Uno scrittore rompe il tabù della Siria
E' il titolo dal pezzo di Michele Farina, uscito sul CORRIERE della SERA di oggi, 13/04/2008, a pag.14. Un aspetto della società siriana poco conosciuto, raccontato attraverso le parole dello scrittore Khaled Khalifa. Fra le righe, una strage degli anni '80, quando Afez Assad, padre dell'attuale Assad, fece sterminare decine di migliaia di abitanti della città di Hama, colpevoli di chissà quale crimine collettivo. Hama, un nome che, a differenza di altri, non è passato alla storia. Qualcuno ne ha mai sentito parlare ? I musulmani che sterminano altri musulmani non interessano ai media occidentali, non c'è bisogno che si chiamino MANIFESTO,UNITA', REPUBBLICA, STAMPA ecc. Avete mai trovato il nome Hama nelle dotte analisi di Sergio Romano, di Barbara Spinelli e dei vari espertoni della nostra sinistra-centro-destra, sempre affannati a dare i numeri dei " miliziani" uccisi da Israele ? Eppure di crimini come quello di Hama ce ne sono in gran quantità in ogni parte del mondo. Da noi si ricorda sempre Sabra e Shatila, addossandone persino la colpa a Israele che non c'entrava per nulla. Antisemitismo ? Nooooooooooooo, gridano in coro i vari Vattimo, D'Orsi,Cardini, Spinelli, Romano e chi più ne ha ne metta. Noi pensiamo invece di SI, che proprio di quello si tratta.
Ecco l'articolo:
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Il romanzo (vietato) racconta la repressione anti-islamica degli Assad |
«Malgrado la sconfitta di 25 anni fa, l'estremismo islamico è penetrato nella società. Se la rivolta si ripresentasse oggi, vincerebbero loro» Lo hanno censurato, e lui ride. Seduto davanti a una birra da Ninar, ristorante di Damasco tana di artisti e intellettuali, Khaled Khalifa sorride al giornalista del New York Times: «E' una cosa normale da noi — la censura — è divertente ». E poi, dice, non è che se ti censurano vuol dire che il libro è buono. «Non è come per uno scrittore in Europa: "Oh, mi hanno censurato!"». No, in Siria «è normale», quasi familiare: «Conosciamo chi lavora in quell'ufficio, li chiamiamo al telefono: "Perché diavolo mi avete bloccato il libro?». Quelli rispondono: «E tu perché diavolo hai scritto su un argomento simile?». «L'argomento» in questione è un tabù, uno dei grandi tabù della storia (non solo) siriana recente. Il terzo e ultimo romanzo di Khaled Khalifa, 44 anni, celibe («fortunatamente») e celebrato autore di sceneggiati tv («così mi pago gli alcolici») s'intitola «Elogio dell'odio » e ruota intorno a quelli che i siriani chiamano «gli avvenimenti»: lo scontro tra il regime di Afez Assad e gli estremisti islamici, che nei primi anni '80 culminò nella repressione della cittadina di Hama dove i militari uccisero decine di migliaia di persone. «Il libro parla della lotta tra due fondamentalismi — dice Khalifa — Stessa matrice: la cultura dell'eliminazione» dell'altro. Dittatura e/o terrorismo, stato di polizia contro stato di sharia. L'«elogio dell'odio » (il titolo viene da un'espressione della protagonista) non è un pamph-let, e questo spiega perché l'autore vada ancora tutti i pomeriggi a scrivere al Club dei Giornalisti anziché marcire in prigione come Anwar al-Bunni, avvocato e difensore dei diritti umani. «Non voglio vivere fuori dalla Siria — dice Khalifa — e so come fare». Il romanzo come scelta «tattica», oltre che di gusto. I suoi eroi sono Faulkner e García Márquez, non i disegnatori delle vignette su Maometto. La sua è la generazione dello scaltro disincanto, giovani delusi dalla «primavera di Damasco» che Basher Assad, prendendo il posto del padre nel 2000, stroncò sul nascere. «Abbiamo imparato a districarci nei campi minati dell'oggi — ha detto lo scrittore al giornale egiziano Al Ahram — Guardiamo la Siria con distacco. Ma è arrivato il tempo di riconsiderare gli ultimi 40 anni, attraverso il romanzo». A marzo l'«Elogio dell'odio» è stato tra i sei finalisti della prima edizione dell'Arabic Booker Prize, promosso ad Abu Dhabi sul modello del Man Booker Prize britannico. L'ha spuntata Bahaa Taher, egiziano. «Avessi vinto io sarebbe stato un bel problema per il regime — sorride Khalifa — il ministro della Cultura ha tirato un sospirone». Ambientato ad Aleppo, nel Nord della Siria, il romanzo segue «gli avvenimenti» attraverso la storia di una famiglia. L'io narrante è una ragazza che va ad abitare nella casa del nonno, vita dominata dalle zie: c'è Mariam, divoratrice di romanzi rosa, in preda a un'indefinita malattia di cui si sa solo che è frutto di «inappagati desideri». C'è Safaa: da garrula cultrice di canzoni d'amore a moglie di uno zelante yemenita che le impone il velo. C'è zio Omar — che traffica in armi — e zio Bakr, estremista con contatti all'estero. «Volevo mostrare come i fatti storici si riflettono nel destino dei singoli», mentre il potere li usa per «rivendicare il monopolio della verità ». Un monopolio che Khalifa sfida nelle descrizioni crude della repressione, con i cadaveri nelle strade. Anche se un generale che assomiglia al fratello del presidente rimane senza nome. E gli Alawiti, la minoranza a cui appartiene la famiglia Assad, sono descritti evasivamente come «il popolo dei monti». Al tavolo di Ninar lo scrittore è meno evasivo. «La Siria ha una storia di cosmopolitismo e tolleranza. Questa — dice Khalifa — ha impedito la vittoria degli estremisti». Ma «la violenza» degli ultimi decenni «ha eroso quelle tradizioni, dando all'intera società i tratti dell'intolleranza e della violenza. Un passo indietro dopo mille anni di storia ». Risultato? «Il fondamentalismo islamico è penetrato nella nostra società, specie tra i giovani. Se quello che è accaduto negli anni '80 dovesse ripetersi, credo che stavolta vincerebbero gli estremisti». I sogni degli arabi «sono minacciati da opposti dogmi», il dogma del partito di Dio e quello del partito unico: due ideologie che promuovono l'odio. E in un modo o nell'altro, vogliono spingerci nell'abisso». Michele Farina Europa e mondo arabo «La censura da noi è una cosa normale, divertente. Non è come in Europa, che se succede gli scrittori si sorprendono. Noi conosciamo i nostri censori, li chiamiamo in ufficio»
La sfida
Khaled Khalifa, 44 anni: il suo romanzo «L'elogio dell'odio», uscito nel 2006 e censurato in Siria, è stato tra i sei finalisti dell'Arabic Booker Prize dopo la sua pubblicazione in Libano (2007). Qui a destra, Basher Assad, dal 2000 presidente della Siria |
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