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La Repubblica Rassegna Stampa
22.06.2022 Armi a Kiev, ok a Draghi dopo un giornata sul filo: 'Difendiamo la libertà'
Cronaca di Serenella Mattera

Testata: La Repubblica
Data: 22 giugno 2022
Pagina: 6
Autore: Serenella Mattera
Titolo: «Armi a Kiev, ok a Draghi dopo un giornata sul filo: 'Difendiamo la libertà'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/06/2022, a pag. 6, con il titolo "Armi a Kiev, ok a Draghi dopo un giornata sul filo: 'Difendiamo la libertà' ", la cronaca di Serenella Mattera.

Draghi:
Mario Draghi

L’Italia continuerà ad «aiutare l’Ucraina a difendere la libertà e la democrazia». Anche, se servirà, con l’invio di armi. Dopo mesi di distinguo, due settimane di trattative, quarantotto ore sull’orlo della rottura, la maggioranza si riallinea. All’ultimo minuto utile, Giuseppe Conte decide di non rompere. Passa una risoluzione unitaria che dà mandato al governo di proseguire nella gestione del conflitto ucraino e delle sue ricadute esattamente come fatto finora, «con il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere». Il voto è compatto: 219 sì, 20 no, l’astensione responsabile dei 22 senatori di Fdi. Ed è questo che conta, dice Mario Draghi ai suoi parlamentari dopo aver ricevuto la notizia dell’accordo: «Il sostegno unito » del Parlamento al governo, perché «l’unità è essenziale specialmente » ora che «il Paese è, sia pure indirettamente, coinvolto in una guerra ». Avere il sostegno delle Camere è «importante», sottolinea, per ragioni anche «personali», perché ci sono da prendere decisioni «molto complesse, profonde», con «risvolti morali». Mario Draghi entra nell’emiciclo del Senato senza ancora sapere se Giuseppe Conte deciderà di smarcarsi e aprire la crisi. «Mah, non lo so, vediamo... », dice serafico prima di accomodarsi in Aula.

The Russia-Ukraine Crisis, Myanmar's Resistance and More

Per diciannove minuti, in un’atmosfera sospesa, rotta soltanto da cinque moderati applausi, svolge le sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo di domani e venerdì. Ha negli occhi le «devastazioni» viste la settimana scorsa a Kiev, ricorda che l’aggressione russa all’Ucraina prosegue, cita il «terribile bilancio » di 4569 morti («ma sono molti di più»), le «atrocità» dell’esercito di Vladimir Putin che dovranno essere punite. Ribadisce la necessità di «continuare a sostenere l’Ucraina per raggiungere una pace non subita ». «Spetta a tutti noi aiutare quel Paese a rinascere», dice. I senatori applaudono. Draghi prosegue. Con l’impegno europero per la «ricostruzione », la spinta «coraggiosa» per l’adesione di Kiev, dei balcanici e in prospettiva di «gran parte dei Paesi vicini alla Russia» che ora guardano all’Ue. Con le sanzioni «sempre più efficaci che faranno perdere alla Russia 8,5 punti di Pil». E con la «ricerca della pace», il tentativo di «dialogo» con Putin per sbloccare il grano ucraino, attraverso l’Onu, per «evitare una crisi umanitaria di dimensioni straordinarie». Ma nel Consiglio europeo si parlerà, ricorda il premier, anche della crisi energetica, di un «rapido e deciso» sostegno da dare ai cittadini («L’Italia ha stanziato circa 30 miliardi») e dell’urgenza di un tetto al prezzo del gas per evitare che «le difficoltà per l’Europa aumentino vertiginosamente». Quando Draghi parla, non ha ancora il sostegno della sua maggioranza. Rivendica che il governo si è mosso finora nel solco del «mandato» ricevuto a marzo dal Parlamento. Ma non sa se alla fine della seduta avrà ancora una maggioranza unita. Perché quel mandato Conte vorrebbe modificarlo, mettere condizioni all’invio di nuove armi. Contro questo tentativo Luigi Di Maio, che con sguardo severo siede accanto al premier, sta consumando la sua scissione. I senatori grillini tengono gli occhi fissi sui cellulari, la vicepresidente del Movimento Paola Taverna è collegata via Zoom, forse con il Consiglio nazionale guidato da Conte, via whatsapp gli alleati del Pd si scambiano aggiornamenti sui numeri dei dimaiani. La risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni del premier è ostaggio delle divisioni pentastellate. Per tutta la mattina, dopo la riunione fiumedi lunedì, il sottosegretario Enzo Amendola e il ministro Federico D’Incà sono stati chiusi in una stanza con i rappresentanti di maggioranza per trovare la formulazione che metta tutti d’accordo. Manca solo un tassello, il passaggio che riguarda la guerra. Il M5S a trazione contiana vorrebbe eliminare dal testo la citazione deldecreto di marzo, il n.14, che dà al governo la cornice entro cui agire e consente fino a fine anno di inviare armi all’Ucraina. Palazzo Chigi fa muro, non esiste. Allora i contiani chiedono che il governo debba almeno riferire in Aula - e non solo davanti al Copasir, con vincolo di segretezza - quando si dovranno decidere nuove «cessioni di forniture militari». Niente da fare, è la risposta. Leu, con Federico Fornaro, fa da sponda a Conte. La riunione di maggioranza viene sospesa, il M5S si riunisce in conclave, i contatti proseguono. Solo intorno alle 16 D’Incà porta a Draghi il foglio con la mediazione. È quel che voleva il governo, il premier. Si va avanti come fatto finora, l’esecutivo terrà informate le Camere ma fino a fine anno potrà inviare armi a Kiev. Il ministro degli Esteri e Guerini, che per tutto il tempo siedono accanto al premier, insieme a Giancarlo Giorgetti, sorridono soddisfatti. Il «teatrino » si poteva evitare, concordano Pier Ferdinando Casini e Matteo Renzi. Il M5S in Aula batte sul tasto della pace e annuncia la prossima battaglia sul Superbonus. Matteo Salvini non parla ma gli interventi dei suoi senatori hanno accenti di lotta, più che di governo. Gli ex grillini di opposizione attaccano il premier, lui solo per un attimo si scompone: «Ma che dite», sibila. «Non saremo la stampella della maggioranza», dice Luca Ciriani, prima che FdI si astenga. Mette le mani avanti. Perché oggi sull’Ucraina si vota alla Camera e non si attendono sorprese. Ma la maggioranza non è più la stessa. «Non sono preoccupato », assicura Draghi. Ma l’unità non è più scontata.

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