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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/08/2022, a pag. 15, con il titolo "Pioggia di razzi. La Jihad spara su Israele. L’incognita Hamas" la cronaca di Rossella Tercatin. Rossella Tercatin Uno scontro dalle dimensioni tutto sommato circoscritte o un conflitto su vasta scala capace di infiammare tanto Gaza quanto il territorio israeliano? A poco più di un giorno dall’inizio dell’operazione israeliana Breaking Dawn (Sorgere dell’Alba), nonostante un bilancio già ingente — dozzine di obiettivi colpiti dall’aviazione dell’Idf nella Striscia, con oltre 120 feriti e 15 morti, di cui alcuni civili, centinaia di razzi lanciati contro il territorio israeliano, inclusa Tel Aviv — è questo il grande interrogativo nella regione e nel resto del mondo. Un quesito la cui risposta dipende in massima parte da quale sarà l’atteggiamento di Hamas, l’organizzazione che governa l’enclave costiera, considerata terroristica da Israele, Stati Uniti e Ue e che, come esplicitamentedichiarato da Gerusalemme, non rappresenta l’obiettivo dell’attuale azione militare. Israele ha lanciato l’operazione venerdì a fronte di quella che il Primo Ministro Yair Lapid e il Ministro della Difesa Benny Gantz hanno definito «una minaccia concreta contro la popolazione israeliana» da parte della Jihad Islamica Palestinese. Lunedì le forze israeliane avevano arrestato in Cisgiordania un leader dell’organizzazione (nella lista dei gruppi terroristici anche in Usa e Ue) e la Jihad aveva promesso che avrebbe reagito. Da allora i villaggi israeliani situati al confine con Gaza si sono trovati in una situazione di semi-lockdown. Fino a che Israele non ha deciso di sferrare un attacco preventivo, colpendo numerosi obiettivi legati alla Jihad nella Striscia e mettendo a segno un colpo grosso: l’eliminazione di Tayseer Jabari, leader del gruppo nella zona nord di Gaza dal 2019, quando il suo predecessore Baha Abu al-Ata fu ucciso proprio dagli israeliani. E proprio quel precedente può forse fare luce su uno dei possibili scenari per l’attuale nuovo capitolo del conflitto. In quel caso la Jihad islamica lanciò diverse centinaia di missili contro Israele, ma Hamas non scese in campo e le ostilità si esaurirono nel giro di due giorni. Ieri è stato ucciso anche un altro leader della Jihad, Khaled Mansour, l’equivalente di Jabari per il sud della Striscia. Pur essendo accomunate dall’obiettivo comune dell’eliminazione di Israele, le due organizzazioni rimangono distinte e per molti versi rivali: se Hamas si trova anche ad affrontare la sfida di governare Gaza, la Jihad non ha questo tipo di responsabilità ed è invece interamente sostenuta dagli iraniani. Non a caso, il leader della Jihad Ziad al-Nakhalah si trova in visita a Teheran, dove ha incassato il pieno sostegno del regime degli Ayatollah. «Israele pagherà caro» ha tuonato durante l’incontro il capo delle Guardie Rivoluzionarie Salami. Un indebolimento della Jihad potrebbe persino fare gioco ad Hamas, notano gli analisti. Ma se la violenza dovesse allargarsi, anche il gruppo — che finora si è limitato a dichiarazioni bellicose ma ambigue — sarà probabilmente costretto a reagire. Per scongiurare questo scenario sono al lavoro diversi mediatori, in primis l’Egitto, che sta cercando diconvincere le parti a raggiungere un cessate il fuoco immediato. L’amministrazione americana ha espresso pieno sostegno a Israele e al suo diritto di autodifesa, ma ha anche ribadito di essere al lavoro con tutti i partner «per evitare un’escalation».
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