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Antonio Donno
Israele/USA
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Sul Foglio Castellaneta parla di flop di Trump in politica estera. Sbaglia di grosso 01/08/2020
Sul Foglio Castellaneta parla di flop di Trump in politica estera. Sbaglia di grosso
Analisi di Antonio Donno

Giovanni Castellaneta | ISPI
Giovanni Castellaneta a svolto la sua attività diplomatica come ambasciatore d'Italia in Iran (1992-1995), in Australia (1998-2001) e negli Stati Uniti d'America (2005-2009). È stato inoltre consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana e suo rappresentante personale per i Vertici del G8 del 2001 e del 2005.


Sul “Foglio” di giovedì 30 luglio, è apparso un articolo di Giovanni Castellaneta dal titolo “I 5 flop di Trump”. Secondo l’autore, i flop sarebbero l’Afghanistan, l’Iran, la Siria, la Corea del Nord e la Cina. Castellaneta affastella cinque aspetti della politica internazionale degli Stati Uniti che, in realtà, hanno avuto sviluppi ed esiti assai diversi tra di loro, e li considera alquanto frettolosamente come fallimenti dell’impegno del presidente americano in politica estera. Occorre, però, esaminare più attentamente quegli eventi per non incorrere, come fa Castellaneta, in un facile giudizio negativo che fa di tutte le erbe un fascio senza le necessarie distinzioni. Cominciamo dalla Siria. Castellaneta rimprovera a Trump la mancanza di iniziativa negli eventi che vedono Iran e Russia spadroneggiare in Siria. In realtà, sarebbe stato più opportuno esaminare più a fondo la questione: Trump attende che la questione siriana, che si trascina da anni, produca un logoramento delle posizioni iraniane e russe, in considerazione della gravità dell’impegno economico e della crisi che, soprattutto in Iran, tende a indebolire le capacità finanziarie di Teheran in un progetto di egemonia nel Medio Oriente che si rivela sempre più arduo. Questa valutazione investe anche la Russia. Si dà il caso, perciò, che la situazione sul terreno siriano si trovi in uno stallo che logora i due pretendenti, mentre nel vicino Iraq le truppe americane osservano lo sviluppo degli eventi in Siria. Ma, poi, perché mai gli Stati Uniti dovrebbero direttamente intervenire in Siria? Le conseguenze di un eventuale intervento porterebbero a uno scontro diretto tra Washington, Mosca e Teheran, che incendierebbe il Medio Oriente e annullerebbe, come vedremo, gli esiti politici positivi raggiunti da Trump nelle relazioni con Israele e i paesi arabi sunniti, producendo, al contrario, riflessi altamente negativi in tutta la regione. Castellaneta trascura completamente questi ultimi aspetti, che coinvolgono direttamente la questione iraniana. L’Iran, presente in Siria, è il pericolo maggiore per Israele e il mondo sunnita, in virtù del progetto che il regime sciita di Teheran coltiva fin dalla rivoluzione khomeinista del 1979: la conquista del Medio Oriente e la diffusione sistematica del verbo sciita in tutta la regione. Così, nella visione di Trump, la questione iraniana e la situazione nel resto della regione sono due aspetti strettamente intrecciati. Trump e il suo governo hanno proceduto contestualmente in queste due direzioni: il rafforzamento delle sanzioni economiche contro il regime iraniano, che ora deve fronteggiare una popolazione sempre più ostile, e l’avvicinamento politico, sia pure per ragioni di opportunità – per ora – tra il mondo sunnita, che teme la minaccia iraniana, e Israele, che ha lo stesso problema. In sostanza, la politica iraniana di Trump, a differenza di quanto afferma Castellaneta, sta producendo positivi risultati, poiché nella regione è nata una sorta di coalizione anti-iraniana, che potrà avere conseguenze importanti anche sulle posizioni non certo solide – per le ragioni economiche di cui si è detto – del regime degli ayatollah in Siria. Trump, così, ha messo la corda alla gola dell’Iran (e l’eliminazione del capo terrorista Soleimani fa parte delle iniziative contro il regime teocratico) e, nello stesso tempo, ha creato un cordone sanitario tra Stati Uniti, Israele e paesi arabi sunniti contro le ambizioni di Teheran, ambizioni che nel tempo potrebbero inaridirsi. Castellaneta si esime dal prendere in considerazione questi intrecci, che sono alla base della politica mediorientale di Trump e che non costituiscono un flop per il presidente americano: tutt’altro. La Russia, dal canto suo, infognata come l’Iran nel groviglio siriano, comincia a scontare una crisi economica interna che tenta di mitigare con l’aiuto della Cina, dopo i recenti incontri tra Putin e Xi Jinping, dietro i quali è facile individuare gli scopi del capo del Cremlino. Insomma, la situazione mediorientale è in uno stallo evidente, ma l’unica realtà che emerge da questo stallo è la confluenza di interessi tra Stati Uniti, Israele e paesi arabi sunniti, non solo contro la minaccia iraniana, ma, in prospettiva, anche contro le eventuali ambizioni di Mosca. Quanto all’Afghanistan, in realtà la posizione americana appare ancora poco definita. Tuttavia, prima di parlare frettolosamente di flop, occorrerà attendere gli sviluppi successivi. Infine, l’Estremo Oriente. La recente contrapposizione tra Pechino e Washington, incrementata anche dal Covid-19 di provenienza cinese, pone delle problematiche che solo in prospettiva potranno essere esaminate e valutate. Al momento presente, la situazione tra i due colossi è in evoluzione e nessuna evidenza può essere addotta a carico di Trump. Allo stesso modo, deve essere considerata la questione nord-coreana. Un dato, però, è certo: la diplomazia americana ha nella sua agenda le problematiche che derivano dalla questione nucleare di quel paese. Anche in questo caso, parlare di flop trumpiano è fuori luogo: come la storia ci ha insegnato – e Castellaneta lo sa bene – le relazioni tra una democrazia e i regimi totalitari scontano tempi lunghi e fatiche diplomatiche di non poco conto, come ha dimostrato nei suoi anni alla Casa Bianca e nei suoi libri Henry Kissinger.

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Antonio Donno

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