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Il Medio Oriente tra Stati Uniti, Cina e Russia. Le ambizioni di Riad Analisi di Antonio Donno
Vladimir Putin Negli ultimi tempi da Washington sono giunte, a vari livelli, notizie circa la volontà americana di riprendere un ruolo centrale nelle questioni del Medio Oriente. Il recente viaggio di Biden nella regione puntava soprattutto a ristabilire rapporti significativi tra Stati Uniti e Arabia Saudita, ma sappiamo che l’incontro Biden-Mohammad bin Salman Al Sa'ud non ha avuto un esito positivo. Eppure, l’Arabia Saudita gioca oggi, ancor più di ieri, un ruolo fondamentale negli equilibri della regione. La ragione principale è la presenza sempre più pressante della Cina nella regione. Si prevede, infatti, un prossimo viaggio di Xi Jinping a Riad; per il leader cinese, che raramente ha lasciato Pechino, si tratta di un incontro molto impegnativo con i sauditi, un impegno che potrebbe portare a inediti accordi tra i due Paesi. D’altro canto, l’Arabia Saudita sta giocando una partita a tutto campo con le Potenze in conflitto: Stati Uniti, Cina e, in misura minore, Russia. Dopo non aver aderito agli Accordi di Abramo, Riad sta dimostrando la vera ragione della non-adesione: il progetto di divenire una potenza di primo piano nel Medio Oriente, un obiettivo che mai prima d’ora il regno saudita si era prefisso.
Per raggiungere questo scopo, il regno saudita, nelle intenzioni del principe ereditario, deve abbandonare, o meglio attenuare, la storica dipendenza dagli Stati Uniti per proiettarsi in un sistema globale, nel quale le proprie risorse energetiche possano garantirgli sostegni politici fondamentali per l’ambizioso progetto regionale. Del resto, la posizione attuale dell’Arabia Saudita – di futura preminenza nel Medio Oriente – discende dalla politica americana nella regione. Fu Obama a scardinare il ruolo centrale degli Stati Uniti nell’arena mediorientale, come anche in altre aree del sistema politico globale, secondo il progetto di ritirare Washington dal suo ruolo di presenza imperialistica nel mondo. I risultati, purtroppo, si sono visti. D’altro canto, se si esclude il sostegno di Trump a Israele, anche il successore di Obama ha fatto fare al proprio Paese un passo indietro nella scena internazionale.
Tutto questo ha rappresentato negli due ultimi decenni la base di partenza per i programmi egemonici di Russia e Cina. O meglio: i progetti dei due Paesi, già da tempo presenti nei loro piani di politica internazionale, si sono enormemente avvantaggiati grazie al processo di ritiro americano dalle principali problematiche internazionali, iniziato da Obama e proseguito da Trump. Un errore decisivo. Il Medio Oriente rappresenta forse il caso più significativo. Ma non è detto che l’avanzata di Pechino, e in misura minore della Russia – a causa del suo impegolarsi nella guerra in Ucraina – non abbia progetti ambiziosi in altre regioni del mondo. Forse è troppo tardi perché gli Stati Uniti riprendano il loro ruolo centrale nello scacchiere internazionale.
La potenza cinese – politica ed economica, nonostante la crisi latente in quest’ultimo settore in Cina – rappresenta un riferimento importante per molti Paesi anche del Terzo Mondo (per usare un’espressione alquanto desueta). Se per molti decenni, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano rappresentato il punto di riferimento in ogni settore della vita internazionale, oggi, il suo posto tende a essere acquisito dalla Cina. Occorre, però, fare attenzione: la Cina non sarà mai la grande potenza economica globale come lo furono gli Stati Uniti; e tuttavia, il ridimensionamento del ruolo internazionale di Washington assegna oggi a Pechino un ruolo potenzialmente preminente nello scenario mondiale. La Russia di Putin aveva la stessa ambizione, ma l’errore dell’invasione dell’Ucraina ha ridimensionato di molto i progetti putiniani. Del resto, occorre sottolineare che la Russia non avrebbe mai raggiunto la potenza economica della Cina, per cause strutturali interne al suo sistema economico.
Le elezioni presidenziali americane del 2024 ci diranno quali saranno le nuove prospettive internazionali degli Stati Uniti, ma un dato è certo: il tempo perduto non sarà facilmente recuperabile, anche se Washington dovrà impegnarsi duramente per salvare il salvabile e riprendere un itinerario positivo nella scena globale.
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