Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/09/2023, a pag. 10, l'intervista di Enrico Franceschini dal titolo 'Con coraggio cambiò i rapporti tra sinistra e Israele'.
Enrico Franceschini
Avi Pazner
Giorgio Napolitano
Avi Pazner, lei era ambasciatore di Israele a Roma quando nel 1991 maturò la visita di Napolitano a Gerusalemme: perché quel viaggio si può definire storico? «Ancora prima di venire a Gerusalemme, Napolitano si distingueva come il dirigente del Pci che più sosteneva Israele. Ma il viaggio non fu semplice. Erano tempi difficili, in cui lo Stato ebraico non era popolare nella sinistra italiana. Ci volle molto coraggio da parte sua nell’accettare quell’invito».
Perché Israele non era popolare nella sinistra italiana? «Per gli storici legami del Pci con l’Unione Sovietica, che era sempre stata dalla parte degli arabi nei conflitti medio orientali. E perché per molti membri o elettori del Pci appoggiare i palestinesi rendeva inconcepibile riconoscere i diritti degli israeliani».
C’era pure dell’antisemitismo, in questa posizione anti-Israele della sinistra italiana? «A mio avviso sì. È moltofrequente che un atteggiamento anti-israeliano diventi antisemitismo, odio verso gli ebrei e tutto ciò che rappresentano, magari in maniera implicita, quasi inconsapevole».
E la visita di Napolitano contribuì a cambiare questo atteggiamento? «Rappresentò una svolta, per l’importanza che Napolitano aveva nel Pci e il prestigio che aveva in Italia. Al suo ritorno, poco per volta, trasmise ad altri comunisti italiani la sua ammirazione per i valori di Israele, la necessità di combattere l’antisemitismo in ogni forma, la possibilità di criticare Israele, che è certamente legittimo, ma accettando il suo diritto di esistere e rispettandolo».
Come andò in concreto la visita del ’91? «Il primo ministro era Yitzhak Shamir, leader del Likud, ovvero della destra, ma ricevette Napolitano molto calorosamente perché capiva l’importanza del messaggio che quel viaggioavrebbe potuto avere per una migliore comprensione di Israele da parte della sinistra italiana. Il momento era delicato, perché si era alla fine della prima Intifada (la rivolta dei giovani palestinesi con le pietre, ndr ),ma anche alla vigilia della conferenza di pace di Madrid convocata dal presidente Bush padre, dalla quale sarebbe poi sbocciato, sotto la presidenza Clinton, il processo di pace di Oslo».
Napolitano incontrò anche Yitzhak Rabin, che, come premier israeliano, avrebbe poi stretto la mano ad Arafat sul prato della Casa Bianca? «Sì, a Gerusalemme incontrò anche Rabin e Shimon Peres, i leader del partito laburista, allora all’opposizione. Gli piacque particolarmente Peres, il che non è sorprendente, perché Peres come tutti sanno aveva enorme fascino e calore umano. La sorpresa, in realtà, fu che Napolitano legò molto proprio con Shamir, uomo di destra, in apparenza burbero ma sincero e con un grande interesse, perfinosimpatia. per la rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, della quale lodava gli aspetti sociali ed economici».
E cosa successe nel Pci dopo il viaggio di Napolitano a Gerusalemme? «Napolitano influenzò sicuramente dirigenti più giovani, come Fassino e Veltroni. Mise le basi del successivo viaggio a Gerusalemme di Achille Occhetto, come segretario del partito, che segnò definitivamente la svolta nei rapporti tra la sinistra italiana e Israele. Tornò lui stesso in Israele altre volte. E venne spesso a cena nella mia residenza di ambasciatore a Roma. Posso rivelare che, quando era ministro dell’Interno, Napolitano fece ogni sforzo per garantire la sicurezza dell’ambasciata d’Israele, in quei giorni minacciata dal terrorismo. Ci fu di grande aiuto. Oggi lo ricordo con affetto e con cordoglio, come un grande uomo politico e un grande amico degli ebrei».
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
rubrica.lettere@repubblica.it