Gay Pride, la festa dei diritti a Tel Aviv 26/06/2021
IC7 - Il commento di Daniele Scalise
Autore: Daniele Scalise
IC7 - Il commento di Daniele Scalise
Dal 21 al 26 giugno 2021

Gay Pride, la festa dei diritti a Tel Aviv

Tel Aviv Pride Week 2019 kicks off - ISRAEL21c

Anche quest'anno le strade di Tel Aviv ha accolto e accompagnato la marea dell'orgoglio gay. Musica e baci, qualche discorso, festoni e bandiere, birre e canti. Come sempre. Come deve essere. La 21ma edizione del Pride telavivino è stata ancor più emozionante perché arrivata alla fine (alla fine?) di un periodo di lunga e sconsolata quarantena dettata dall'emergenza Coronavirus. Le cronache descrivono una folla con gran voglia di respirare, esasperata da mesi e mesi di restrizioni sanitarie e sorvolata dal drone di un rabbino che malediva il raduno peccaminoso (c'è posto per tutti). La polizia ha proceduto all'arresto di un individuo armato di teaser e altri strumenti aggressivi e, nei pressi del percorso della manifestazione, ha messo in condizione di non nuocere un paio di palestinesi che si erano mostrati più minacciosi del solito. Anche quest'anno non potevano mancare i sopraccigli alzati, i commenti e i sarcasmi innervositi di alcuni membri delle comunità gay occidentale che hanno riproposto lo schema del 'pink-washing' - l'astuto tentativo di Israele di coprire le proprie nefandezze sotto la bandiera arcobaleno - e che si sono sentiti in obbligo di ribadire la propria immarcescibile ostilità nei confronti dello Stato ebraico. Si ha un bel dire e un bel da fare. Qualsiasi gesto di Israele - anche il più virtuoso e progredito che altrove susciterebbe ammirazione - non riesce né a cancellare né a sedare i borborigmi antisemiti di gay ed etero, bianchi o neri, maschi o femmine. Non siamo così ingenui da considerare Israele il paradiso terrestre della comunità lgbt+ ma abbiamo la certezza - perché testimoni oculari - che il radicamento dei diritti delle minoranze sessuali è un dato inconfutabile. E' difficilmente contestabile che in Israele i gay vivano una vita migliore e nutrano legittimamente maggiori e fondate speranze di miglioramento rispetto a quanti campano sotto l'autorità palestinese o hanno la sventura di vivere in paesi arabi, seppelliti sotto una medievale montagna di silenzio e fatti segno di feroci persecuzioni familiari e sociali. Si sa però che, come ha sintetizzato Alain Finkielkrault, un certo tipo di ceto intellettuale "non crede in ciò che vede, ma vede ciò che crede" e dunque non si tratta di un problema di lenti quanto piuttosto di strutture mentali radicate, convinzioni determinate da ideologismi marcescenti e rigurgiti risultato di educazioni politiche antiche e mai archiviate.

Nitzan Horowitz - Wikipedia
Nitzan Horovitz

Potremmo mai persuadere che i messaggi inviati al Pride dal presidente Reuven Rivlin e dal sindaco di Tel Aviv Ron Huldai al Pride non siano parte di una messinscena? Che un ministro apertamente gay - Nitzan Horovitz - non sia un fantoccio chiamato a ingannare la platea mondiale? Se non è sufficiente la realtà dei fatti, quali risultati possiamo sperare di ottenere con le parole? Si ripropone dunque l' elementare principio etico che spinge a comportarci virtuosamente - o almeno tentare di farlo - non allo scopo di raccogliere il consenso ma per rispondere a un imperativo morale che renda degna la nostra esistenza. Di fronte al morbo antisemita e alle sue varianti, poco conta quel che Israele fa. Eppure quel che Israele fa, quel che Israele costruisce lungo il suo vivere sociale e politico, sia pure con tutte le contraddizioni e le difficoltà che ogni democrazia incontra, è di certo un bene che Israele fa a se stessa ma anche a tutti noi.


Daniele Scalise