Mike Pompeo in Israele: la questione dell’annessione 
Analisi di Antonio Donno

Mike Pompeo con Benjamin Netanyahu 
 Il viaggio-lampo di Mike Pompeo, Segretario di Stato americano, in  Israele ha un’importanza che va al di là delle poche ore di sosta in  quel Paese. Innanzitutto, Pompeo ha voluto, con la sua presenza,  congratularsi con Netanyahu e Gantz per la risoluzione del problema  politico-istituzionale con la costituzione di un nuovo governo  israeliano di unità nazionale. La soluzione riveste per Washington un  rilievo che supera la questione interna di Israele. Trump temeva che il  rinvio ad un quarto appuntamento elettorale potesse apparire, a livello  internazionale, come un momento di difficoltà nelle relazioni  israelo-americane, oppure come un indebolimento della capacità americana  di essere un partner decisivo nello sviluppo regionale della politica  israeliana, con conseguenze negative per la stessa immagine degli Stati  Uniti nella regione. Tradizionalmente, i paesi arabi sunniti non sono  pienamente affidabili e, perciò, una seppur solo apparente stasi nelle  relazioni tra Gerusalemme e Washington potrebbe avere effetti negativi  sulle relazioni arabe con Stati Uniti e Israele.       C’è, poi, da mettere in conto la prossimità delle elezioni  americane. Trump deve rafforzare in ogni modo la sua base di consensi,  in considerazione del pericolo costituito dall’alleanza tra Biden e  Sanders, che si sta concretizzando nella creazione di vari organismi  elettorali comuni. Da questo punto di vista, la parte dell’elettorato  che ha approvato finora Trump nella sua politica di sostegno a Israele –  attraverso una serie di iniziative di enorme importanza politica sia a  livello internazionale, sia regionale – deve essere pienamente  rassicurata sulla continuità di tale politica. Insomma, gli elettorati  di Trump e Netanyahu hanno bisogno, per ragioni interne e  internazionali, che il legame tra i due paesi proceda secondo le linee  tracciate negli anni della presidenza Trump.      Per questo motivo, è necessario che Trump provveda a dare l’avallo  definitivo all’annessione di parte della West Bank secondo calcoli  precisi. In un’intervista al quotidiano israeliano “Israel Hayom” Pompeo ha detto chiaramente che il processo di annessione, che dovrebbe  partire dal 1° luglio, rientra pienamente nelle decisioni autonome di  Netanyahu e Gantz, dopo il varo del nuovo governo, anche se l’importanza  dell’impresa richiede una valutazione attenta della superficie da  annettere. Resta incontestabile, tuttavia, che le aree nelle quali sono  presenti gli insediamenti dei coloni israeliani debbano, comunque,  rientrare nel procedimento di annessione. Occorre, perciò, secondo le  parole di Pompeo, che il nuovo governo proceda in sintonia con  Washington, secondo le valutazioni di una commissione israelo-americana  che dovrà suggerire una mappa territoriale comprendente le aree da  annettere.       Pompeo è stato molto misurato nel parlare di questa questione che è  sempre più all’ordine del giorno nell’agenda politica del nuovo governo  israeliano. È probabile che Washington tema che l’annessione possa  provocare una nuova fiammata di violenza nella regione, che i paesi  arabi sunniti, come detto, non approvino l’annessione e che, di  conseguenza, l’architettura politica messa in piedi da Washington e  Israele nella regione ne sia danneggiata. Viceversa, l’annessione  potrebbe avere effetti positivi proprio in virtù della sua drastica  applicazione. I palestinesi si troverebbero di fronte al fatto compiuto  e, nonostante le prevedibili reazioni violente, avrebbero a disposizione  soltanto due scelte opposte: continuare le azioni violente, che nel  tempo avrebbero un impatto sempre meno efficace, o adeguarsi alla nuova  realtà. La storia del conflitto ha dimostrato senza mezzi termini che il  rifiuto palestinese, reiterato nel tempo, ha provocato soltanto una  progressiva diminuzione delle aspettative e delle pretese. Di questa  realtà la dirigenza palestinese non ha mai preso atto, attestandosi su  posizioni di rigidità ideologica, con le conseguenze profondamente  negative che ne sono derivate. In più, per ragioni di convenienza  politica, anche i paesi arabi si adeguerebbero alla nuova situazione:  l’isolamento dei palestinesi sarebbe totale, perché la condanna  dell’annessione da parte degli europei non avrebbe alcuna influenza sul  fatto compiuto. La questione, dunque, è solo nelle mani di Israele. 

Antonio Donno