Democrazia e dittatura: la scelta del vaticano
Una profonda analisi sul pacifismo cattolico
Testata:
Data: 03/04/2003
Pagina: 114
Autore: Daniele Scalise
Titolo: I soldati del papa
Riportiamo un articolo di Daniele Scalise pubblicato sulla rivista Prima Comunicazione di aprile 2003.
Entri in una parrocchia e sei circondato dalle bandiere arcobaleno come in una sezione di Rifondazione Comunista, apri Famiglia Cristiana e hai l’impressione di leggere Liberazione. Strani questi cattolici, improvvisamente innamorati di una pace senza se e senza ma. Strane (ma poi mica tanto) queste gerarchie cattoliche, repentinamente convinte che Saddam non si abbatte né si cambia ma semmai lo si persuade con le buone maniere a smetterla di fare il cattivone, a buttar via tutte quelle armi (sempre che ne abbia, mica è detto) che potrebbero fare del male. Il mese di febbraio è stato un mese di grandi sforzi diplomatici da parte della Santa Sede mirati tutti a bloccare qualsiasi tentativo di lasciar parlare le armi. E la stampa cattolica non è venuta meno al suo compito di megafono delle scelte papali. L’Osservatore Romano dice, scrive, ripete e ribadisce che questa guerra non s’ha da fare. Con il suo stile color cenere, la prosa da bollettino ufficiale e le foto da archivio Alinari, già il 16 febbraio il quotidiano papale aveva stigmatizzato che "nel profluvio di dichiarazioni e di controdichiarazioni di questi giorni, è stato giustificato l’uso degli arsenali militari proprio come ricorso alla ‘forza della forza’. La solita e facile via d’uscita". A fine mese è compito di due big del pensiero cattolico - il professor Giorgio Rumi e ad Andrea Riccardi, quest’ultimo fondatore della Comunità di Sant’Egidio e voce ascoltatissima Oltre Tevere - ribadire l’appoggio alla politica di Woytjla contro la guerra e alla giornata di digiuno.
Anche l’Avvenire si arma per la crociata pacifista tanto da arrivare a dare notizia che anche la cantante pop Madonna – una volta considerata la sorella cattiva del diavolo – nutre profondi sentimenti pacifisti. Il 30 gennaio Vittorio E. Parsi sostiene che "una guerra all’Iraq oggi rischia di finire anche in senso politico, laicamente politico, come un’avventura senza ritorno". L’arrivo a roma del numero due di Baghdad Tareq Aziz (ospite dei frati del Sacro Convento di Assisi) sembra in qualche modo rafforzare la simpatia vaticana per questo brav’uomo (un dettaglio trascurabile il fatto che si rifiuti di rispondere alle domande di giornalisti ebrei). Il 15 febbraio il quotidiano diretto da Dino Boffo, pubblica (l’argomento lo ritroveremo sovente nella propaganda pacifista) un pezzo del vicedirettore Domenico Delle Foglie sui "conflitti dimenticati" tanto per alleggerire il senso morale (e quindi anche politico) della questione.
Pur di diffusione scarsa (ma non di scarsa eco nei corridoi romani e vaticani) il mensile ’30 giorni’ diretto da Giulio Andreotti difende (come ha sempre fatto) la causa araba e nell’ultimo numero del 2002 cita la presa di posizione dei sette patriarchi del Medio Oriente riunitisi nel democraticissimo Libano (ma sì, lo stesso che è tenuto sotto paterna tutela da un altro democraticissimo stato, quello siriano). I presuli hanno infatti affermato (e la testata andreottiana prontamente riferito) che "niente giustifica una guerra contro l’Iraq, qualsiasi siano i pretesti e le ragioni invocate" . Da prendere di mira è semmai quella che i sette patriarchi amano definire la politica del ‘doppio standard’ adottata dall’Onu "in base alla quale Israele, al contrario dell’Iraq, non viene considerata responsabile quando contravviene alle risoluzioni dell’Onu". E così anche Sharon è sistemato per le feste.
Sul fronte pacifista ‘Civiltà Cattolica’ fondata a metà Ottocento non è da meno: in un lunghissimo editoriale pubblicato il 1° febbraio, la storica rivista dei gesuiti spiega nei dettagli la propria posizione contro la guerra preventiva. Siamo proprio sicuri che l’Iraq appartenga all’asse del male? si chiedono retoricamente i pii gesuiti. Vabbe’, avrà violato qualche risoluzione Onu (e di nuovo rispunta il paragone con l’infame Israele) ma non è il caso di scaldarsi tanto. Prove certe che l’Iraq abbia e voglia usare armi letali non se ne hanno e il vero motivo per il quale gli Usa sono così pronti a partire per la guerra è "avere accesso sicuro al petrolio iracheno". Conclusione: un attacco all’Iraq rischierebbe solo di alimentare il tanto temuto terrorismo.
Famiglia Cristiana, il più diffuso settimanale del nostro Paese, può essere a ragione considerata l’avanguardia dell’esercito cattolico pacifista. Dall’inizio di gennaio ad oggi, ha affrontato il problema guerra sì-guerra no senza risparmiare né firme (scrive spesso sul giornale Igor Man) né pagine. Il primo numero dell’anno si apre con un editoriale di Andrea Riccardi. Riferendosi alla lezione di Giovanni XXIII che quarant’anni fa per primo firmò un’enciclica (‘Pacem in terris: un impegno permanente’) sul tema tanto dibattuto, Riccardi parla della "forte speranza cristiana" e preannuncia il radicalizzarsi di una posizione piuttosto insolita in quella stessa Chiesa cattolica che in passato benediva i gagliardetti e le campagne d’Africa, invocava la mano sterminatrice di Dio contro gli infedeli e baciava sulle guancie i più bellicosi leader della terra.
A preparare il terreno, a sensibilizzare gli animi ci pensa Fulvio Scaglione, inviato del settimanale dei paolini a Baghdad, che in un suo reportage dalla capitale fa capire subito come la pensa ("Gli Usa vogliono la guerra e di solito, se vogliono una cosa, provano a prendersela"). Scaglione concede i tre quarti del suo servizio a quel bell’esempio di civiltà e di democrazia che rispnde al nome di Sadoun Hamadi, economista e presidente del parlamento iracheno. Hamadi rifila per qualche pagina la solita lezione propagandistica di regime mentre l’intervistatore sembra fare sì sì con la testolina. Conclusione: il risultato delle sanzioni è stato quello di "affamare un popolo e renderlo sempre più dipendente dagli umori del dittatore che ora si dice di voler eliminare, ma che 11 anni fa si tenne artificialmente al potere!". Quel ‘dittatore’ deve proprio essere sfuggito dalle dita del giornalista che ha anche firmato l’intervista con monsignor Salamon Wardani, vicario di Raphael Bidawid, patriarca della Chiesa cattolica caldea il quale ama concludere sarcasticamente la sua tirata antiamericana: "Bush vuole liberarci o farci schiavi suoi? Se vuole liberarci bene. Se no, stiamo meglio così. E non mi faccia dire altro". E invece è proprio quell’ ‘altro’ che ci interessava sentire. Pazienza, sarà per la prossima volta.
Che ‘Famiglia Cristiana’ ami poco Berlusconi (e che quindi utilizzi la pulsione pacifista contro il governo) lo si capisce dall’editoriale di Beppe Del Colle apparso sul numero due del settimanale nel quale si ringrazia il presidente Ciampi "che ricorda a tutti, sia ai politici sia ai cittadini, il ruolo che la Costituzione assegna al capo dello Stato come garante dell’unità nazionale, dell’equilibrio fra i poteri (che comprende l’indipendenza della magistratura) e della reciproca legittimazione fra maggioranza e opposizione". Bruno Marolo da Washington non si lascia sfuggire l’occasione di una corrispondenza dalla capitale americana per ricordare che "non soltanto gli Usa hanno tollerato per anni i terroristi di Bin Laden e i regimi feudali che li proteggevano, ma si sono serviti di loro contro l’Unione Sovietica" mentre poco dopo Piergiorgio Pescali rimprovera agli Stati Uniti proprio l’opposto, aver scelto la via del dialogo con Pyongyang.
A metà gennaio, nel terzo numero dell’anno, Famiglia Cristiana mette i piedi nel piatto e con l’editoriale di Beppe Del Colle affronta il dibattito sul pacifismo dei cattolici. Rispondendo a un fiero editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul ‘Corriere della Sera’ del 7 gennaio contro il pacifismo cattolico ‘fortemente radicale’ Del Colle difende il papa dall’accusa di antiamericanismo e chiama a testimonianza voci laiche come quelle di Claudio Magris e Barbara Spinelli che si sono espresse contro la guerra. Intervistato da Fulvio Scaglione, l’ottimista e speranzoso sociologo Pino Arlacchi invita a fidarsi degli ispettori: "Se ci sono armi in Iraq", dice ottimista, "loro le troveranno". E contro la guerra riutilizza il vecchio argomento: "Esiste almeno una decina di Paesi che hanno armamenti illegali o ai limiti della legalità". A non vedere di buon occhio gli ispettori è monsignor Jacques Isaac, rettore dell’Università cattolica di Baghdad che ricorda l’ingresso degli inviati dell’Onu in un convento di suore di clausura caldee alla fine degli anni Novanta: "Entrarono come se quello fosse un deposito militare".
A fine gennaio, sul numero quattro di Famiglia Cristiana, il direttore della Caritas italiana don Vittorio Nozza commenta l’iniziativa di "una giornata di digiuno sulla strada della pace" promossa dall’organizzazione che dirige insieme a Pax Christi e Azione Cattolica stabilendo un parallelo piuttosto discutibile: "fra terrorismo e ‘guerra preventiva’ si alimenta una condizione diffusa di precarietà e di paura". L’editoriale (ancora di Beppe Del Colle) ricorda invece il richiamo alla coscienza (cattolica) nella nota del cardinale Ratzinger, documento che "pone l’accento sulla funzione primaria della dottrina sociale della Chiesa che vincola i cattolici, impegnati nella vita pubblica, a non negoziare alcuni valori fondamentali". Berlusconi e Co. sono avvertiti.
Il 2 febbraio i paolini di ‘Famiglia Cristiana’ fanno il classico botto mediatico aprendo un referendum tra i propri lettori (col Papa o con Bush?) che lascia di stucco gli osservatori, i politici, gli uomini della comunicazione e perfino qualche uomo di Chiesa. "Nessuno può sperare che gli Usa disconoscano la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali", scrive (il direttore Sciortino?) nel commentare e giustificare l’iniziativa del giornale.
Due le interviste ad altrettante voci discordanti: la prima è quella a Ernesto Galli della Loggia convinto "che si stia facendo sentire solo una parte del mondo cattolico. Esiste una parte silenziosa che, pur d’accordo con l’appello del Papa alla pace, non condivide il significato politico che queste parole finiscono per avere in queste settimane. Vorrei sapere", conclude l’editorialista del ‘Corriere della Sera’ se i pellegrini di Loreto e Pompei la pensano come padre Zanotelli. Ma loro non hanno voce". Il senatore Alberto Monticone della Margherita sostiene invece a spada tratta che compito dei cattolici è quello di "respingere l’idea della guerra preventiva, che sembra profilarsi all’orizzonte".
Il numero 6 di Famiglia Cristiana offre un più che previsto risultato bulgaro (o forse, iracheno) al referendum: su quasi 112.000 votanti complessivi, il 94,7 per cento dei lettori si dichiarano con papa Woytjla. Nessuna sorpresa ma grande rumore. E siccome l’intreccio con la politica di casa nostra è più che evidente, Del Colle spiega ai suoi lettori "perché il presidente del Consiglio attacca la magistratura" e addirittura prefigura da parte di Berlusconi una ‘soluzione finale’ che renderebbe ‘inoffensivo’ l’ordine giudiziario. Più chiari di così… Il numero in questione dà ovviamente grande spazio alla guerra intervistando tra gli altri il povero James Nicholson, ambasciatore Usa in Vaticano, che di questi tempi di camicie deve sudarne non poche e che conclude: "Sarà Bush a decidere come informare i capi di Stato (in caso di dichiarazione di guerra, n.d.r.). Se vorrà farlo in forma ufficiale, darò io la notizia al Papa". In un box ampio spazio viene dedicato a un libretto-intervista a Slamon Warduni, vescovo di Baghdad, a firma di Riccardo Caniato e Aldo Maria Valli (quest’ultimo vaticanista ed esperto di materia religiosa per il Tg3). Il titolo è chiaro: "Il vescovo di Baghdad: ‘Dio non vuole la guerra in Irak’. Ancora una volta l’Onnipotente ha molti portavoce.
Una settimana dopo, oltre ad aver pubblicato letterine pacifiste (ma non sempre molto pacifiche) dei lettori, Del Colle rimprovera sostanzialmente gli americani di aver pensato un po’ in ritardo a sbarazzarsi del dittatore (‘Disarmare Saddam, ma perché solo ora?’) mentre Alberto Bobbio dettaglia il vasto e ostinato impegno diplomatico della Santa Sede. Intervistato da Alberto Chiara, il direttore della Radio Vaticana padre Pasquale Borgomeo ribadisce la propria delusione nei confronti degli Usa e – ciurlando un po’ nel manico secondo la lezione di ogni buon gesuita - si ribella all’idea di essere qualificato anti-americano: "Non si tratta di essere ‘filo’ o ‘anti’ americani. Si tratta di essere loro amici schietti". Tesi che fa pendant con quella del sindaco kennediano di Roma Walter Veltroni il quale confessa di vedere nella politica del presidente Bush "un impasto di cose che trovo pessime. Dall’isolazionismo al disimpegno da alcuni organi di governo mondiali, come il Tribunale penale internazionale". A tentare di raddrizzare una versione esplicitamente pacifista e assolutoria nei confronti del raìs di Baghdad interviene – intervistato da Fulvio Scaglione – Andrea Nativi, esperto in questioni strategiche e direttore della ‘Rivista italiana di Difesa’ che molto educatamente cerca di spiegare perché e per come Saddam sia un mascalzone della peggior risma e vada disarmato con le buone o con le cattive. Parole al vento.
Il 23 febbraio appare in edicola il numero 8 con un pezzo da Baghdad (preceduto da molti interventi bellicosamente pacifisti come quelli dell’arcivescovo di Milano Tettamanzi) che fa capire molte cose delle ragioni pacifiste del Vaticano. A parlare è padre Luis Sako, che vive a Mosul (quasi 500 chilometri a nord della capitale irachena) e che ricorda che ‘Saddam Hussein ha detto alla televisione che quella cattolica è l’unica religione che cerca di fermare la guerra’ e che i musulmani "vedono che parte dal Vaticano l’unico, forte messaggio di pace". Il nono numero di ‘Famiglia Cristiana’ datato 2 marzo, sull’ondata dell’eccitazione della mega-manifestazione pacifista di Roma, resuscita il vecchio terzomondismo che una volta apparteneva all’estrema sinistra e parla senza mezzi termini di "Olocausto dei poveri" (naturalmente l’Iraq è tra questi). Un sondaggio "se si andasse alle urne oggi" da sempre per vincitore il Centrodestra anche se con un forte calo di voti cattolici: dal 58,7% delle politiche del 2001 al 50,3% di oggi. Chissà se questa volta Berlusconi lo capisce.

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