Deborah Lipstadt intervistata sul caso Irving
il negazionista arrestato in Austria
Testata: Corriere della Sera
Data: 02/12/2005
Pagina: 57
Autore: Alessio Altichieri
Titolo: Irving? Un bugiardo, ma è ingiusto arrestarlo
Il CORRIERE DELLA SERA di venerdì 2 dicembre 2005 pubblica un 'intervista di Alessio Altichieri alla storica Deborah Lipstadt.
Vincitrice di una causa che lo stesso Irving le aveva intentato, prende posizione contro il suo arresto in Austria.
Una vicenda sulla quale il nostro sito ha preso una posizione diversa, minoritaria, pur riconoscendo la serietà di ragioni come quelle avanzate dalla Lipstadt

Ecco il testo dell'intervista:

LONDRA — «David Irving è un negatore dell'Olocausto, un falsificatore della storia. Un razzista, un antisemita, un bugiardo. Ma non mi fa alcun piacere che sia in prigione. Lo disprezzo, è un uomo orrendo, eppure sono indifferente alla sua sorte: né piacere né dispiacere». Così dice Deborah Lipstadt, la storica americana che cinque anni fa, a Londra, vinse la causa che David Irving le aveva mosso. Allora, la sentenza del giudice Charles Gray cadde sulla reputazione di Irving come una pietra tombale: «È incontrovertibile che sia un negatore dell'Olocausto». Ma ora dalla cella di Vienna, dove aspetta di sapere se sarà processato, Irving dice d'aver cambiato idea, «dopo avere consultato archivi sovietici». Ravvedimento tardivo, che non cambia il quadro, ma può rendere ancora più discutibile un processo per un'opinione rinnegata. Dagli Usa, dove insegna storia ebraica moderna e dell'Olocausto al- l'Emory University di Atlanta, la professoressa Lipstadt risponde ai dubbi sollevati dal caso.
È rimasta sorpresa dall'arresto di Irving?
«Non mi stupisce nulla, in lui. Un giorno dice una cosa, un giorno un'altra. Nel 1983, quando la rivista Stern annunciò d'aver trovato i diari di Hitler, piombò in conferenza stampa, pagato dalla concorrente Bild, a dire che erano falsi. Poi, quando vide che servivano alle sue tesi, sostenne che erano autentici. E con ciò si guadagnò ancora qualche titolo sui giornali. Prima nega le camere a gas, oggi le ammette. L'uomo è così: un bugiardo, come disse il giudice Gray, che scrive intenzionalmente una parodia della storia».
Ma è giusto processarlo per le bugie? È davvero un reato negare che la Shoah sia avvenuta?
«Personalmente, non credo nella legge che fa della negazione dell'Olocausto un reato. Per due ragioni: perché credo nella libertà di parola e perché penso che processi così trasformino i negatori in martiri. Riscuotono solidarietà. S'immolano sull'altare della libertà di parola: anche chi non crede a ciò che dicono pensa che debbano poterlo dire. In più, fa della negazione dell'Olocausto una sorta di "verità proibita": i giovani potrebbero chiedersi perché, se non c'è una legge che vieta di negare la guerra del Vietnam, tanto per fare un esempio, debba essercene una per lo sterminio degli ebrei».
Però la legge, sia in Germania che in Austria, ha anche il compito di ricordare l'enormità di quanto accadde.
«Sì. Spiegate infatti le mie riserve, capisco anche perché nei due Paesi ci sia una legge del genere. In Austria è del '47, mi pare, e non riguarda solo l'Olocausto, ma vieta di minimizzare Hitler e il Terzo Reich. Così come in Germania è vietato esporre la svastica o vendere
Mein Kampf. Non sono posti normali, con una situazione normale».
E l'Olocausto resterà sempre un fatto abnorme della storia?
«Spero che non sia mai trattato come un fatto normale. Bisogna che resti abnorme per evitare nuovi genocidi. L'Olocausto è diverso da altri stermini: non dobbiamo accettare che diventi normale, regolare, con caratteri definiti, se vogliamo evitare che si ripetano altri genocidi, per esempio in Darfur».
Sta forse nei numeri, i sei milioni, la differenza?
«No, lo sterminio per mano dei nazisti è l'unico caso in cui c'è un intero governo, tutto il Paese, dalla polizia alla banca, al postino, dedito ad assassinare un popolo, non solo entro i confini, ma anche fuori. Pensi: nel luglio 1944, già in difesa dopo lo sbarco alleato in Normandia, i tedeschi si spingono fino a Rodi, solo per prendere gli ebrei che vivevano lì da duemila anni. L'unico evento che s'avvicina all'Olocausto è il genocidio turco degli armeni, ma non è la stessa cosa. Se eri un armeno a Berlino, o perfino a Gerusalemme, eri salvo. Gli armeni perseguitati erano quelli che vivevano nel territorio turco».
La Turchia, appunto. Lì, al contrario, è vietato parlare del genocidio armeno. Il grande scrittore Orhan Pamuk rischia il processo, per averlo fatto.
«Se mi è permesso uscire dal mio campo, dico che la Turchia non dovrebbe essere accettata nell'Unione Europea finché non riconosce il genocidio. Quanto a Pamuk, il suo caso è scandaloso: se s'arriverà al processo, entrerò in un comitato a sua difesa, se mi vorrà. Non si può vietare di negare l'Olocausto e allo stesso tempo tacere del genocidio degli armeni».
La professoressa Lipstadt verrà presto in Italia: in aprile terrà un corso all'Università Gregoriana di Roma sulle memorie dell'Olocausto, «compreso il vostro Primo Levi».
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