a razionare la benzina, sarà creata una soglia sopra la quale il carburante sarà pagato a prezzi di mercato. L’Iran comincia infatti ad avere difficoltà nell’acquisto di benzina raffinata».
Più volte tutti i maggiori esponenti della nomenclatura iraniana hanno escluso l’utilizzo del nucleare a fini militari per motivi religiosi. Non esiste nel Corano nessun versetto che può confermare le tesi dei mullah, «ma c’è una fatwa su questo, un decreto religioso dell’Ayatollah Ali Khamenei, il leader supremo a cui spetta l’ultima parola», dice Sabahi a Il Riformista. «Khamenei ha sentenziato che il nucleare a fini militari è vietato. Il nucleare potrebbe essere permesso qualora i paesi vicini ne fossero già in possesso, ma solo esclusivamente a scopo dissuasivo. Esiste un divieto esplicito a non utilizzarlo». Troppo poco per tranquillizzare la comunità internazionale, chiediamo alla scrittrice iraniana. «Quello che sorprende», per Farian Sabahi, «è la mancanza di conoscenza in Occidente della storia del nostro Paese, non è scritta correttamente nei vostri libri di scuola. Nel corso del novecento l’Iran non ha invaso nessun paese, non ha mai attaccato nessuno. Al contrario ha più volte subito attacchi e occupazioni. Nel 1941 gli alleati, in particolare gli inglesi, invasero l’Iran utilizzandolo come corridoio per i rifornimenti a Mosca. Nel ’53 ci fu un colpo di stato contro il premier iraniano Mossadeq, che aveva osato nazionalizzare il petrolio. Il 26 settembre del 1980, giusto ventisei anni fa, Saddam Hussein invase l’Iran. Sono i due pesi e due misure dell’Occidente che colpiscono gli iraniani. Saddam viene processato per vari crimini, contro i curdi e gli sciiti iracheni, ma ancora non è stato processato per aver invaso l’Iran con una guerra durata otto anni e costata al Paese due milioni tra morti ed invalidi». La questione è ancora aperta, gli incontri proseguono. Il 19 settembre i due grandi rivali George Bush e Mahmoud Ahmadinejad interverranno, sicuramente ignorandosi, alla Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
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