Nuova strage a Haifa
Le ragioni del ritorno dei kamikaze
Testata: La Stampa
Data: 06/03/2003
Pagina: 5
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Il ruggito dei terroristi alla vigilia della guerra
Riportiamo un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa di giovedì 6 marzo 2003.
GERUSALEMME L´inverosimile fila di autobus insaguinati dai terroristi suicidi ieri si è dunque allungata dopo due mesi di relativa tregua e anche di duro assedio dell´esercito alle organizzazioni responsabili degli attacchi fin dentro le loro case, prima fra tutti Hamas, sospettata dell´attacco di ieri a Haifa. Come è potuto accadere, dopo che la leadership di questo gruppo è stata arrestata e decimata; dopo che Muhammed Taha, uno dei fondatori, è stato catturato con altre sei figure di primo piano due notti or sono; dopo che il figlio di Taha, Yasser, ritenuto il braccio destro dell´arciterrorista Muhammad Dief, è stato a sua volta preso; dopo che non solo nella zona di Gaza, ma anche in quella di Jenin, Nablus, Betlemme, Hamas è stata assediata e anche decapitata? Le ultime settimane avevano dato agli israeliani l´illusione che il terrore fosse alla fine: i tentativi di attentati erano andati a vuoto, anche se seguitavano a essere molto numerosi (nell´ultima settimana ne erano stati scoperti e sventati 57). Le ragioni del ritorno dei kamikaze sono sostanzialmente tre: accanimento e precisione organizzativa dei terroristi, decisi a testimoniare con un grosso attentato la loro sopravvivenza; linea indecisa di Arafat; e, ultimo punto, ma certo non meno importante, la guerra dietro l´angolo. Cominciamo da quest´ultima. In Israele la pressione è molto più forte che altrove, sia per ovvi motivi geografici, sia perché sui giornali di ieri, in prima pagina, Aharon Zeevi Farkash, il capo dei servizi dell´esercito, faceva l´ipotesi che la guerra potrebbe cominciare la prossima domenica. Si tratta di una previsione cui Farkash stesso appone molti se e molti ma, e tuttavia il senso della vicinanza della rivoluzione che la guerra porterà nell´area è forte. L´intero campo palestinese è preoccupatissimo dall´idea che l´attenzione araba ed europea catalizzata su Saddam gli tolga il diritto di primogenitura come problema principe del Medio Oriente. Sia pure con mezzi molto diversi, tutte le componenti palestinesi vogliono tenere alta la bandiera. Yehud Yalon, ex capo del Mossad, dice che nel corso della guerra c´è da aspettarsi molti attacchi sia dagli Hezbollah sia dalle organizzazioni palestinesi. Al vertice dei Paesi islamici tenutosi ieri a Doha, oltre alla lite con insulti fra iracheni e kuwaitiani («scimmie» e «venduti») e a una sostanziale, triste acquiscenza alla realtà del conflitto che ormai si configura senza remissione, Arafat con un messaggio filmato è riuscito a disegnare sulla questione palestinese l´unico punto popolare presso chicchessia. Con toni molto eccitati è intervenuto sulla guerra, e ha tenuto il discorso su una nota sola: «Israele - ha detto sostanzialmente il Raíss - ha istigato la guerra contro l´Iraq per attuare la deportazione dei palestinesi ed espandersi con altri insediamenti». Un complotto, dice Arafat ai Paesi mussulmani, e sostiene di considerare sua «questa guerra contro il popolo palestinese ... e contro tutto il mondo arabo dall´Oceano al Golfo». Su questi punti, i palestinesi ricevono applausi e cercano di non uscire dalla scena, ma di caratterizzarsi come soldati sulla linea di combattimento per tutto il mondo arabo. Questo significa che Arafat apprezza, o peggio ancora ha favorito o organizzato, l´attentato di ieri? La risposta, probabilmente, è no: all´interno di Al Fatah si sta svolgendo un serio dibattito sull´opportunità di smettere gli attacchi specie dentro la Linea Verde, anche se il ministro Hani al-Hassan ha negato le voci filtrate nei giorni scorsi di uno scontro feroce fra le Brigate di Al Aqsa, che vogliono continuare, e la leadership dell´Autonomia. Ma per Hamas la storia è diversa: l´intenzione di fare attentati è univoca, e altrettanto lo è la determinazionme di usarli come arma di egemonia sui palestinesi. Abel Aziz Rantisi, portavoce di Hamas, senza rivendicare l´attacco di Haifa ha però subito detto alla stampa che «la resistenza arriva dappertutto (anche dentro la Linea Verde, ndr); non c´è luogo sicuro per gli israeliani; l´occupazione è la causa degli attacchi». Israele sa bene che Hamas è ancora molto pericolosa e determinata, e per questo l´ha tenuta sotto tiro in queste settimane. La prima sua vittoria è quella di aver fatto fallire la trattativa al Cairo, dove tutte le componenti palestinesi erano state invitate il mese scorso da Mubarak per cercare di trovare un accordo di cessate-il- fuoco: Hamas si è interposta con tutte le sue forze, ma ha invece incassato di buon grado il riconoscimento internazionale fornitole dall´incontro del Cairo e il lusso di dire no ad Arafat, che peraltro non si decide a prendere le distanze da un´organizzazione popolare proprio per la cultura dei «martiri» da lui stesso diffusa. In secondo luogo, a Gaza Hamas ha istituzionalizzato la tecnica del bombardamento continuo con katiusha e mortai sulla cittadina di Sderot, dentro la Linea Verde. Una tecnica identica a quella degli Hezbollah sul Nord di Israele che condusse al ritiro dell´esercito. E´ proprio la libanizzazione, la fuga degli israeliani che Hamas persegue. Infine, una terza ragione per cui Hamas è ancora in grado di guidare la danza macabra del terrore: salvo che per il fallito attentato del 1997 a Khaled Mashal, i grossi leader dell´organizzazione sono stati lasciati in pace. Dallo sceicco Yassin in giù, i leader politici e «spirituali» hanno avuto relativa libertà di movimento. Lunedì scorso lo Shin Beth ha rivelato che Hamas aveva programmato di far saltare un convoglio che portava il primo ministro Sharon e di attaccare una sinagoga. Adesso, con cura e precisione, Hamas e alleati hanno messo in buca la palla che non poteva mancare: quella che segna l´inizio della guerra d´Iraq, e che vuole indicare la direzione alla piazza palestinese.
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