Molte voci, ma il coro è stonato
analisi sulla vera natura del mondo arabo
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Data: 18/08/2003
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: Molte voci, ma il coro è stonato
Un onesto e coraggioso editorialista del Jordan Times, Rami G. Khouri, ha pubblicato lo scorso 13 agosto una approfondita analisi dell'atteggiamento del mondo arabo nei confronti dei problemi messi a nudo dall'attacco terroristico dell'11 settembre.

Ne trascriviamo alcuni passi significativi.

"Mi preoccupo quando sento il Ministro degli Esteri egiziano affermare, come ha fatto lunedì scorso dopo aver incontrato i suoi omologhi saudita e siriano, che il governo provvisorio iracheno è privo di legittimità, e che di conseguenza questi tre stati hanno deciso di riprendere l'iniziativa congiunta del mondo arabo nei confronti dell'Iraq e della Palestina: percepisco che la nostra leadership si rifiuta di accettare le nuove realtà del Medio Oriente. Eserciti stranieri calpestano le nostre terre, la vera sovranità sta diventando un concetto limitato in più e più stati arabi, le idee estremiste si diffondono più rapidamente fra i nostri giovani, la violenza contro obiettivi arabi e stranieri diviene una routine nella nostra società...ed il cuore della patria araba ed islamica viene identificato e colpito come fonte originaria del terrore globale. Rispondere a tutto ciò rifiutando il consiglio governativo dell'Iraq e chiedendo una azione congiunta araba è una manifestazione di reattività negativa indegna della dignità dei popoli arabi nel cui nome questi governi parlano.
...Ugualmente problematici sono presidenti e leaders arabi che vengono eletti tre o quattro volte consecutive, spesso senza opposizione...e che con i loro partiti controllano cronicamente più dei tre quarti dei seggi parlamentari...
Non abbiamo ancora assistito ad una risposta politica collegiale del popolo arabo agli attacchi dell'11 settembre...proprio come il popolo degli Stati Uniti ha risposto scatenando la furia emotiva e militare sull'Afghanistan e l'Iraq, noi dovremmo aspettarci una reazione politica parallela dovuta dal mondo arabo. Possiamo identificare tre punti principali che attualmente esercitano una pressione su questa regione: il risentimento popolare arabo nei confronti degli Stati Uniti e di Israele, una vasta ansietà derivante dallo stress economico, ed il fatto che i regimi arabi tentino di nascondere i problemi della loro credibilità interna cercando rifugio nelle false realtà della sicurezza.
...Lasciate che speriamo che qualcuno tenti di incanalare questa acuta richiesta araba di cambiamento, vendetta e redenzione in maniera costruttiva, verso modi di governare migliori e di ampia partecipazione...".

Chiunque conosca la realtà del mondo arabo potrebbe aggiungere altre osservazioni a questa analisi, che è malgrado tutto incompleta e reticente. Le risposte vere arrivano, sul campo, dallo stesso mondo arabo. Eccone tre dei giorni immediatamente successivi.

L'Autorità Palestinese ha rilasciato una breve dichiarazione ufficiale in cui esprime il proprio giudizio sull'attacco terroristico di un kamikaze contro un supermercato della località israeliana di Rosh Ha'ayin. In essa, si condanna con una fraseologia consunta e banale quella che viene definita "l' operazione Tel Aviv", ma poi se ne fornisce una giustificazione politica che non lascia presagire altro che un aumento della tensione: è stata la risposta "alle criminali operazioni israeliane a Nablus...all'aggressione contro il nostro popolo...alle migliaia di martiri e feriti, alla distruzione ed all'assedio..." da parte di un Israele che pratica "la peggiore forma di terrorismo, distruzione, coercizione, e discriminazione razziale contro il nostro popolo... Questa occupazione, di cui nessun eguale è mai stato visto nel mondo, divora la nostra terra, le nostre fattorie, le nostre risorse, le nostre sorgenti...". Israele, conclude il comunicato ufficiale, mette in pericolo "i nostri luoghi santi cristiani ed islamici".
Per giustificare ulteriormente l'atto terroristico, il comunicato ufficiale afferma che Rosh Ha'ayin è una città israeliana costruita sulle rovine di una città palestinese, Ras al-Aa'ain, distrutta dagli israeliani nel 1948 - e dunque risultante da un crimine, che deve legittimamente essere vendicato; ma perfino i libri di storia scritti dai capi dell'OLP sugli avvenimenti della prima guerra contro Israele ("Tutto quel che rimane", Walid Khalidi, pag. 251) descrivono quel villaggio arabo come abbandonato per ragioni economiche ai primi del secolo.

E sempre a proposito di incitamento al terrorismo, segnaliamo che il 13 agosto il vice ministro palestinese alla Gioventù ed allo Sport, Ahmad al-Yazji, ha inaugurato un campeggio organizzato dal Fatah a Gaza, per 150 bambini tra i 9 ed i 15 anni. Il campeggio porta il nome della diciassettenne ragazza-shahid (martire per glorificare Allah) Ayyat al-Akhras, che compì un attacco suicida a Gerusalemme il 29 marzo 2002, e nel suo discorso il vice-ministro ha esaltato, insieme al ruolo di Fatah (facente capo ad Arafat, e referente politico del braccio operativo (terrorista) delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa), quello degli shahids.

Infine, diamo spazio alla più inverosimile delle realtà, che si inserisce in un filone inaugurato da Arafat quando, anni or sono, proclamò pubblicamente in molte occasioni (anche dinanzi al Papa) che Gesù era palestinese, non ebreo.
Il muftì dell'Autorità Palestinese, Ikrima Sabri, in una intervista rilasciata ad un periodico tedesco ha affermato che "non esiste neppure la più minuscola indicazione dell'esistenza nel passato di un tempio ebraico in questo luogo (il Monte del Tempio). In tutta la città (di Gerusalemme) non esiste neppure una sola pietra che abbia riferimenti con la storia ebraica".
In una recente intervista al quotidiano arabo londinese Al Hayyat, per parte sua, Arafat aveva a sua volta dichiarato che gli archeologi "non hanno trovato una sola pietra che provi che il Tempio di Salomone sorgeva qui, perché storicamente il Tempio non sorgeva in Palestina".
Negare quanto non può essere negato: che la patria storica e religiosa del popolo ebraico, la sua stessa culla, è in Palestina, e che il cuore di essa, la sua essenza, è Gerusalemme; affermare quanto è indecente affermare: che non esiste un legame storico e religioso degli ebrei con la Palestina e con Gerusalemme. E' un compito che Arafat ed alcuni suoi fedelissimi si sono assunti e stanno perseguendo da tempo, senza che il mondo insorga indignato, senza che una sola autorità politica o religiosa dell'Occidente lo accusi di falsità, e riconosca il pericolo di un tale sconvolgente ed indegno tentativo di seppellire con la sua storia la patria di un popolo.

Vogliamo concludere questa carrellata con una notizia che i nostri media hanno trascurato, ma che ci pare ciò malgrado emblematica e degna della massima attenzione. Il ministero retto da Dahlan ha confiscato giorni fa un bonifico di 3 milioni di dollari mandato dal regime iraniano alla sede palestinese della Jihad Islamica attraverso compiacenti banche arabe, ed ha destinato questo ingente importo, che avrebbe dovuto fomentare il terrorismo, ad opere di carità.