Barbara Spinelli vorrebbe spiegarci come combattere dei terroristi che però preferisce chiamare "insorti"
conferendo loro una legittimazione morale
Testata: La Stampa
Data: 05/12/2005
Pagina: 1
Autore: Barbara Spinelli
Titolo: L’intelligence senza intelligenza
Domenica 4 dicembre a pag. 1 e a pag. 10, il quotidiano "La Stampa" pubblica un articolo di Barbara Spinelli intitolato "L’intelligence senza intelligenza". In questo testo troviamo il sacrosanto e legittimo dibattito sull’utilizzo della tortura da parte dell’intelligence. Ma sembra che l’intenzione della giornalista non sia tanto la denuncia dei metodi utilizzati dai servizi segreti, quanto la legittimazione di episodi da lei definiti di "guerriglia" (leggesi terrorismo). Ma procediamo per ordine. Pubblichiamo l’articolo e commentiamo sotto.

Ecco il testo:

Prima di accapigliarsi sull'uso dell'intelligence nella lotta al terrorismo, prima di condannare la distinzione che alcuni magistrati italiani fanno tra terrorismo e guerriglia. Conviene forse guardare da vicino i fatti che abbiamo davanti. Guardare i fatti serve per capire un po' meglio la situazione che viviamo, la guerra che si sta facendo contro il terrore, l'utilità dei mezzi che in questa guerra vengono non sporadicamente ma ormai ripetutamente usati. Tener conto dei fatti impedisce all'opinione di divenire astratta, ideologica, e infine controproducente dal punto di vista pratico. Basate sulla descrizione e l'analisi dei fatti, le opinioni contrastanti non giungeranno certo alla medesima conclusione ma diverranno più solide, più ricche, e di conseguenza più istruttive.

Vediamo dunque i fatti. L'uso dei servizi americani o europei per fronteggiare il terrorismo, su cui oggi si discute non solo in Italia ma nel mondo, non avviene in alternativa alla guerra iniziata da Washington e i suoi alleati dopo l'11 settembre 2001. È un uso che avviene dentro la guerra, che è un suo complemento, e che ha mutato volto nel momento in cui dalla tregua si è passati all'offensiva militare. Ciò di cui si discute non è l'opportunità o meno di ricorrere all'intelligence - e a una cooperazione stretta, riservata, tra occidentali - ma è il metodo che l'intelligence Usa predilige da quattro anni, gli ordini che le sono impartiti dal potere politico, la natura della cooperazione fra occidentali, e gli effetti che tutto ciò ha sulla battaglia antiterrorista e sulla sua efficacia.

L'ordine che l'amministrazione Usa impartì ai servizi era chiaro, fin da quando fu deciso di rispondere al terrorismo con una guerra totale e indefinita. Si trattava di «concentrarsi sulla parte buia del lavoro d'intelligence», disse il vicepresidente Dick Cheney cinque giorni dopo l'attacco alle Torri. Si trattava di rivoluzionare vecchie consuetudini: «Tutto quel che dovete sapere è che esiste un prima 11 settembre e un dopo. Dopo l'11 settembre ci si è tolti i guanti», spiegò il 26 settembre 2002 Kofer Black, ex agente Cia, alla commissione intelligence della Camera e del Senato. Così è nato quel che in America vien chiamato Nuovo Paradigma, nella lotta al terrore. Un paradigma messo a punto dal consigliere legale di Bush, Alberto Gonzales (oggi ministro delle Giustizia) e che contemplava: l'infrazione voluta di convenzioni internazionali che vietano la tortura, il maltrattamento di prigionieri di guerra, il trasferimento di detenuti verso Paesi che non rispettano i diritti dell'uomo e applicano la tortura. I risultati del Nuovo Paradigma sono conosciuti. Nel 2003 scoppia lo scandalo delle torture a Abu Ghraib. Il 14-21 febbraio 2005 il New Yorker rivela l'esistenza di un reticolato mondiale di Abu Ghraib, edificato sulla base di trasferimenti sistematici di sospetti verso Paesi che praticano la tortura: trasferimenti chiamati eufemisticamente «consegne straordinarie» (extraordinary rendition), e che di fatto sono deportazioni. Alle consegne si dà anche un nome imprestato dall'economia: outsourcing, ovvero affidamento in appalto (esternalizzazione) di interrogatori con tortura difficilmente eseguibili in democrazie. In questi giorni infine si è appreso che interrogatori e tortura sono affidati in appalto anche all'Europa: in particolare all'Est dell'Unione, appena uscito dal comunismo. I prigionieri trasferiti sono decine, forse centinaia. I voli degli aerei Cia in Europa sono almeno 300. Lo ha rivelato il 2 novembre il Washington Post, e Human Rights Watch ha specificato che i Paesi potrebbero essere Polonia e Romania. Il nuovo paradigma esisteva anche prima dell'11 settembre, ma dopo divenne routine, burocrazia. È quanto afferma l'ex agente Fbi Dan Coleman, da tempo inviso all'amministrazione Usa perché fautore di interrogatori non brutali e a suo parere più fruttuosi (basati sulla persuasione, sulla creazione di rapporti personali tra interrogato e interrogante). Coleman non è di sinistra, né pacifista. È un uomo di macchina nell'intelligence. Solo dopo l'11 settembre protestò contro l'extraordinary rendition, perché le deportazioni «erano completamente fuori controllo». Disse ancora: «La brutalità non funziona, lo vediamo bene negli interrogatori. A parte il fatto che così facendo perdiamo l'anima». Coleman ha rivelato altri fatti: egli partecipò agli interrogatori di Ibn al-Shaikh al-Libi, addestratore di Al Qaeda arrestato nell'inverno 2001-2002 dai pakistani, consegnato alla Cia, e trasferito per interrogatori-torture in Egitto. Le confessioni strappategli furono alla base delle dichiarazioni di Colin Powell - all'Onu nel febbraio 2003 - che giustificarono la guerra (Saddam avrebbe messo a disposizione di Al Qaeda armi chimiche e biologiche). Le confessioni erano false, come accertato dalla Commissione parlamentare Usa sull'11 settembre.

I Paesi cui vengono dati in appalto gli interrogatori senza guanti sono Stati noti per praticare la tortura e violare i diritti dell'uomo: in prima linea Egitto, Siria, Uzbekistan. E ancora: Giordania, Marocco, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Thailandia. Adesso alla lista s'aggiunge il nostro continente, che di queste usanze s'è forse reso complice - in violazione della Convenzione europea sui diritti dell'uomo - consentendo a trasferimenti e a sequestri illegali di persone sospette sul proprio territorio. Il commissario Frattini, responsabile per libertà, sicurezza e giustizia, ha detto che i Paesi dell'Unione che dovessero aver ricevuto in appalto interrogatori e torture rischiano la perdita dei diritti di voto nei consigli dei ministri, come rischiò a suo tempo l'Austria di Haider. Si vedrà se tale posizione sarà ribadita in occasione della visita in Europa di Condoleezza Rice.

Un altro fatto da tenere a mente è il tipo di tortura, cui si ricorre abitualmente. La più frequente e nuova è il water-boarding o submarino: il sospettato viene legato e immerso nell'acqua fino a sfiorare l'annegamento. Ricorrente è anche l'uso dei cani: un avvocato americano ha dichiarato al New Yorker che Mamdouh Habib, prigioniero australiano di origine egiziana preso in Pakistan e poi trasferito in Egitto, fu minacciato di stupro anale per mezzo dei cani, se non avesse confessato d'appartenere a Al Qaeda. In Uzbekistan è usuale il water-boarding, ma con acqua bollente: la bollitura di una mano o un braccio è abituale, sostiene Craig Murray, ambasciatore britannico in Uzbekistan dimessosi perché inascoltato da Londra. Due prigionieri, così bolliti, sono morti.

Tutti questi detenuti son chiamati prigionieri fantasma, perché sottratti a ogni spazio giuridico. Non hanno diritto all'habeas corpus, il che significa: non possono comparire davanti a una corte per sapere di che sono imputati. Non possono incontrare avvocati, e i familiari non sanno dove siano. Gli agenti della Cia rapiscono infine i sospetti senza badare alla sovranità degli alleati. Si dirà che la cessione parziale di sovranità è necessaria a una cooperazione fra intelligence. Ma la cessione è richiesta solo all'Europa, mentre Washington la rifiuta perentoriamente. È per questo che la cooperazione antiterrorista funziona molto male: essa vede l'Unione europea complice di una strategia che non controlla.

Se questo è l'uso che si fa dell'intelligence, conviene porsi in Europa almeno due questioni. La prima riguarda la cooperazione tra servizi. Essa è indispensabile, in guerra e pace. Ma così come viene praticata è non solo inutile, ma dannosa. Il risentimento viene acuito, negli estremisti violenti. I torturati non dicono verità affidabili, e diventano inoltre del tutto inservibili nei processi per terrorismo che si fanno in Europa e Usa: per questo Washington si rifiuta di cooperare con i magistrati europei che invocano la comparsa in aula dei detenuti, come testimoni. Infine, i sequestri di presunti terroristi nei territori dell'Unione: una pratica deleteria cui ricorre la Cia, visto che i rapiti non vengono consegnati alla giustizia ma a irreperibili spazi di non diritto. È il caso dell'imam di Milano, trasferito e torturato in Egitto. È il caso del tedesco Khaled al Masri: sequestrato dalla Cia, poi trasferito e torturato in una cella afghana. Non fa scandalo che la Cia abbia interrogato il sospetto Daki assieme al pubblico ministero Dambruoso. Fa scandalo che in Italia si collabori col Nuovo Paradigma e con i suoi metodi senza ammetterlo, e senza che il governo dica cosa facciamo in Iraq: se siamo in guerra o in pace, se contrastiamo terroristi o insorti. È gravissimo che Daki sostenga gli insorti iracheni contro gli occupanti, vivendo in Italia e sapendo che ci sono italiani tra gli occupanti. Ma per biasimare le sue parole bisognerebbe non mentire, sulla nostra partecipazione alla guerra.

La seconda questione riguarda l'utilità di questi nuovi paradigmi e gli effetti che possono produrre. Sono effetti che rischiano d'annientare lo scopo che la guerra idealmente e ideologicamente si propone: l'estensione nel mondo di democrazia e diritti. Facendo affidamento su Paesi che praticano la tortura, non s'estende alcunché ma si spinge anzi questi Stati a preservare abitudini brutali rivelatesi così preziose per l'occidente. I mezzi inquinano il fine irrimediabilmente, come già s'è visto in altri totalitarismi. È ormai appurato che il terrorismo si nutre e cresce in concomitanza sia con la guerra in Iraq, sia con i costumi dell'intelligence americana. È chiaro che ambedue complicano la definizione del terrorismo, aprendo spazi a guerriglie che si presentano come battaglie per la liberazione e anche l'onore. È difficile per i magistrati decidere, in simili condizioni. In fondo, giudici come Clementina Forleo hanno come bussola «solo la coscienza e le leggi vigenti», se non vogliono cedere alla politica della paura e a quello che viene chiamato il comune sentire (Alessandro Silj, Corriere della Sera, 4-2-05).

È una strategia non pratica, quella odierna dell'intelligence: non intelligente, tarda di cervello, non è neppure vincente. Non lo dicono solo i pacifisti e parte delle nostre sinistre. Lo dicono democratici vicini alle forze armate come John Murtha, senatori repubblicani come John McCain, e gran parte dell'esercito americano e degli stessi servizi.
La giornalista sottolinea il fatto che l’uso dell’intelligence non avviene in "alternativa" alla guerra ma "dentro la guerra". Come mai ? Sicuramente se per assurda ipotesi gli Stati Uniti d’America avessero deciso di utilizzare solamente l’intelligence come arma contro il terrorismo, e non la destabilizzazione delle dittature e la democrazia tanto contestata dai "pacifisti", il problema di come utilizzare i servizi segreti si sarebbe posto ugualmente.
L’articolo sfrutta poi il tema delle torture vere o presunte (comprese quelle inflitte in Uzbekistan, un paese il cui regime è oggi sostenuto solo dalla Russia) e dei duri interrogatori cui sono sottoposti i sospetti terroristi per giungere a delle assurde conclusioni. Infatti si chiede se stiamo contrastando "terroristi o insorti". E’ curioso vedere che la giornalista risponde con certezza sposando la seconda opzione, senza spiegare minimamente il perché. Nella frase successiva infatti si legge di sostegno agli "insorti", dando per certo che questi personaggi non siano terroristi. Ma perché la giornalista non descrive le azioni che lei considera "di guerriglia" compiuta da questi "insorti"? E soprattutto perché non elenca i nomi, e dice almeno chi ha rivendicato questi episodi da "guerriglia"?
Ad esempio uno degli ultimi attacchi contro i convogli dell’esercito americano è stato rivendicato dall’ "Esercito islamico in Iraq". Si tratta della stessa organizzazione che ha rapito e ucciso il giornalista italiano Enzo Baldoni, oltre a molti altri civili: difficile continuare a chiamarla "gruppo guerrigliero". Per tacere dell’attentato a Falluja organizzato e rivendicato dal gruppo di Al Zarqawi, braccio destro di Bin Laden in Iraq. Il giordano Al Zarqawi, numero due di Al Queda, per la Spinelli diverrebbe un guerrigliero?
Ma la giornalista non si ferma, e si spinge oltre: cerca in qualche modo una giustificazione del terrorismo, sostenendo che la guerra e i "costumi dell’intelligence americana" aumentano gli episodi di terrorismo come se fossero essi stessi la causa e non uan risposta. Inoltre si considera tutto ciò "appurato" e dato per certo senza citare nessuna fonte e nessuno studio al riguardo.
Il tentativo è quello di indurre il lettore a pensare che il terrorista agisce per difesa, e soprattutto, cosa ancora più sconvolgente, per "la liberazione e anche per l’onore". Il concetto di "liberazone" è molto opinabile, perché sappiamo che si tratta di una guerra, quella scatenata dal terrorismo, che ha oggi come principale bersaglio la popolazione civile irachena. Ma ancor più discutibile è il concetto di "onore". Come si fa a considerare i sequestratori e i tagliatori di gole, persone che agiscono per onore? Come si fa a considerare i mandatari dei kamikaze contro civili innocenti delle persone che agiscono per onore?
Ma verso la fine dell’articolo arriviamo all’assurdo. I governi democratici nel loro modo di agire "non intelligente" e "tardo di cervello" fanno crescere e producono il terrorismo, e i terroristi, nel contempo non si devono chiamare tali.
All’inizio l’articolo sembrava voler discutere le varie opzioni per fronteggiare il terrorismo ma se Al Zarqawi diviene un "guerrigliero", se Arafat non è mai stato un terrorista, se Hamas, Al Aqsa e Jihad sono semplicemente "gruppi radicali", chi sono i terroristi oggi?

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