Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

 
Antonio Donno
Israele/USA
<< torna all'indice della rubrica
La situazione del Medio Oriente è nelle mani degli Stati Uniti 17/07/2021
La situazione del Medio Oriente è nelle mani degli Stati Uniti
Analisi di Antonio Donno

A destra: Joe Biden

Gli Accordi di Abramo tra Israele e alcuni Stati del Golfo Persico hanno un valore strategico di grande rilievo. Tutti i commentatori non hanno dubbi a questo riguardo, anche se la situazione mediorientale continua a soffrire di una instabilità politica che, come nel passato, può mettere a rischio qualsiasi progresso. L’esempio più lampante furono gli Accordi di Oslo del 1993, che, al contrario delle speranze – e delle illusioni – che avevano suscitato, si rivelarono ben presto una palla al piede per Israele, perché legittimarono l’Olp del capo-terrorista Arafat come il rappresentante del popolo palestinese a livello internazionale, conferendo una sorta di status politico che conferiva ad esso una sorta di diritto a presentare le proprie azioni terroristiche come momenti di liberazione del popolo palestinese dall’oppressione di Israele.

The US Is Losing Control Over The Middle East – OpEd – Eurasia Review

Forse, oggi, gli Accordi di Abramo corrono lo stesso rischio. Lo scrive Doron Matza in “Besa Perspectives”, no. 2097 del 16 luglio 2021: “[…] Un certo indebolimento dell’asse creato dagli Accordi di Abramo è visibile dal momento in cui l’Amministrazione Biden continua a impegnarsi per un nuovo accordo nucleare con l’Iran, costringendo gli Stati del Golfo a cercare un dialogo con il vicino predatore [l’Iran] per sopravvivere”. Nelle settimane scorse, infatti, vi sono stati contatti tra l’Arabia Saudita – che non ha firmato gli Accordi ma che ha stabilito proficui contatti di vario genere con Gerusalemme – e Teheran, volti a stabilire condizioni di buon vicinato tra i due Paesi. Gli Stati arabi sunniti firmatari degli Accordi di Abramo temono ciò che potrà scaturire da un rinnovato accordo sul nucleare tra Iran e Stati Uniti, un accordo che possa permettere a Teheran di continuare a sviluppare la propria forza nucleare e perciò rinnovare la minaccia al mondo sunnita che ha firmato gli Accordi di Abramo con Israele.

Il recente incontro ad Amman tra Naftali Bennett e il re Abdullah II di Giordania e tra Yair Lapid e la sua controparte giordana ha prodotto accordi soprattutto nel campo della fornitura dell’acqua israeliana alla Giordania, ma questi contatti, dopo tanti anni di silenzio tra le due parti successivi agli Accordi di pace del 1993, sottintendono questioni rimaste insolute tra Giordania e Israele. In primo luogo, il problema dei “due popoli, due Stati”, esito che avrebbe definitivamente assicurato il regno di Abdallah dal pericolo che i palestinesi della West Bank e di Giordania – la maggioranza della popolazione del Paese arabo – si alleassero per rovesciare il regno di Giordania e per creare uno Stato palestinese al posto degli attuali regnanti di Amman. Ma tale questione sembra oggi ormai superata, anche se resta una spina nel fianco del regno hashemita.

In sostanza, la “questione palestinese” è ancora un punto fermo della politica giordana. La creazione di uno Stato palestinese in un territorio concordato tra l’Autorità Nazionale Palestinese e lsraele darebbe finalmente una sicurezza esistenziale definitiva al Regno giordano. Ma il nuovo governo israeliano rifiuta questa soluzione, perché vede in uno Stato palestinese ai suoi confini la probabile creazione di uno Stato terrorista sovvenzionato dall’Iran. Ma c’è di più: uno Stato terrorista palestinese al servizio di Teheran costituirebbe un pericolo mortale sia per Israele, sia per la stessa Giordania.

Ecco perché i negoziati tra Teheran e Washington hanno un’importanza cruciale per le sorti dell’intero Medio Oriente. I rapporti tra Giordania e Iran sono pessimi, ma, nello stesso tempo, l’egiziano Al-Sisi è in contatto con il governo dell’Iraq perché si sganci dall’ipoteca iraniana. Dunque, la vicenda mediorientale è così intricata che soltanto gli Stati Uniti possono rappresentare un fattore di nuova, anche se parziale, stabilità dell’area. Washington dovrà rendersi conto che il suo ruolo è di attore principale, oggi più di ieri, in Medio Oriente, nonostante che l’agenda dell’Amministrazione Biden lo releghi al quarto posto tra le questioni internazionali degli Stati Uniti. Washington, perciò, ha una responsabilità primaria per le sorti future dell’intero Medio Oriente.

Immagine correlata
Antonio Donno

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui