Titanic: un cumulo di banalità assemblate da Gianni Riotta:
Israele è un'invenzione
Testata: Corriere della Sera
Data: 13/08/2003
Pagina: 6
Autore: Gianni Riotta
Titolo: 'Titanic' - Una conversione al linguaggio di pace
E' quasi un controsenso accusare Gianni Riotta di scrivere banalità, di trinciare giudizi superficiali, di cedere a quei pre - giudizi (giudizi formulati prima di conoscere la realtà, o ignorandola) che gli sono normalmente estranei. Eppure, scrivendo del rapporto fra israeliani e palestinesi, con sullo sfondo i problemi del conflitto che ha oramai 55 anni di storia e di immani sofferenze, Riotta inciampa proprio su questo genere di luoghi comuni.
Israele è una "invenzione incredibile del XX secolo", non la continuità resasi Stato di una più che trimillenaria storia del popolo ebraico, ma a questa ammirazione si contrappone senza neppure prendere fiato "la simpatia e la compassione per la popolazione palestinese, le sue sofferenze e aspirazioni" , simpatia e compassione che "aumenta in parallelo" (con l'ammirazione per un Israele "inventato"!).
Saltiamo una serie di analoghe banalità dolciastre e fasulle. "Per Israele sopravvivere isolata e nemica, non è soltanto impossibile: è un esito che rovinerebbe alla radice gli ideali migliori di quel Paese. Né i palestinesi hanno una opzione militare valida" prosegue Riotta. La sua affermazione sui migliori ideali di Israele che verrebbero rovinati alla radice se la Road Map fallisse, sulla quale lasciamo ai lettori che conoscono la storia di Israele e dell'ebraismo ogni giudizio, galleggia in una irreale assenza di storia e di ideali, ma è la seconda parte di quella frase che lascia interdetti: i palestinesi non hanno una valida opzione militare, dice Riotta, come se non fosse invece indispensabile una opzione politica da contrapporre alla scelta delle armi e del terrorismo! Implicitamente, Riotta afferma quanto vorrebbe nascondere: che i palestinesi hanno una esclusiva visione di soluzione violenta del conflitto, e che ogni diversa opzione è per loro impraticabile.
Riotta intervista l'amministratrice dell'università palestinese di Bir Zeit, che è molto ottimista; forse, se avesse intervistato invece alcuni docenti di storia e dottrine politiche, invece di una contabile, e se avesse dato un'occhiata anche rapida ai testi in uso nelle scuole elementari e medie, avrebbe evitato di riporre tanta fiducia nelle istituzioni della cultura palestinese e nella loro capacità di formare una generazione di leadership pacifica e pacifista.
Riotta rimprovera agli ebrei di non saper comunicare agli altri il loro desiderio di pace: "Possibile che chi ha saputo far rinascere un linguaggio non sappia usare la stessa fantasia per una comunicazione di pace?". La frase sembra scritta da un bambino di 10 anni, che si sorprende perché tutto il passato gli è estraneo. Dov'era Riotta negli ultimi decenni? E dov'era quando Barak discuteva di pace con Arafat a Camp David, poco prima dell'11 settembre?
"Le sofferenze degli israeliani li legittimano alla loro bella e minuscola nazione" conclude Riotta, sbagliando nuovamente. Le sofferenze del popolo ebraico, ed in particolare quelle legate alla Shoah, non sono state che l'ultimo e decisivo passo verso la nascita (meglio: rinascita) di una patria che esso non aveva mai cessato di sognare e desiderare durante i 2000 anni di esilio, nella quale non aveva mai cessato di abitare fisicamente anche se in numero esiguo, ed alla quale era stato legittimato dai trattati internazionali delle prime tre decadi del Novecento. Le sofferenze inflitte al popolo d'Israele non sono state la legittimazione, ma la conseguenza della nascita (rinascita) dello stato ebraico.
Qui concludiamo una analisi che ci rammarichiamo di aver dovuto fare, perché Gianni Riotta non è Sandro Viola, non è Paolo Longo, non è Igor Man.

Prima di terminare, tuttavia, vogliamo anche richiamare l'attenzione dei lettori su un articolo del Corriere di oggi ("Quelle cellule ribelli pilotate dall'estero" ) nel quale Guido Olimpio spiega con ricchezza di dettagli quale sia la rete di complicità politiche ed operative che trova il suo sbocco nella programmazione ed attuazione congiunta di azioni terroristiche fra gli Hezbollah del Libano e le formazioni integraliste palestinesi. Tuttavia, anche questo articolo non è esente da una censura: Olimpio punta ripetutamente il dito accusatore contro l'Iran, ma neppure una volta contro la Siria; eppure, come Olimpio sa, la Siria occupa il Libano e gli Hezbollah non agiscono senza la sua autorizzazione e copertura politica, ed in Siria sono situati gli uffici di programmazione politica delle organizzazioni terroristiche palestinesi.

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