Anna Guaita a ruota libera.
sfottò gratuiti a Bush e scorrettezze nel resoconto delle vicende irachene
Testata:
Data: 05/12/2005
Pagina: 8
Autore: Anna Guaita
Titolo: Il 60% degli americani: via Bush
Anna Guaita è la corrispondente del Messaggero da New York. E' una giornalista assai prolifica e non di rado sforna due, o magari anche tre articoli al giorno; non rinuncia mai a tenerci aggiornati, passo dopo passo, sui sondaggi che attribuiscono a Bush un calo di popolarità presso il pubblico americano. Il fatto è che la Guaita scorge in questo trend negativo un indizio sicuro della fallacia delle politiche presidenziali, sia sul versante interno che, soprattutto, su quello internazionale. Il bello è che non fa nulla per nascondere certe sue idee, ne si da pena di offrirne una giustificazione, ma anzi le sbandiera con resoconti sovente stizziti e canzonatori verso Bush (Giudichino i lettori dall'articolo che segue). Leggendo i pezzi della Guaita si ha l'impressione che il presidente americano sia un specie di semplicione (e qui ritroviamo il fortunato clichè del cowboy), ritrovatosi ad essere l'uomo più potente del mondo quasi per caso, e nella posizione di poter reagire alla minaccia terroristica in conformità alla sua natura, ossia con l'avventurismo scriteriato, rozzo e senza construtto - e quindi destinato al fallimento - di un vaccaro mancato. Ci sarebbe da domandarsi perchè il quotidiano romano, serio ed equilibrato sulla politica interna, la cronaca e quant'altro, scelga di affidarsi per le notizie dall'estero a gente come Salerno (che però ultimamente si è fatto assalire da dubbi), la Guaita ed altri tristi figuri.

Riportiamo il testo dell'articolo, dal MESSAGERO di domenica 4 dicembre 2005:

NEW YORK - Per le elezioni del 2008, il 60 per cento degli americani vorrebbe un presidente «completamente diverso da George Bush». La raggelante bocciatura viene da un sondaggio compiuto dalla rivista Time , in edicola lunedì. Una cattivissima notizia per il presidente, che da una settimana ha lanciato una controffensiva sia sul fronte della guerra in Iraq che sul fronte dell'economia. Ma è come se quest'uomo, che per un paio d'anni è riuscito a ottenere tutto quel che voleva quasi senza dover fare uno sforzo, oggi non riesca a sentire il polso del Paese. Prova ne sia la figuraccia che ha fatto venerdì, quando è comparso tutto frizzante nel giardino della Casa Bianca per un breve discorso sulle rosee condizioni dell'economia, e non ha fatto neanche un minimo commento sulla morte di dieci Marines in un'imboscata a Fallujah. La Casa Bianca è poi corsa ai ripari, e il portavoce ha espresso il dolore del Presidente, e la solidarietà con le famiglie dei caduti. Ma intanto altri quattro soldati erano morti, in una rincorsa funesta contro la quale Bush non sembra avere un piano convincente.
La lista dei caduti ieri si è anche allungata sul fronte iracheno, per l'agguato teso dagli insorti contro una pattuglia di soldati locali. I caduti sono stati quindici, e gli osservatori spiegano che si è trattato di un attacco militarmente ben concertato. Ciò prova quello che gli esperti americani vanno dicendo da tempo: i ribelli diventano sempre più organizzati, disciplinati e spietati. Ora poi che si avvicinano le elezioni parlamentari, scendono in campo non solo con attentati, ma con vere battaglie. Alcune di queste immagini arrivano sui teleschermi americani, e sono terribilmente impressionanti: sono scene di autentica guerra, con i soldati americani che sparano contro nemici vicini, con un'intensità e una violenza che lo spettatore comune ha solo visto nei film. E i volti di questi soldati sono giovani, ragazzi da liceo. I dieci caduti a Fallujah, ha rivelato la Msnbc, erano soldati di 18 e 19 anni, guidati da un tenente di 23.
Che Bush non abbia rivolto loro neanche una breve frase ha dunque colpito negativamente. Anche perché nel frattempo a Camp Lejeune, la base della Carolina del Nord da cui provenivano i caduti, le famiglie ancora aspettavano tremanti di sapere a chi era toccato.
Bush comunque non intende fermarsi sulla strada della controffensiva contro i suoi critici. Mercoledì terrà un altro discorso sulla questione irachena, e ci si aspetta che ne dedichi una parte alle elezioni del 15 dicembre, la più grossa scommessa sulla strada della democratizzazione dell'Iraq. Ma anche su quel fronte ci sono notizie che lo devono innervosire. L'Ayatollah Ali al-Sistani, il più ascoltato leader spirituale sciita, ha ieri ordinato ai fedeli di votare per candidati di provata fede, non per laici. Se gli sciiti gli obbediranno, ci sono forti possibilità che l'Iraq si risvegli il 16 dicembre trasformato in una democrazia islamica, come l'Iran.


Riguardo a ques'ultima frase dell'articolo, vorremmo solo far notare che il monito di al-Sistani a votare per candidati "di provata fede" non può essere considerato un tentativo di promuovere una svolta teocratica, ma si inquadra perfettamente nel tradizionale pensiero del leader sciita, orientato verso la possibilità di una democrazia confessionale islamica in Iraq.
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