L'Europa continua a finanziare il terrorismo suicida palestinese
la denuncia dell'ex sottosegretario generale del tesoro Usa
Testata:
Data: 01/12/2005
Pagina: 7
Autore: Anna Momigliano
Titolo: L'europa continua a finanziare Hamas
IL RIFORMISTA pubblica a pagina 7 un'intervista di Anna Momigliano all'ex sottosegretario generale del tesoro Usa ed esperto di riciclaggio e fondi illeciti Jimmy Gurulè.

Ecco il testo:

Jimmy Gurulé si occupa da decenni di riciclaggio di denaro sporco e fondi illeciti.È stato sottosegretario del dipartimento del Tesoro dal 2001 al 2003, dopo avere lavorato per anni nel dipartimento della Giustizia: dall’undici settembre in poi,il suo lavoro si è concentrato sulla lotta ai finanziamenti
di al-Qaeda all’interno degli Stati Uniti e sulla strategia di cooperazione internazionale necessaria a renderla effettiva. Secondo gli esperti, l’attentato
contro le Torri Gemelle è venuto a costare intorno ai 300 mila dollari. Se basta così poco per fare così tanto, forse cercare di combattere al-Qaeda sul piano economico sembra un controsenso. «Se è per questo un attentato suicida che provochi una dozzina di morti costa meno di duemila dollari - racconta Gurulé al Riformista - I fondi a livello operativo,ma diversi milioni di dollari sono necessari per il livello super-operativo ». Ovvero? «Al-Qaeda è una
confederazione che spazia dall’Indonesia alla Cecenia, e ha bisogno di molti soldi per mantenere quel network, perché la fedeltà di vari gruppi locali non
è affatto gratuita. Lo stesso vale per i "porti sicuri":quando è stato espulso dall’Arabia Saudita nel 1991 bin Laden è andato in Sudan, dove il governo lo
ha sostenuto per anni perché lui li finanziava.Poi è andato in Afghanistan dove ha finanziato i talebani, pagando profumatamente per la sua protezione,per non parlare di quello che ha speso per i 20 mila campi d’addestramento. Secondo
le nostre stime solo il 10 per cento dei fondi di al-Qaeda vanno a finanziare direttamente gli attacchi terroristi, il resto è tutto a livello organizzativo.Si sa che bin Laden è probabilmente protetto dai signori della guerra nelle montagne del Pakistan, e che questo gli stia costando molti soldi.
Se noi riuscissimo a tagliare ulteriormente i suoi fondi, si troverà sempre più isolato». Finora che risultati avete ottenuto? «Penso che il risultato più grande sia stato raggiunto sul campo della cooperazione internazionale, per esempio attraverso diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu,la 1373 in particolare. Un altro progresso sono i 408 enti che sono stati messi all’indice dal dipartimento del Tesoro, bloccando 200 milioni di dollari». È relativamente facile convincere un paese a firmare un accordo contro i fondi ai terroristi. Ma finora sono stati solo Azerbaigian e Bosnia, oltre agli Usa, a congelare di fatto i conti della Holy Land Foundation, che sappiamo finanziare Hamas e altri gruppi terroristi minori.«È per questo che dobbiamo continuamente
fare pressione sui paesi e negoziare con loro affinché rimangano vigili. Una delle mie preoccupazioni più grandi a proposito è che il senso d’urgenza che si era percepito dopo l’undici settembre si è fatto da parte,e naturalmente questo falso senso di sicurezza gioca tutto a favore dei terroristi». L’Ue è il principale finanziatore dell’Autorità palestinese. Esiste ancora, come
ai tempi di Arafat, il rischio che i soldi dell’Unione finiscano nelle buste paga dei kamikaze? «Il rischio rimane. Perché molte organizzazioni caritatevoli finanziano non solo direttamente, ma anche indirettamente i terroristi». Ovvero?
«Molte organizzazioni caritatevoli non fanno distinzione tra sostegno ai più deboli e quel genere di aiuti che invece possono aiutare indirettamente il reclutamento dei terroristi, come per esempio il sostentamento delle vedove e dei figli dei bombaroli suicidi. Il che facilita il compito dei reclutatori che possono avvicinare i giovani dicendo che le loro famiglie non avranno di che preoccuparsi. Il punto è che non basta mettere dei nomi di organizzazioni all’indice, servirebbe un sistema che richieda la registrazione di tutte le organizzazioni caritatevoli al dipartimento del Tesoro e che ci permetta di avere un’idea di dove finiscano i soldi raccolti dalle organizzazioni stesse.
Anche, anzi soprattutto, quando questi soldi vanno all’estero.È common sense: serve un controllo migliore sulla distribuzione dei fondi, e oggigiorno non esiste alcun obbligo da parte delle organizzazioni di rendere conto di dove
mandano i soldi». In molti sostengono che la "guerra al terrorismo" rappresenti
una sfida difficile per i sistemi legali dei paesi moderni. «La comunità internazionale deve comprendere che gli Usa sono governati dalla rule of law, e
quindi esiste la percezione che anche i terroristi abbiano diritto a un processo equo e che gli Usa non perdonano trattamenti inumani verso chicchessia. Certo sono stati commessi gravi errori, e tutti condanniamo per esempio quanto successo a Abu Ghraib». Recentemente il Congresso ha
approvato una legge che permette ai detenuti di Guantanamo di avere accesso alle corti Usa in alcuni casi specifici, per esempio quando rischiano una condanna superiore a 10 anni. È un passo avanti? «A essere onesto, non
credo che la natura del tribunale, se si tratti cioè di un tribunale civile sul territorio americano o di un tribunale militare, sia così importante. È molto più importante assicurarsi che i detenuti abbiano accesso a un processo equo e conforme alla legge internazionale ». Ha seguito il recente scandalo sulle prigioni irachene? Un istituto gestito direttamente dal ministero degli Interni di Baghdad è stato accusato di torturare sistematicamente i prigionieri,
ma la vicenda ha avuto molto meno rilievo di Abu Ghraib. «È una dinamica interessante quella dei media su queste due vicende, che suggerisce un doppio standard quando si parla di Usa. Come se la comunità internazionale mantenesse aspettative più alte nei confronti degli States quando si parla di diritti civili, e quando gli Usa non si attengono a questi standard c’è molto criticismo. Possiamo metterci a dire che non è giusto, ma io accetto la sfida e credo che anche gli Usa siano pronti a farlo. Questo certo non condona quello che è accaduto nelle prigioni irachene, ed è imperativo che ci siano delle investigazioni e che i responsabili, se trovati colpevoli, vengano puniti». Cosa ne pensa dell’uso di fosforo bianco in Iraq? «Non posso commentare».
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