I legami tra la svastica e la mezzaluna
Fiamma Nirenstein, Domenico Quirico e Paolo Mieli spiegano ai lettori i forti legami tra nazismo e il mondo islamico.
Testata:
Data: 18/02/2003
Pagina: 29
Autore: Domenico Quirico
Titolo: Bin Laden ha imparato dal Muftì
A proposito dei rapporti tra il nazismo ed il mondo islamico riportiamo due articoli pubblicati su La Stampa e uno pubblicato sul Corriere della Sera martedì 18 febbraio 2003.
"Bin Laden ha imparato dal Muftì"

di DOMENICO QUIRICO

IL «piccolo ammiraglio» lasciava malvolentieri le due stanze del suo ufficio in Tirpitzufer a Berlino, che presidiava con metodo per diciotto ore al giorno aiutato dalla fedelissima segretaria signora Schrader. E questa volta non si era portato dietro neppure il bassotto Seppl; per lui negli alberghi affittava sempre una seconda stanza. Ci voleva davvero un obiettivo importante perché nel 1938 (la guerra ormai brontolava con voce sempre più sonora in Europa) Wilhem Hans Canaris, capo del controspionaggio militare di Hitler, si recasse nella lontana e pericolosa Beirut. Certo era un uomo così avvolto negli intrighi, nella cospirazione e nel doppio gioco che sembrava portarsi dietro quel mefistofelico bagaglio più per passione che per necessità: una pratica che pagherà, negli ultimi giorni del Terzo Reich, con una barbara esecuzione per un complotto contro Hitler che forse non immaginò mai. Ma questo Amleto tedesco inseguiva un progetto straordinario: lanciare una Jiad, una guerra santa, che avrebbe spazzato come una bufera il medio oriente, le terre del petrolio, gli imperi francese e inglese. E forse ipotecato il risultato dell´imminente conflitto mondiale. La guerra del terrore e l´Intifada (ma sotto l´inquietante patrocinio dei regimi totalitari europei) sono nate negli anni Trenta. E´ una realtà avvelenata su cui è sceso un imbarazzato silenzio che il libro di uno storico italiano, Stefano Fabei, Il fascio la svastica e la mezzaluna, pubblicato da Mursia, aiuta a ripercorrere con metodo. Il Bin Laden di allora, l´uomo che aveva l´autorità per lanciare le parole di quella guerra santa, l´interlocutore di Canaris a Beirut, si chiamava Amin Al Husseini. Ci sono uomini che sono nati per pronunciare parole di santità e che si convertono invece all´odio con lo stesso straordinario fervore. Amin al Husseini era figlio di una delle due grandi famiglie di Gerusalemme, aveva studiato nel Vaticano dell´islam ad Al Azhar. Era dal 1921 il gran Muftì di Gerusalemme e quindi una delle grandi voci con il potere di parlare per conto dell´Islam. La sua fama era costruita non con la dottrina o gli atti di pietà ma con i pogrom. Perché il gran Muftì aveva due nemici: gli ebrei, che accusava di voler ingoiare la Palestina terra di dio, e la Gran Bretagna che occupava il mondo con la sua ingombrante globalizzazione e li appoggiava. Nel 1922 gli ebrei in Palestina erano ottantaquattromila, nel `29 erano già triplicati, compravano le terre, costruivano con forsennato fervore persino una città, Tel Aviv. Contro di loro il Muftì scatenò, il 23 agosto del `29 un orribile massacro, che costituì la fosca ouverture di quanto sarebbe successo pochi anni dopo in Germania. Nella città vecchia di Gerusalemme, a Hebron, a Safed i suoi piissimi «fedayn» diedero la caccia agli ebrei, li uccisero come animali, bruciarono case e negozi. Al Husseini brandiva la Jihad come papa Bonifacio impugnava la scomunica, ma aveva bisogno di armi e denaro per trasformare l´odio in una guerra senza quartiere. E´ lui il vero padre di Hamas, di Hezbollah, degli eterni nemici della pace. Non a caso al suo fianco combattevano i padri di molti terroristi di oggi, come Hassan Salameh il fondatore di «Settembre Nero». Si era rivolto dapprima a Mussolini. Come succedeva spesso al velleitario fascismo tutto si era arenato di fronte alla cronica mancanza di mezzi. E poi il Duce temeva le reazioni degli inglesi; e soprattutto non voleva guai con i sudditi musulmani della Libia e della Somalia. Accarezzando troppo il nazionalismo islamico c´era il rischio che ci credessero pure loro. Il terribile Muftì, fuggito dalla Palestina e braccato dagli inglesi, aveva trovato finalmente il suo uomo: Adolf Hitler. I rapporti tra il predecessore di Bin Laden e il nazismo non furono soltanto tattici. Il nazionalismo fondamentalista si specchiava nel modello di uno stato antidemocratico, in cui le classi venivano superate in una rigida disciplina affidata a capi carismatici e dove la famiglia aveva un ruolo chiave. Modello puntualmente copiato da tutti i leader arabi, da Assad a Saddam Hussein. Respiravano soddisfatti gli slogan sul «volksgeist», lo spirito nazionale, insidiato dalle congiure di ebrei capitalisti modernisti. Mein Kampf è stato negli anni trenta un bestseller in tutto il mondo arabo (e lo stampano ancora). Gli abili traduttori tedeschi erano riusciti a presentare l´antigiudaismo come una dottrina diversa dall´antisemitismo. Hitler era invocato, da Rabat alla mezzaluna fertile come «Abu Ali», era «il redentore» che avrebbe spazzato via inglesi e ebrei. Circolava una leggenda secondo cui si era convertito all´Islam; Mussolini, invece, era «Mussa Nili», il Mosè del Nilo. Giovani ufficiali egiziani, come Sadat e Nasser, parteciparono ai raduni di Norimberga mescolati alla gioventù hitleriana; e complottarono contro gli inglesi con le «camicie verdi» che copiavano i riti dei colleghi tedeschi e italiani. Canaris notò con soddisfazione che il Muftì aveva gli occhi azzurri e i capelli rossi, segno che le sue origini circasse (da parte di madre) lo rendevano, per fortuna, «ariano». Come Bin Laden, affermava di guidare una internazionale islamica tanto più potente quanto i suoi contorni e le sue ramificazioni sfumavano nel mistero: la Hizb al Humma Al Arabiyya. Metà terrorista metà politica poteva incendiare, assicurava, tutto il pianeta musulmano. Canaris gli credette e diede il via all´alleanza. I popoli del Profeta seguirono con il fiato sospeso la marcia di Rommel verso il Cairo, affilando congiure e ipotecando vendette. Tutto fallì soprattutto perché negli arzigogoli strategici di Hitler-Abu Ali il Mediterraneo e gli arabi erano secondari. Il gran Muftì, esule a Berlino, finì la sua carriera di alleato come «cappellano» dei reggimenti musulmani delle SS, arruolati in quella fetta di mondo islamico occupata dell´Asse, la Bosnia. Anche qui la Jjhad con la svastica ha lasciato terribili e moderni veleni.
"Il sogno mai spento di veder sprofondare l'occidente"

di FIAMMA NIRENSTEIN

Non fu solo per paura, né per piaggeria, né per la speranza di aver trovato un valido alleato soprattutto contro gli inglesi e gli ebrei che il mondo arabo divenne, e questo atteggiamento si tramandò per due generazioni, fervido ammiratore di Hitler e intimo amico dell'Asse: non si trattò solo di tenere per Rommel finché combatteva nel deserto contro gli inglesi e gli ebrei, e di gridare evviva agli aeroplani di Mussolini che bombardavano Tel Aviv. No: finché dall'amore per l'Asse non si passò ad un rapporto altrettanto intimo e intenso con i Paesi comunisti, nell'incontro con Germania nazista e Italia fascista si espresse un ben più profondo desiderio di veder sprofondare l'Occidente colonizzatore di cui l'Inghilterra era il portabandiera, e gli ebrei che ne erano considerati una gemmazione naturale. Frustrati dall'affondamento inesorabile dell'Islam trionfante dei suoi primi sette secoli, e poi dalla sconfitta dell'Impero Ottomano, minacciati culturalmente dall'assedio dell'Occidente, confusi da un nazionalismo in nuce che non trovava una sua strada autonoma, le violente autocrazie dell'Asse, con la loro retorica antidemocratica e con il loro antisemitismo, piacquero oltremisura, più ancora di quanto non suggerisse l'ovvia opportunità di cercarsi un alleato, o di offrirsi come spalla a un dittatore vincente come Hitler. La lettera personale del Mufti di Gerusalemme Haj Amin trasmessa all'ambasciatore tedesco Franz von Papen ad Ankara recita per esempio: «Nell'occasione del grande trionfo militare e politico che il Führer ha appena raggiunto con la sua preveggenza e il suo grande genio... la nazione araba ovunque sente la più grande gioia e la maggiore gratificazione... i popoli arabi si aspettano che il risultato della vostra finale vittoria sarà la loro indipendenza e completa liberazione...». Haj Amin si trovava in quei giorni in Iraq, dove la rivoluzione di Rashid Alì si era svolta a sua volta sotto il segno del nazismo (come spiega bene Carlo Panella nel suo Saddam, il peggiore amico dell'Occidente, indicandone anche i nessi con l'Iraq di Saddam Hussein), mentre la protezione tedesca e fascista si estendeva anche alla Siria, e dall'Egitto il re Farouk, seguito nelle sue simpatie più tardi dal suo più feroce oppositore, il futuro rais Gamal Nasser, scriveva a Hitler di essere «pieno delle più grande ammirazione per il Führer». Più avanti, dopo la sconfitta del nazifascismo, il mondo arabo si mosse con entusiasmo verso la protezione e l'ispirazione ideologica dell'universo comunista, nella basilare aspettativa di una messianica venuta di un mondo che avrebbe sconfitto l'Occidente oppressore, di cui gli ebrei sempre di più rappresentavano l'avamposto. Oggi agli occhi degli arabi l'Occidente più aggressivo è quello americano e con esso quello ebraico, l'attacco alle Twin Towers fa il paio con il desiderio di espulsione di Israele: l'Europa, sia pure contraddittoriamente, è il nuovo orizzonte da cui si fantastica un puntello. La grande contraddizione è che la democrazia è appannaggio anche dell'Europa semi-amica, e che gli estremisti più duri, da Bin Laden ad Hamas, sanno benissimo che stavolta l'alleanza è tattica, e non strategica.
Dalle "Lettere al Corriere" pubblicate sul Corriere della Sera di domenica 16 febbraio a pagina 41 riportiamo una lettera di un lettore e la risposta di PAOLO MIELI

"L'ambasciatore Sembler e i rapporti tra arabi e nazisti"

"Ancora una volta nella lettera dell'ambasciatore statunitense Mel Sembler e in quelle dei lettori pubblicate Stefano Vigano e Cesare Martino, è stata riproposta, più o meno esplicitamente l'analogia tra l'Hitler del 1938-39 e il Saddm Hussein di oggi. Lei ha già scritto in passato che questa comparazione non sta in piedi e perciò non è a lei che mi rivolgo. Ma vorrei domandare ai lettori che invece ritengono possa esserci qualcosa che accomuna gli iracheni di oggi e i tedeschi di ieri perchè non prendono atto definitivamente del fatto che stabilire un punto di contatto tra arabi e nazisti, tra musulmani e hitleriani- a parte qualche marginale episodio sessant'anni fa- è un artificio retorico che nuoce a chi lo propone."
Lorenzo Di Castro

Ecco la risposta di Paolo Mieli

Caro Signor Di Castro,
come lei ha ricordato neanche a me piace quella comparazione ieri tra Hitler e Bin Laden e oggi, tra Hitler e Saddam. E anche io, come lei, ritengo si tratti di un artificio retorico che nuoce a chi lo propone. Ciò detto, non sono però d'accordo con lei quando descrive come marginali i punti di contatto tra arabi, musulmani e nazisti che si ebbero sessant'anni fa. Queste relazioni furono in realtà consistenti e, a guerra mondiale finita, determinarono nelle potenze vincitrici un atteggiamento per certi versi sfavorevole agli arabi. Ma vediamo di che si tratta.
Nel 1941 il Gran Muftì di Gerusalemme, Amin al-Husseini, emise una "fatwa" che chiamava i musulmani alla guerra santa contro gli inglesi a fianco di nazisti e fascisti. Il primo passo di questa offensiva fu un colpo di stato in Iraq che costrinse il principe Faysal alla fuga con l'obiettivo di togliere il petrolio agli inglesi e darlo ai tedeschi. L'Inghilterra dovette inviare a Bassora un corpo di spedizione che fu costretto a combattere per oltre un mese prima di venire a capo di quella rivolta. Gli arabi abbandonarono Bagdad dopo aver boicottato i pozzi di petrolio ed essersi prodotti in un pogrom nel quale vennero uccisi centoventi ebrei. A questo punto il Muftì di Gerusalemme si rifugiò nella Berlino di Adolf Hitler assieme a molti capi tra cui Fawziu Quawuggi che organizzò le trasmissioni radiofoniche della propaganda nazista in arabo e Fawzi al-Kutub che diede vita a reparti di SS islamiche e specializzandosi lui nell'uso di esplosivi.
C'è un libro di Stefano Fabei, "Il fascio, la svastica e la mezzaluna" pubblicato da Mursia, che racconta bene come andò questa storia peraltro assai poco conosciuta. Nella prefazione Angelo Del Boca parla di un'ammirazione "sconfinata" dei musulmani nei confronti di Hitler. E il saggio riporta versi encomiastici di unn poeta arabo in onore del dittatore nazista messo addirittura sullo stesso piano del profeta che Gianni Santamaria su "Avvenire" ha definito "imbarazzanti": "Non più monsieur, nè mister/tutti fuori sgomberate il campo/ in cielo Allah sulla terra Hitler."
In Germania il Muftì ebbe cordiali incontri con Goebbles, con Himmler, con lo stesso Hitler; visitò il campo di sterminio di Auschwitz e trovò il modo di complimentarsi con Adolf Eichmann per la sua "efficienza". Sotto la sua supervisione si formò una legione araba inquadrata nella Wehrmacht che operò in Tunisia, nel Caucaso e in Jugoslavia. In modo assai efficace tant'è che il marescallo Tito alla fine degli anni Quaranta chiese (senza ottenerla) l'incriminazione del Gran Muftì per crimini di guerra. Nel 1948 quello stesso Muftì fu eletto presidente dell'Assemblea costituente palestinese. Molti erano stati i musulmani che avevano combattuto dalla parte del reich: tredicimila tra siriani, palestinesi, iracheni ed egiziani, sessantamila balcanici, trecentocinquantamila caucasici. E' opportuno ricordare che - sul fronte opposto - nel corso della Seconda guerra mondiale ventottomila ebrei, accantonati i motivi di dissidio che li avevano opposti agli inglesi nella regione che sarebbe diventata Israele, combatterono in una loro brigata a fianco degli alleati. Ciò che spiega (almeno in parte)il contesto in cui nel novembre del 1947 le Nazioni Unite decisero la creazione oltrechè dello stato palestinese di uno Stato di Israele. Ma non autorizza, ripeto, nessun parallelo tra Hitler e Saddam.
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