Abu Mazen oggi in America
nella speranza di ottenere presto concreti risultati sulla Road Map
Testata: Il Foglio
Data: 25/07/2003
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Oggi Abu Mazen, poi Sharon: la road map va a Washington
Riportiamo l'articolo sugli sviluppi intorno alla road map in vista degli incontri dei premier di Israele e Palestina con Bush a Washington, pubblicato su Il Foglio venerdì 25 luglio 2003.
New York. Abu Mazen oggi, Ariel Sharon martedì prossimo, un premier vacillante,
uno forte, la road map si sposta a Washington, su obiettivi già molto ridimensionati rispetto a quelli ambiziosi tracciati ad Aqaba, eppure il presidente americano ha fretta ugualmente di ottenere risultati concreti,
perciò dalle parti pretende passi, da mostrare tanto negli Stati Uniti che agli altri. Soprattutto negli Stati Uniti, ché gli strateghi della campagna di rielezione del 2004, si creda o no, è sui grandi risultati di politica internazionale e di lotta al terrorismo di George W. Bush che intendono giocare. Plenipotenziario del presidente americano per la pace in Medio Oriente si rivela ogni giorno di più il consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice, la quale conferma di avere qualche disputa con il governo israeliano, già rivelata durante la visita recente a Gerusalemme.
Tanto che dall’ufficio di Sharon qualcuno scherza, ma neanche tanto, sul fatto che siamo già in campagna elettorale, intendendo quella americana presidenziale, e che Israele comincia a doverne pagare qualche prezzo. Si sa che agli amici si chiede sempre più di quanto non si chieda agli estranei. Non è così, replica il segretario di Stato, Colin Powell, che ha dato un’intervista
al Washington Times, non è vero che facciamo richieste più dolorose agli israeliani, spingiamo e facciamo pressioni sulle due parti allo stesso modo.
La ragione del contendere si chiama separation fence, siepe, se preferite muro,
barriera di separazione, in costruzione forzata per proteggere il territorio di Israele nelle zone di contiguità più pericolose: è il dibattito del giorno mentre si preparano le visite, e l’Amministrazione, sempre per voce di Condoleezza Rice, fa sapere di essere contraria all’operazione, in accordo con
l’Autorità palestinese, e ne discute animatamente con Silvan Shalom, ministro degli Esteri di Sharon. Il quale si difende contrattaccando, la separazione aiuta il processo di pace, argomenta, perché rende gli attentati più difficili, aiuta a fermare i terroristi che vogliono compromettere la tregua.
La Rice ha detto a Shalom che vuole risultati più incoraggianti anche sulla questione del rilascio dei prigionieri palestinesi, fermo restando che l’amnistia riguarderà solo chi non si sia macchiato di reati di sangue. E che lo sgombero degli outpost, gli avamposti illegali costruiti in West Bank, già cominciato, deve andare più rapidamente avanti. Shalom, anticipando quel che dirà il primo ministro martedì, ha risposto che la possibilità di Abu Mazen di
disarmare e smantellare il terrorismo, aldilà della tregua temporanea di tre mesi strappata dagli egiziani, ancora non si vede in alcun modo.
Abu Mazen è arrivato ieri, si dice che sia spaventato, è come se fosse in libertà vigilata, comunque in autorità vigilata, il suo, prima con il direttivo di Fatah, poi con lo stesso Yasser Arafat, è stato almeno in patria
un cedimento a standard di richiesta più alti rispetto a quanto stipulato, accettato, durante il summit di Aqaba. Se non torna con risultati graditi all’Autorità palestinese, rischia la defenestrazione, già è stato accusato di cedimenti a Israele, il suo ministro dell’Informazione, Nabil Amr, lo ha detto chiaro, o il premier ottiene qualcosa di sostanzioso o dovrà affrontare "serie
difficoltà nelle strade e fra i legislatori palestinesi, che decideranno se dargli ancora la loro fiducia o ritirarla". Sostanzioso significherebbe migliaia di prigionieri, anche quelli responsabili delle stragi di civili
israeliani, e stop immediato ai settlement, agli insediamenti. Alla prima richiesta Washington non convincerà Sharon, e lo sa benissimo, come ha già spiegato Shaul Mofaz alla Rice e allo stesso George Bush, "sarebbe come chiedere a voi di liberare quelli responsabili dell’11 settembre". E allora?
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