Una democratizzazione del mondo arabo è possibile
Il rapporto tra Islam e democrazia secondo Bernard Lewis
Testata: Corriere della Sera
Data: 10/03/2003
Pagina: 29
Autore: Paolo Mieli
Titolo: Onu, Iraq e democrazia secondo Bernard Lewis
Paolo Mieli risponde a un lettore che si chiede che rapporto ci sia tra l'Islam e la democrazia rifacendosi a Bernard Lewis, il più autorevole esperto di storia mediorientale vivente.
Caro signor Maisano, per risponderle mi rifaccio a quel che dice l’ottantasettenne Bernard Lewis, professore emerito dell’università di Princeton, forse il più autorevole esperto di Storia mediorientale vivente che oggi dovrebbe essere in Italia per tenere una conferenza al Senato. In un libro intervista con Fiamma Nirenstein di imminente pubblicazione, edito dalla Rizzoli, «Islam, la guerra e la speranza» (che io ho avuto la fortuna di leggere in bozze), Lewis spiega in modo impeccabile perché sta in piedi l’ipotesi di una democratizzazione del mondo arabo e islamico. Racconta Lewis, mettendo in risalto numerose circostanze di fatto, che durante il Medioevo e all’inizio dell’Età moderna le leggi musulmane erano molto più tolleranti di quelle cristiane: quando i musulmani governarono in Spagna, i cristiani e gli ebrei poterono vivere in maniera decorosa, il livello di tolleranza nei loro confronti fu accettabile; quando i cristiani riconquistarono la Spagna, gli ebrei e i musulmani furono cacciati, non fu loro concesso di vivere sotto le loro leggi e lo stato delle cose rimase tale fino al XVII secolo, dopo le guerre di religione in Europa, quando i cristiani divennero intolleranti non solo verso gli infedeli ma anche verso quelli di loro stessi che si allontanavano dalle credenze istituzionali. Per tre secoli, dal Quattrocento alla fine del Settecento, i territori musulmani divennero un rifugio per gli ebrei che lasciavano terre cattoliche, successivamente per i protestanti che scappavano dai cattolici, per i cattolici che cercavano scampo dai protestanti e ancora per gli ebrei che fuggivano dalle persecuzioni di entrambi. Lì, sulle terre mediorientali amministrate dai musulmani, questi fuggiaschi disponevano di una notevole autonomia, potevano praticare i loro affari e la loro religione, godevano della libertà di culto, riuscivano addirittura a far rispettare le loro leggi dal potere vigente. In quell’area geografica non si giunse mai, è vero, alla separazione tra Stato e Chiesa. Ma questo perché il mondo musulmano non aveva bisogno di tale soluzione dal momento che non aveva i problemi che l’Europa conobbe proprio per l’assenza di separazione tra Stato e Chiesa. Separazione che, si potrebbe dire, qui da noi in un certo senso «fu un rimedio cristiano a un male cristiano» (Lewis).
E anche per altri «ritardi» dell’universo islamico rispetto alle attuali categorie occidentali di democrazia e civiltà Lewis esorta a non applicare retroattivamente idee moderne e a non giudicare situazioni antiche secondo concetti all’epoca totalmente irrilevanti. In conclusione, non c’è niente, sostiene lo studioso, che possa impedirci di considerare coniugabili mondo arabo e democrazia. Ciò che oggi siamo portati a considerare come ritardi insuperabili dell’universo arabo e musulmano è dovuto al fatto che, per motivi tattici perfettamente comprensibili, nel Novecento quel mondo è stato indotto a stringere patti diabolici dapprima con il Terzo Reich hitleriano e successivamente con l’Unione Sovietica comunista. Patti da cui ha mutuato modelli di strutturazione della propria vita pubblica: tipico, sotto questo profilo, il partito Baath siriano e iracheno che, secondo Lewis, «è un clone del pensiero nazista, fascista e poi comunista». Talché si può tranquillamente affermare che, rimossi gli effetti di quei due concubinaggi con i totalitarismi europei del Novecento, è possibile o addirittura probabile che un Paese come l’Iraq guidato per un breve periodo da un’amministrazione a supervisione Onu possa dar vita a un suo modello di democrazia. E così anche altri Paesi arabi e musulmani.
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