Abu Mazen, il nuovo primo ministro palestinese
Troppi entusiasmi in attesa di conferme
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Data: 08/03/2003
Pagina: 6
Autore: Giorgia Greco
Titolo: Abu Mazen, il nuovo primo ministro palestinese
Sull'Unità è pubblicata un’intervista di Umberto De Giovannangeli all’ex Direttore di Al-Fajir, il quotidiano in lingua araba di Gerusalemme Est.

L’entusiasmo che la designazione di Abu Mazen a primo ministro (ricordiamo che è stato uno dei protagonisti degli accordi di Oslo del 1993) ha suscitato, non solo fra gli esponenti della leadership palestinese moderata e riformatrice ma anche in occidente, impone alcune cautele.



Una prima considerazione che si può fare attiene al momento in cui Abu Mazen è stato proposto.

Perché Arafat ha atteso la vigilia della guerra americana all’Irak per proporre alla carica di primo ministro (ricordiamo che sarebbe il primo nella storia palestinese) uno degli artefici degli accordi di Oslo?

Perché questa nomina non è stata fatta molti mesi addietro? Due anni fa per esempio?

Conoscendo la natura falsa e corrotta del leader palestinese verrebbe da chiedersi se l’intento non sia quello di gettare fumo negli occhi del mondo occidentale (preda assai facile delle menzogne di Arafat) America compresa, lasciando in pratica una situazione politica del tutto inalterata.

E a questo punto entra in gioco la questione degli effettivi poteri sui quali Abu Mazen potrà contare.

Sarà libero di prendere le decisioni più opportune per il suo popolo? Quale autorità gli verrà conferita?

Abu Mazen si troverà a fronteggiare problemi economici, politici e sociali sul fronte interno ma dovrà assumersi responsabilità di non poco conto anche in tema di politica internazionale.

Gli sarà consentito?

In attesa di vedere, primo se verrà nominato e secondo quali saranno i suoi margini di manovra, non possiamo esimerci dall’osservare i futuri sviluppi sul fronte politico palestinese con molta, molta cautela.
Riportiamo integralmente l’intervista di De Giovannangeli a Hanna Sinora

La designazione di Abu Mazen a primo ministro, rappresenta un successo per quanti si sono battuti per una decisa accelerazione del processo riformatore. Di certo, la statura politica di Abu Mazen è tale da fugare ogni dubbio sul ruolo puramente decorativo di un primo ministro. Conosco molto bene Abu Mazen e so che accetterà l’incarico solo se avrà i poteri necessari per imprimere una svolta all’azione politica palestinese. Ma il suo successo dipende anche da Israele. Se Sharon continuerà ad occupare i Territori, a sviluppare una brutale e indiscriminata repressione contro l’intero popolo palestinese, ogni tentativo riformatore sarà destinato al fallimento.

A sostenerlo è una delle personalità più rappresentative e indipendenti della dirigenza palestinese: Hanna Sinora, ex Direttore del quotidiano in lingua araba di Gerusalemme Est Al Fajir, designato da Arafat a ricoprire il delicato incarico di rappresentante dell’ANP a Washington.

Come leggere politicamente la designazione operata da Yasser Arafat di Mahmud Abbas (Abu Mazen) come primo ministro?

Si tratta di un importante successo del fronte riformatore e, viceversa, di una sconfitta dell’ala oltranzista palestinese. Abu Mazen, è bene ricordarlo, è stato uno degli artefici degli accordi di Oslo-Washington che rappresentarono una svolta storica nelle relazioni tra Israele e Olp. Abile diplomatico, Abu Mazen è anche un profondo conoscitore della realtà interna palestinese e questo può agevolare il suo compito, soprattutto se saprà favorire la maturazione di una nuova classe dirigente.

Qual è la posizione più recente manifestata da Abu Mazen che ha più apprezzato?

L’aver posto pubblicamente, e senza mezzi termini, il problema di un ripensamento radicale sugli strumenti di lotta. Abu Mazen ha avuto il coraggio di dire chiaramente che la militarizzazione dell’Intifada, gli attacchi suicidi, hanno fortemente indebolito la causa palestinese sotto ogni punto di vista. E da questa considerazione ha fatto discendere la proposta invisa ai gruppi estremisti, di smilitarizzare la rivolta e di porre un blocco temporalmente significativo alle azioni armate. Abu Mazen ha dimostrato così di avere coraggio e di saper andare controcorrente, sfidando anche orientamenti diffusi tra la popolazione palestinese. Agendo in questo modo si è rivelato un vero leader che sa parlare il linguaggio della verità, anche se questa verità può non piacere a tutti. Certamente non è piaciuta a quei gruppi che hanno tacciato Abu Mazen di tradimento minacciandolo di morte.

La designazione di Abu Mazen segna l’emarginazione di Arafat ?

No, almeno non nell’immediato. Di certo sancisce un reale riequilibrio dei poteri. Abu Mazen non sarà un premier "immagine", un esecutore passivo di scelte altrui. La designazione di Abu Mazen segna l’inizio della fine del potere assoluto in mano ad un’unica persona. Arafat resterà presidente, ma non sarà più il rais che tutto decide e che tutto gestisce.

E i gruppi estremisti come reagiranno a questa nomina?

Cercheranno di contrastarla con ogni mezzo, a cominciare dallo sviluppo degli attacchi contro Israele. In questo senso, ritengo che l’attentato suicida di Haifa sia da porre anche in relazione alla convocazione della riunione del Consiglio centrale dell’Olp a Ramallah, nella quale si discuterà la nuova Costituzione e la nomina di Abu Mazen a primo ministro. In questo tentativo di bloccare il processo riformatore, i gruppi estremisti trovano un valido alleato nella destra oltranzista israeliana. Rappresaglie sanguinose come quella condotta nella Striscia di Gaza fanno il gioco di Hamas, della Jihad e del fronte del rifiuto palestinese.

Quanto ha inciso l’imminente guerra in Iraq sulla decisione presa da Arafat?

Certamente ha accelerato i tempi. Arafat, e non solo lui, teme che la guerra all’Iraq potrebbe essere utilizzata da Israele per inasprire ulteriormente la repressione nei Territori e per porre in essere misure più volte evocate, come l’espulsione di Arafat dai Territori. La nomina di Abu Mazen è anche un segnale alla comunità internazionale, in particolare agli Stati Uniti perché fermino la mano di Sharon e agiscano con determinazione per mettere in pratica il "tracciato di pace" elaborato dal Quartetto.

Quali dovrebbero essere, a suo avviso, le priorità nell’agenda del primo ministro designato?

Sono tre: la smilitarizzazione dell’Intifada; la lotta alla corruzione; il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione palestinese. Tre grandi emergenze tra loro strettamente intrecciate. E’ un impegno da far tremare i polsi a chiunque, ma sono certo che Abu Mazen possa farcela. Ne ha la capacità, ma deve avere i poteri necessari per affrontare questa triplice sfida.