Riprendiamo da ITALIA OGGI la recensione di Diego Gabutti.
Iosif Brodskij e Igor’ Olejnikov, La ballata del piccolo rimorchiatore, Adelphi 2023, pp. 36, 18,00 euro.
«Eccomi, questo sono io. / Mi chiamo Anteo. / Niente a che vedere / con l’antico eroe. /Sono un rimorchiatore. / Lavoro qui nel porto». Comincia così La ballata del piccolo rimorchiatore di Iosif Brodskij, Nobel per la letturatura 1987, tra i massimi poeti del Novecento. La ballata è una lunga poesia apparsa nel 1962 su Koster, un mensile per l’infanzia. Sono i soli versi di Brodskij pubblicati in Urss prima del crollo. Con le illustrazioni d’Igor’ Olejnikov, premio Hans Christian Andersen nel 2018, La ballata esce in edizione Adelphi nella traduzione di Serena Vitale, autrice di classiche opere saggistiche sulla letteratura russa, da Il bottone di Puskin (Adelphi 1995) a Il defunto odiava i pettegolezzi (Adelphi 2015). Nel 1964, due anni dopo la pubblicazione di questa poesia, Brodskij fu condannato a 5 anni di lavoro forzato per «parassitismo sociale» (nessuno, tanto meno l’Unione Scrittori Sovietici, l’aveva autorizzato a scrivere poesie e a definirsi poeta, decretò il giudice). Eppure il piccolo rimorchiatore, nel quale Brodskij evidentemente si riconosceva, tutto era tranne che un parassita sociale o un mangiaufo. Come lui, anche Brodskij avrebbe voluto «viaggiando vedere / altre terre, / là dove le costiere / dormono serene, e solo dalle palme viene / il chiacchierio di mille pappagalli». Ma sempre come il rimorchiatore, anche Brodskij conosceva (diciamo così) il suo dovere e, «se pure mi addolora / non fare il marinaio, / e vorrei tanto vedere / meravigliosi mari, / [...] / DEVO RESTARE / LÌ / DOVE DI ME HANNO BISOGNO». Magari le maiuscole con le quali il piccolo rimorchiatore, e Brodskij con lui, proclamavano la propria disponibilità al sacrificio suonavano, sotto sotto, non tanto come un presentat’arm quanto piuttosto come l’invocazione d’altre terre, di costiere serene, dove viene dalle palme il chiaccherio dei pappagalli. Tali località remote – isole di R.L. Stevenson, mari di Conrad e di Melville – alle quali anelavano sia il piccolo rimorchiatore sia il sedicente poeta avevano l’aria d’essere il Reame di Oz oltre la cortina di ferro: l’Occidente, dove Iosif Brodskij approdò alla fine, espulso dal paradiso socialista perché indegno di viverci. Qualche tempo prima di lasciare l’Unione Sovietica, per imparare bene la lingua, Brodskij traduceva di gran lena poesie dall’inglese, William Blake, forse i sonetti di Shakespeare, ma soprattutto W.H. Auden, di cui si riconosceva discepolo. Traduceva anche le liriche dei Beatles, e una volta disse che, tra tutte le canzoni (immortali) di Lennon-McCartney, gli piaceva particolarmente Yellow Submarine, forse perché il sottomarino giallo era in fondo una specie di rimorchiatore, come Anteo, che «sotto di [sé] ha il mare / in alto il cielo». Anteo, a differenza del sommergibile color limone dei Beatles, che combattevano apertamente e con audacia i Biechi Blu, eraun ribelle sotto copertura che fingeva d’essere fiero di presidiare il porto e la baia sulla Nevà per conto dei Biechi Rossi, ma intanto anelava al giorno in cui farà rotta «verso un sogno beato, / e tra foreste blu / arriverò al paese d’oro / da dove ancora, / vuole la leggenda, / nessun rimorchiatore / è mai tornato». Questo sogno beato, che qui Brodskij listava a lutto, era naturalmente una rivendicazione di libertà, che il poeta autoproclamato senza il consenso dell’Unione Scrittori (nonché futuro Premio Nobel) inseguì a San Pietroburgo in giovinezza, amico di Anna Achmatova e di Nadežda Mandel’štam, la prima poetessa senza pari, la seconda vedova di Iosip Mandel’štam e autrice del più straordinario memoir da Mordor mai concepito (Speranza contro speranza, Settecolori 2022). E che inseguì anche dopo, a New York, dove visse, e a Venezia, dove oggi è sepolto, località entrambe dove in qualche modo c’è nell’aria, inconfondibile, il fruscio delle palme agitate dal vento e il chiacchierio dei pappagalli.