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Analisi di Antonio Donno
A destra: Erdogan affetta la democrazia in Turchia
La vittoria di Erdoğan complica non solo il quadro mediorientale, ma in buona misura anche quello internazionale. Nel Medio Oriente il trio Russia, Iran, Turchia rafforza la sua presa sugli equilibri della regione, con evidente disappunto di Israele. Gli incontri fra i rappresentanti iraniani e russi con il regime saudita pone un interrogativo cruciale per il futuro degli “Accordi di Abramo”, l’intesa firmata da Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti, cui avrebbe dovuto aggiungersi il Sudan. Ma la guerra civile che si è scatenata nel paese africano mette in dubbio la sua adesione agli accordi. Così, i paesi che hanno firmato quegli accordi, ora si trovano in qualche modo circoscritti dalla presenza politica di Russia, Iran e Turchia e, più a sud, dalle aperture sempre più concrete ed evidenti dell’Arabia Saudita verso Russia e Iran. Per non parlare del Qatar, il cui governo sciita è vicino alle posizioni di Teheran.
Se questo è il quadro mediorientale che si va profilando, il movimento palestinese, nel quale sono sempre più presenti i miliziani dell’Iran e i loro portavoce politici, intravede una prospettiva positiva nella sua lotta contro Israele. Del resto, l’aumento significativo degli atti terroristici, singoli o di gruppo, nelle settimane scorse prospettano una situazione sempre più complicata per Israele. Di fatto, dunque, il Bahrain e gli Emirati Arabi Uniti, firmatari degli “Accordi di Abramo”, sono ora in una situazione difficile, perché isolati all’interno di un mondo mediorientale islamico prevalente. Da questo punto di vista, la presenza iraniana in seno all’area politica palestinese sta a dimostrare un fatto che nei prossimi anni si rivelerà cruciale: la lotta contro Israele sta sempre più avvicinando la parte sciita iraniana a quella sunnita nel Medio Oriente. Il tutto, con la malleveria di Russia e Turchia.
C’è una sostanziale differenza tra la situazione del Medio Oriente nei decenni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale e quella attuale, che si è venuta progressivamente delineando dopo il crollo del comunismo sovietico e dei suoi sudditi. Negli anni della guerra fredda, il Medio Oriente, come altre parti del mondo, vedeva la presenza conflittuale di Unione Sovietica e Stati Uniti. Gli stati mediorientali erano, grosso modo, legati a una delle due superpotenze che si contendevano un’area fondamentale dello scacchiere internazionale e che controllavano attentamente le proprie posizioni consolidate. Con la scomparsa dell’Unione Sovietica, questa vastissima regione, cruciale per gli equilibri internazionali, è divenuta un campo di competizione e contrasto sempre più evidente, nel quale i due tradizionali competitori sono scomparsi.
O meglio: la Russia di Putin lavora intensamente, e con successo, per prendere il posto che deteneva l’Unione Sovietica negli anni della guerra fredda; al contrario, gli Stati Uniti si sono, di fatto, ritirati dalla regione. Quest’evidenza ha danneggiato e sta danneggiando sempre di più la posizione di Israele nella regione. A ciò si deve aggiungere il peso della critica che parte significativa del mondo occidentale rivolge a Gerusalemme: il suo rifiuto di accettare la creazione di due stati nella regione, uno ebraico, l’altro palestinese. Questa negazione – che ha una ragione di fondamentale importanza per la sopravvivenza dello stato ebraico, ma trascurata ipocritamente dai suoi critici – ha finito per pesare sulla decisione di Washington di prendere le distanze dal suo alleato e di lasciare il Medio Oriente nella presente situazione, finché essa non diverrà esplosiva.
Antonio Donno takinut3@gmail.com |
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