Riprendiamo da LIBERO di oggi, 02/11/2023, a pag.1, con il titolo "La mostrificazione dello Stato ebraico" l'analisi di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone, direttore editoriale di Libero
Sin dalla tragica mattina del 7 ottobre, Libero non ha avuto un solo istante di esitazione su cosa dire e su come schierarsi nella guerra scatenata da un gruppo di tagliagole non solo contro Israele, ma contro la vita, la libertà, l’umanità. Chiunque abbia chiari alcuni princìpi non poteva e non può tentennare: e, anzi, ogni minuto che passa, vale la pena di far crescere la diffidenza verso chi si collochi in una sfera di ambiguità, verso i professionisti del “ma anche”, verso quelli che, dopo una mezza frase di solidarietà verso Israele, aggiungono subito un camion di “però”. Se possibile, queste posizioni rischiano di rivelarsi perfino più insidiose di quelle dei sostenitori espliciti di Hamas: almeno questi ultimi sono riconoscibili immediatamente, stimolano subito un “anticorpo”, mentre gli altri - gli uomini in grigio, i furbetti del distinguo - possono trarre in inganno, possono sorprendere la buona fede di chi li ascolta. Ecco perché, cari lettori, dobbiamo dirci che entriamo in una fase delicatissima del conflitto, che richiede un sovrappiù di attenzione. Spero tanto di sbagliare, ma la guerra sarà lunga: un affare di mesi, non di giorni o di settimane. Se la strategia dell’esercito israeliano sarà comprensibilmente quella di provare a stanare i terroristi, di accerchiarli e farli uscire da cunicoli e rifugi, è evidente che occorrerà un tempo non breve. E’ bene sapere sin d’ora come gli avversari condurranno la loro guerra mediatica. Il primo schema l’abbiamo già ben compreso: e si tratta di una strategia volta a far dimenticare il 7 ottobre, a rendere sfocate nella nostra memoria le immagini dei bimbi israeliani sgozzati, delle persone sequestrate, delle case violate e trasformate in orridi laghi di sangue. Il secondo schema ha l’obiettivo - piano piano - di rovesciare le responsabilità, tentando di scaricare su Israele la colpa di nuovi eccidi da presentare come altrettanto gravi di quelli del 7 ottobre: anzi, come ancora più gravi, in omaggio alla ben nota tesi della “risposta non proporzionata”. Un tentativo in questo senso è avvenuto quando, sulla scia delle veline dell’ufficio stampa di Hamas, si è cercato di attribuire all’esercito israeliano la paternità di un attacco contro l’ospedale di Gaza. Sono state necessarie alcune ore per smontare la bufala e per inchiodare Hamas alle sue responsabilità: erano loro i razzi in questione, e peraltro, come già era accaduto in passato, quell’ospedale è stato dolosamente trasformato anche in rifugio per terroristi. Peggio: nei sotterranei della struttura si troverebbe il quartiere generale di Hamas o una sua porzione significativa. Ieri il solito collaudatissimo schema è stato rimesso in campo. E infatti numerosi quotidiani internazionali (Italia inclusa, ovviamente) hanno titolato: “Israele colpisce il campo profughi di Jabalia”. Non occorre essere semiologi o psicologi della comunicazione per afferrare che tipo di idea trasmetta un titolo del genere. Il messaggio subliminale è chiaro e potente: guarda com’è spietata la risposta israeliana, colpisce perfino un campo profughi. Ecco, se ci distraiamo un attimo, se abbassiamo l’asticella dell’attenzione, possiamo cascarci tutti. Ma non possiamo permettercelo, e cercherò di spiegare perché, mettendo in fila almeno tre punti. Intendiamoci: il cuore di ogni persona perbene non può che soffrire per la morte di 47 persone (questo sembra essere il bilancio dell’operazione a Jabalia). Ma il nostro cervello deve rimanere lucido, senza farsi incantare dalla propaganda dei nemici. Primo. Anche in questo caso, come in ogni altra azione delle forze di Gerusalemme, l’esercito israeliano aveva avvisato. Israele da settimane informa la popolazione sulle aree che saranno interessate dai combattimenti. E’ superfluo ricordare che invece i tagliagole di Hamas, all’alba del 7 ottobre, non avevano avvisato nessuno. Secondo. Hamas, anche in questa occasione, ha consapevolmente tenuto sul posto le persone, trattandole da bersagli, da scudi umani, da obiettivi sacrificabili. Del resto, sono gli stessi capi dell’organizzazione a proclamare che questa è la loro linea: hanno detto che serve più sangue della loro stessa gente, e hanno chiarito che i tunnel e i cunicoli servono per Hamas, mica per la popolazione civile. Terzo. Jabalia era molto altro rispetto a un campo profughi, come invece l’ufficio stampa di Hamas vorrebbe far credere al mondo. Parentesi: non vi pare di per sé lunare che tantissimi media (che amano celebrare la propria autorevolezza) si fidino dell’ufficio stampa di Hamas? Ma lasciamo perdere e cerchiamo di non smarrire il filo. In quel campo c’era (ed è stato colpito) l’uomo di Hamas che aveva coordinato l’assalto del 7 ottobre; sotto quel campo c’erano infrastrutture terroristiche sotterranee; da quelle postazioni si preparavano attacchi terroristici; e sempre lì c’erano depositi di razzi, oltre che attività logistiche e di addestramento funzionali all’aggressione contro Israele. Morale. Nelle prossime settimane e mesi, entreremo in una dimensione pericolosissima non solo sul terreno, ma pure rispetto alla guerra mediatica. Non voglio dire che Israele non sbagli mai, o che lo scrutinio critico debba essere esercitato in modo intermittente: occorre sempre vagliare bene la propaganda di guerra, da qualunque direzione provenga. Ma questo non deve farci perdere di vista la bussola. Può darsi che pure Churchill e Roosevelt - a suo tempo - abbiano commesso errori durante la Seconda Guerra Mondiale, ed è certo la Germania soffrì un numero enorme di vittime civili (oltre due milioni). Ma ciò non può rovesciare la sostanza di un giudizio storico incancellabile: da una parte c’era chi combatteva per la libertà, e dall’altra l’orrore del nazionalsocialismo. Un’ottantina di anni dopo, siamo allo stesso spartiacque. Non possiamo farci ingannare, nemmeno per un minuto.
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