Mentire,mentire, qualcosa resterà
Come per la morte del bambino Al-Dura anche per Ciriello la verità è difficile da far passare
Testata: Corriere della Sera
Data: 12/03/2003
Pagina: 13
Autore: Elisabetta Rosaspina
Titolo: Ciriello, solo silenzi a un anno dalla morte
Dove si dimostra che le leggende metropolitane sono MOLTO dure a morire.
DAL NOSTRO INVIATO
RAMALLAH - Se fosse vivo, adesso Raffaele Ciriello non sarebbe qui. Non c’è nulla che possa interessare un fotografo di guerra in questo incrocio polveroso, semioccluso da una vecchia Opel Ascona abbandonata in curva. Sotto le ruote sgonfie c’è qualche calcinaccio, forse gli ultimi rimasugli di una lapide che, fino a giugno, ricordava un fatto fastidioso per l’esercito israeliano:
no, signora giornalista: per gli israeliani una morte, qualunque ne sia la causa, non è MAI "un fatto fastidioso"
qui, il 13 marzo dell’anno scorso, Raffaele Ciriello è stato colpito da cinque proiettili traccianti calibro 7.62 Nato, sparati a raffica da qualcuno che inquadrava nel mirino soltanto un uomo disarmato, con una piccola cinepresa premuta contro la guancia.
Circondato da uomini armati che sparavano contro il carro armato - come le riprese effettuate da Ciriello dimostrano incontestabilmente.
La lapide di marmo nero era un omaggio dell’associazione dei giornalisti palestinesi a un collega «martire dell’informazione», qualifica irritante per i militari israeliani, ai quali il termine «shahid», martire, evoca soprattutto attentati suicidi.
Irritante, più che altro, perché falsa. Irritante perché ancora una volta i palestinesi si sono appropriati di una morte sulle cui responsabilità ci sarebbe MOLTO da discutere.

Se fosse qui oggi, Raffaele Ciriello rivedrebbe le stesse facce da ragazzini sotto gli elmetti grigioverdi, che fotografò ai posti di blocco poco prima di morire. Ritroverebbe le stesse donne velate e rassegnate in coda, con un tesserino d’identità senza valore fra le mani, debole lasciapassare per la frontiera fra Israele e una nazione inesistente.
Splendido tocco di colore, questi tesserini senza valore (come i documenti rilasciati dai nazisti nei ghetti?) e questa "nazione inesistente" - e magari sarebbe anche il caso di ricordare perché questa nazione non sia mai esistita.
Non vedrebbe più in compenso i carri armati, che un anno fa pattugliavano le strade e che adesso sono appena fuori città, pronti a rientrare in qualunque momento.
Ma domani, se non fosse il primo anniversario della sua morte, Raffaele Ciriello sarebbe altrove. In Kurdistan, magari, in Iran o già in Iraq, a Bagdad, vicino al fronte più caldo che attira come una calamita tutti i reporter come lui, in cerca di immagini eloquenti per una realtà inspiegabile. Come è inspiegabile la sua fine.
Non proprio del tutto inspiegabile, se si ha voglia di prendere in considerazione TUTTI gli elementi disponibili.
Non misteriosa: l’ha raccontata lui stesso, filmando il tank dietro l’angolo, nel momento in cui gli punta la mitragliatrice addosso e spara.
E filmando, prima, gli spari dei palestinesi che stavano con lui, contro il carro armato.
Ma ingiustificata, perché nessuno sentirà spiegare dalla voce del soldato che ha tirato perché l’abbia fatto. Per rabbia, per sbaglio o per indifferenza.
Nessun altro motivo viene in mente alla giornalista?
Non ci sarà una risposta alla morte del giornalista italiano, che stava girando le sue ultime immagini prima di tornare a casa, la sera successiva.
E c'è una risposta al fatto che subito dopo che Ciriello è stato colpito - in zona di combattimento, ricordiamolo - è immediatamente arrivata l'auto palestinese che l'ha soccorso? Traffico casuale in pieno combattimento? Proprio davvero? Ne siamo sicuri?

Ciriello era arrivato in Israele all’inizio dell’Operazione «Defensive Shield », Scudo di difesa, lanciata dal governo di Sharon nei territori occupati
non erano occupati: la rioccupazione si è resa necessaria proprio in quella circostanza
dopo una serie di attentati suicidi in Israele.
Con centotrenta morti israeliani in un mese: forse non è del tutto superfluo ricordarlo.
Con una lettera di accredito del Corriere della Sera , si era registrato al Government Press Office di Gerusalemme, l’ufficio stampa governativo, che gli aveva rilasciato un tesserino di riconoscimento. Invisibile, certo, nel mirino telescopico di una mitragliatrice, attraverso il quale si distingue però sicuramente una videocamera da un kalashnikov.
La giornalista ha verificato? E gliel'hanno detto che quella era zona di combattimenti ed era interdetta? E che chi ci andava, ci andava a proprio esclusivo rischio e pericolo?
Tre quarti dell’inchiesta è incisa nelle immagini girate da Ciriello
è incisa tutta, ma si preferisce ricordarne solo tre quarti
e dall’operatore della Rai Amedeo Ricucci.
Spudorato mentitore smentito dai fatti, e soprattutto dalle riprese di Ciriello.
Ma, per l’ultimo quarto, la magistratura italiana ha chiesto invano la collaborazione delle autorità israeliane. Il pubblico ministero Massimo Baraldo e il procuratore aggiunto Giuliano Turone, da Milano, hanno rinnovato dopo sei mesi la richiesta d’identificazione del carro armato, dell’equipaggio e del soldato che sparò. Nessuna risposta da Israele. Per la Forze armate israeliane (Idf), è ancora da dimostrare che a sparare sia stato proprio uno dei loro militari, nonostante l’esito della perizia balistica in Italia.
E' POSSIBILE CHE LE FORZE ARMATE SI SBAGLINO, MA CON TUTTE LE VOLTE CHE SONO STATI IMPUTATI LORO DEI MORTI (UN NOME A CASO: MOHAMMED AL DURA) FATTI DALLA CONTROPARTE, COME STUPIRSI DELLA LORO DIFFIDENZA?
La sera precedente, era stato mitragliato a Ramallah il City Inn hotel, dove dormivano decine di giornalisti di tutte le nazionalità: «Miravamo a cecchini appostati sul tetto», risposero i vertici militari.
E NATURALMENTE LE FONTI ISRAELIANE NON SONO MAI DEGNE DI FEDE.
Ma fu colpita soltanto la telecamera di un operatore americano e andarono in pezzi le finestre delle stanze dei reporter.
E L'ESERCITO SAPEVA IN QUALI STANZE ERANO ALLOGGIATI I REPORTER? ED ERA IN GRADO DI IDENTIFICARLE DALL'ESTERNO?
Fu proprio Raffaele Ciriello a raccontare la disavventura per telefono a Radio 24 Ore .
Era quantomeno il segnale che la presenza della stampa non avrebbe rappresentato un deterrente per aprire il fuoco ad alzo zero.
LA PRESENZA DELLA STAMPA NON E' MAI, E NON PUO' ESSERE MAI, UN DETERRENTE: SE C'E' DA COMBATTERE SI COMBATTE, E SONO I GIORNALISTI A DOVERSENE STARE FUORI!
L’inchiesta dell’Idf sulla morte del fotografo italiano si è aperta e chiusa con un non luogo a procedere. Quella italiana è arenata nel silenzio israeliano. Quella palestinese, aperta subito dopo dai servizi di sicurezza del generale Tawfik Tirawi,
PER LA VERITA' LE CONCLUSIONI PALESTINESI (CIRIELLO MARTIRE, EROE PALESTINESE) ERANO ARRIVATE IL GIORNO STESSO DELLA SUA MORTE
è stata interrotta dallo smantellamento delle strutture dell’Autorità palestinese, nelle settimane seguenti.
VUOI VEDERE CHE QUEI FETENTONI DI ISRAELIANI HANNO SMANTELLATO L'ANP PROPRIO PER IMPEDIRLE DI CONDURRE L'INCHIESTA?!
E il generale è finito nella lista dei ricercati dallo Shin Bet, l’intelligence israeliana che lo accusa della pianificazione di attacchi terroristici.
E CHISSA' COME GLI SARANNO VENUTE QUESTE IDEE, ALLO SHIN BET!
Per domani l’associazione della stampa palestinese ha organizzato un corteo e una cerimonia, a Ramallah, in memoria del collega italiano, di cui avevano iscritto il nome, con qualche approssimazione ortografica, nel marmo di una lapide già spazzata via.

Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare il proprio parere alla redazione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

lettere@corriere.it