Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Shalom Yerushalmi, dal titolo "La sfida del ministro della difesa Gallant al primo ministro: Decidi e dichiara apertamente che Israele non intende governare Gaza". Tradotta da Times of Israel
Il ministro della difesa Yoav Gallant ha acceso una miccia quando, mercoledì sera, ha diffuso un discorso in cui accusa il governo per la gestione della guerra a Gaza. L’accusa, tuttavia, andava montando da mesi.
Gallant, il ministro della difesa che venne memorabilmente (anche se brevemente) destituito nel marzo 2023 per aver avvertito che la lacerazione nel paese sui progetti di “riforma” giudiziaria di Benjamin Netanyahu rappresentavano una concreta minaccia per la sicurezza di Israele, evidentemente ha sentito di non poter più accettare le manovre politiche del primo ministro.
Questa volta Gallant ha esortato Netanyahu a prendere delle decisioni (“l’indecisione è, in sostanza, una decisione” ha detto) e ha parlato in particolare di tre decisioni di importanza nazionale, se non addirittura storica, che finora il primo ministro non è riuscito a prendere.
Primo. Netanyahu vuole una guerra breve o lunga? Questa domanda è al centro della inequivocabile richiesta del ministro della difesa che il governo discuta e decida un’alternativa a Hamas a Gaza, cosa che inevitabilmente accelererebbe la fine dei maggiori combattimenti e darebbe alle Forze di Difesa israeliane una direzione precisa.
Il portavoce militare, Daniel Hagari, ha lasciato intendere la stessa cosa nei commenti fatti durante una conferenza stampa martedì, che sono sembrati una velata critica a Netanyahu.
Gallant sa che il ritardo da parte dei leader israeliani, senza una decisione su questo aspetto, lascia l’esercito bloccato a Gaza e rafforza Hamas, a costi inaccettabili. Uno scenario che sembra sempre più simile alle guerre in Libano, quando i giorni passavano senza che venisse adottato alcun piano, costando la vita dei soldati.
A spingere Gallant a pronunciare il suo discorso, che a volte è suonato come un ultimatum a Netanyahu, potrebbero anche aver contribuito le pesanti perdite degli ultimi giorni, incluso l’incidente da fuoco amico a Jabaliya di mercoledì in cui sono rimasti uccisi cinque soldati.
Secondo. Gallant ha chiesto a Netanyahu di dichiarare pubblicamente che è contrario a un governo militare e civile israeliano nella Gaza post-Hamas. In altre parole, ha insistito affinché il primo ministro dica per la prima volta al paese e al mondo che Israele non perseguirà l’occupazione di Gaza né la gestione delle questioni civili nel modo in cui venne instaurato il sistema di governance militare nei territori conquistati con la guerra dei sei giorni. Gallant non vuole condurre Israele a impantanarsi a Gaza come è impantanato in Cisgiordania, cioè in una situazione in cui sia costretto a governare su milioni di palestinesi ostili: uno scenario terrificante che potrebbe distruggere lo stato, a breve o a lungo termine.
Vent’anni fa, Gallant era consigliere militare dell’allora primo ministro Ariel Sharon e già allora aveva capito che non c’era futuro nel mantenere la presenza di poche migliaia di civili israeliani in mezzo all’enorme popolazione palestinese di Gaza. Nel 2005 Sharon diresse il completo disimpegno israeliano dalla striscia di Gaza.
Anche se non lo ha detto esplicitamente, Gallant non è contrario al fatto che l’Autorità Palestinese assuma un ruolo nella gestione della striscia di Gaza dopo la guerra: ha menzionato non meglio specificate “entità palestinesi” che, secondo, lui dovrebbero governare con il sostegno di “attori internazionali”.
Netanyahu, in risposta al discorso di Gallant, ha colto questa posizione e ha dichiarato che come primo ministro “non sostituirà Hamastan con Fatahstan” (in riferimento a Fatah, la fazione palestinese che fa capo al presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen). E’ una posizione che Netanyahu ribadisce dall’inizio della guerra, sottolineando il rifiuto dell’Autorità Palestinese di condannare la carneficina del 7 ottobre e il fatto che essa “sostiene il terrorismo, educa al terrorismo e finanzia il terrorismo”. Per come la vede Netanyahu, uno stato palestinese sarebbe una riproposizione di Hamas.
Dunque ci sarebbe lo spazio per un dibattito legittimo e sostanziale su come uscire da Gaza. Ma il rapporto teso tra il primo ministro e il ministro della difesa, e il reciproco sospetto, lo stanno trasformando in una disputa personale.
Bisogna anche prestare attenzione alle ultime parole che Netanyahu ha usato nel suo video di risposta, diffuso subito dopo il discorso di Gallant: “Non ci sono scuse”, ha detto il primo ministro. Come dire, Gallant e altri critici sono dei codardi che stanno essenzialmente cercando una scusa per uscire da Gaza senza aver prima debellato Hamas.
La terza decisione che Gallant ha chiesto a Netanyahu riguarda il futuro del governo. Da che parte stai, ha chiesto in sostanza il ministro della difesa: stai con me, Benny Gantz e Gadi Eisenkot, o stai con i ministri di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir? Questo era il sotto-testo del suo appello a “promuovere l’interesse nazionale sopra tutti gli altri interessi, anche se ciò richiede di pagare costi politici o personali”.
Una decisione da parte di Netanyahu di affidare il governo di Gaza nelle mani dell’Autorità Palestinese significherebbe uno scontro diretto con Smotrich e Ben Gvir (Smotrich ha accusato Gallant di volere “la creazione di uno stato terrorista palestinese come ricompensa a Hamas”; Ben Gvir ha arringato una folla a Sderot invocando la ripresa immediata di insediamenti in ogni parte della striscia di Gaza ndr).
Qualsiasi decisione operativa di Netanyahu di ritirarsi completamente da Gaza porterebbe inevitabilmente all’uscita dalla coalizione dei partiti di estrema destra Sionismo religioso e Otzma Yehudit. Questa minaccia incombe come una spada di Damocle sulla testa di Netanyahu. Per ora, volente o nolente, resta legato a loro.
Ben Gvir e Smotrich hanno subito chiesto a Netanyahu di licenziare Gallant. Ma Netanyahu non può destituire Gallant. Netanyahu non è forte come lo era quando licenziò i precedenti ministri della difesa Yitzhak Mordechai e Moshe Ya’alon. Anche qui non ha scelta: ha bisogno di tenere insieme tutta la coalizione e il gabinetto di guerra, e per ora deve incassare la contestazione di Gallant.
Nel frattempo sembra che altri leader del suo partito, il Likud, avvertano i segnali di debolezza di Netanyahu e stiano cominciando a prendere coraggio.
Durante una recente riunione del governo, il ministro Nir Barkat ha detto un po’ di quello che dice sempre a porte chiuse, ovvero l’assoluta responsabilità di Netanyahu per il fallimento del 7 ottobre e per le continue esitazioni su Gaza.
Yuli Edelstein, che presiede la commissione affari esteri e difesa della Knesset, ha dichiarato che la commissione approverà solo una legge che sia veramente robusta sull’arruolamento degli ultra-ortodossi, e non il bluff di disegno di legge avanzato giovedì dalla Commissione ministeriale per la legislazione (un’altra questione bruciante nel paese, specie dopo il 7 ottobre, sulla quale Netanyahu sembra barcamenarsi fra le opposte posizioni dei suoi ministri).
La domanda chiave è: stiamo assistendo a una vera erosione della posizione di Netanyahu all’interno del Likud? Finora non sembra. Gallant, Barkat ed Edelstein sono rivali tra loro e ognuno di loro gioca la propria partita. Netanyahu potrebbe manovrare loro e tutti gli altri membri del partito.
Ma se il Likud continuerà a scendere nei sondaggi fino a 15 seggi o meno, la faccenda potrebbe prendere un’altra piega.
(Da: Times of Israel, 17.5.24)
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