Unità a senso unico
Ennesimo strabismo propalestinese
Testata:
Data: 02/04/2003
Pagina: 2
Autore: Andrea Bonzi
Titolo: Io, donna e disabile in zona di guerra.
Compiere gesti di solidarietà nei confronti di chi soffre è encomiabile.

Compiere gesti di solidarietà sempre e soltanto a senso unico (in questo caso nei confronti della popolazione palestinese) diventa sospetto.


Bologna è sempre in prima fila quando si devono "difendere" i diritti del popolo palestinese "ingiustamente oppresso" dai "cattivi" israeliani.

Ora sono le manifestazioni in difesa della "pace" con i partecipanti travestiti da kamikaze, ora sono i cortei con atti vandalici dinanzi alle fabbriche che producono macchinari per l’esercito israeliano fino ad arrivare al boicottaggio dei prodotti provenienti da Israele.

L’ultima iniziativa in ordine di tempo, lodevole dal punto di vista umano, fa sorgere tuttavia alcune perplessità.

Tamam è una donna disabile che lavora come operatrice in un centro medico per assistere arabi portatori di handicap; in questi giorni è ospite a Bologna di due Associazioni filo palestinesi, "Donne in nero" e "Orlando".

Riportiamo alcuni stralci non proprio obiettivi dell’articolo di Andrea Bonzi.

Forza di volontà e determinazione non le mancano. Sono qualità indispensabili se vivi in una zona di guerra e hai deciso di aiutare gli altri. Tutti i giorni Tamam si alza alle 6 del mattino, prende il bus e si reca al lavoro: per coprire 15 chilometri di distanza ci vogliono quasi due ore, perché la strada è impervia e sono necessarie molte deviazioni. Gli imprevisti sono all’ordine del giorno, perché Tamam abita a Silat Al Thaher, un piccolo paese in provincia di Jenin, nei Territori occupati, ed è una operatrice del locale centro dell’Union palestinian medical relief committee, il comitato di soccorso medico che, dal 1979, cerca di colmare le lacune delle infrastrutture sanitarie del paese, causate da anni di occupazione
La mancanza di strutture sanitarie non è imputabile agli anni dell’ "occupazione" ma alla corruzione di tutta l’Autorità Nazionale Palestinese e del loro amato leader, Arafat, che si è intascato in questi anni i contributi economici che la Comunità europea destinava al suo popolo.

Una parte inoltre veniva "saltuariamente" devoluta a finanziare i kamikaze!!

Nelle scorse settimane la donna è venuta per la prima volta in Italia, a Bologna, ospite delle associazioni "Donne in nero" e "Orlando che si battono per i diritti delle donne nelle zone più calde del mondo, dall’Afganistan all’Iraq, passando per la Palestina.

…..Lo stato di conflitto in Palestina è costante, la gente è preparata al peggio, e non riesco ad immaginare una situazione più grave di quella che già stiamo vivendo. Tutte le città sono periodicamente circondate – racconta – le visite dei carri armati israeliani sono frequenti.

Perché frequenti sono le "visite" dei kamikaze che si fanno saltare in aria nelle strade di Israele.
Le riunioni quotidiane, nelle quali io e i miei colleghi decidiamo come organizzare la giornata ed il lavoro, sono molto tese: il rischio di essere colpiti è costante.
Anche per i soldati ai check point il rischio di morire è quotidiano; anche per ogni cittadino israeliano il rischio di essere fatto a pezzi è costante.

Ma su questi particolari il giornalista preferisce glissare.

Sarebbe interessante invece sapere quanti adolescenti senza gambe, quanti ragazzi sulla sedia a rotelle vittime del terrorismo disumano dei kamikaze di Jenin sono stati invitati dalle "Donne in nero".

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