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Antonio Donno
Israele/USA
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Donald Trump e il Medio Oriente 19/02/2018

Donald Trump e il Medio Oriente
Analisi di Antonio Donno

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Donald Trump con Benjamin Netanyahu

Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, l’impegno a trasferire l’ambasciata americana in quella città da Tel Aviv, il taglio dei finanziamenti alle organizzazioni che finanziano l’Autorità Palestinese sono solo alcuni degli aspetti più evidenti del nuovo corso della politica mediorientale di Washington con Trump. Più importanti e ancor più favorevoli a Israele sono alcune iniziative di Trump a livello regionale. Il National Security Strategy del dicembre 2017, nel capitolo dedicato al Medio Oriente, pone alcuni punti fermi della strategia americana verso la regione: contrasto all’Iran e alla sua espansione nell’area; lotta al terrorismo; sostegno politico, militare ed economico agli Stati deboli (Weak States), come la Giordania; intervento per controllare le rivalità regionali. Si tratta di un impegno che ribalta completamente la politica di Obama verso il Medio Oriente. V’è, però, da porre attenzione ad un fattore decisivo: mentre il disimpegno da un’area critica (Obama) è relativamente veloce, il re-impegno nella stessa area comporta tempi e modalità più complesse (Trump). È la logica del sistema delle relazioni internazionali. Nel caso del Medio Oriente, gli storici interessi americani verso la regione sono andati perduti durante gli otto anni di Obama; per riconquistarli – se sarà possibile – occorrerà un impegno straordinario da parte di Trump. Innanzitutto, occorre sottolineare che oggi la questione israelo-palestinese non è in cima all’agenda americana e, nonostante le continue accuse rivolte dagli europei e dalle organizzazioni internazionali contro Israele, neppure per loro lo è. La questione è caduta all’interno del più vasto e grave problema della rottura dell’equilibrio della regione a causa del terrorismo, della crisi di Iraq e Siria, e soprattutto dell’ingresso massiccio di Russia e Iran nelle logiche dell’area. L’obiettivo dell’Amministrazione Trump è di ricostruire tale equilibrio con la costruzione di una cooperazione tra gli Stati arabi sunniti e Israele al fine di contrastare efficacemente la presenza sempre più pervasiva dell’Iran sciita. Nella situazione attuale questa cooperazione è fondamentale per il mondo arabo sunnita, oggi in grave difficoltà di fronte alla penetrazione sciita, e per lo stesso Israele. La presenza militare americana dovrebbe costituire la base di questa nuova, inedita partnership, che coinvolgerebbe tutto il mondo sunnita, gli Stati del Golfo e l’Arabia Saudita, in grave difficoltà nella guerra in corso nello Yemen. Questo iniziativa, che ha già al suo attivo incontri ufficiali o segreti tra americani e esponenti arabi, rafforza i legami tra Stati Uniti e Israele (quasi del tutto caduti con Obama) e ha l’obiettivo di rendere Israele sicuro nella regione. Quindi, al di là delle iniziative più eclatanti a favore di Gerusalemme, ciò che è decisivo per la sicurezza di Israele è l’iniziativa globale regionale che punta a creare una nuova alleanza, impensabile fino a qualche tempo fa, ma ora cruciale per contrastare e ribaltare la penetrazione iraniana nell’area mediorientale. Un esempio fra tutti: quando Trump dichiarò Gerusalemme capitale di Israele, le proteste – obbligatorie – del mondo sunnita furono formali e quasi sottovoce. Un altro fondamentale aspetto che distingue l’approccio di Trump da quello di Obama riguarda l’accordo sul nucleare. Secondo la visione di Obama, con la firma del trattato, l’Iran sarebbe divenuto un fattore di soluzione dell’instabilità del Medio Oriente; al contrario, per Trump, l’Iran, nonostante l’accordo o forse proprio in conseguenza di quell’accordo, firmato anche dai paesi europei, ha acquisito un senso di sicurezza che gli permette di essere ancor più aggressivo rispetto all’immediato passato e perciò è divenuto un elemento di instabilità regionale ancora più acuto. Inoltre, secondo Obama, il sostegno americano a Israele era un fattore negativo per i rapporti fra Stati Uniti e i paesi arabi. Obama non valutò – o non volle valutare – che il mondo arabo sunnita, attaccato frontalmente dall’Iran sciita, aveva assoluto bisogno del sostegno americano e che i legami tra Washington e Gerusalemme erano, in fondo, indispensabili per la causa sunnita. Si legge nel NSS: “Israele non è la causa dei problemi della regione. Gli Stati [del Golfo] trovano sempre di più interessi comuni con Israele nell’affrontare la minaccia comune”.


Antonio Donno


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