I grandi sanno dire: "Ho cambiato idea"
il commento di Fiamma Nirenstein all'alleanza di Shimon Peres con Sharon
Testata: La Stampa
Data: 01/12/2005
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Due grandi vecchi scuotono Israele Peres: «Vado con Arik, vuole la pace»
LA STAMPA di giovedì 1 dicembre 2005 pubblica un articolo di Fiamma Nirenstein che riportiamo:
Dunque Shimon Peres ha saltato ieri il fosso uscendo dal partito laburista da lui fondato sotto forma di Mapai 61 anni fa. Alle otto in punto, insieme al tg, ha annunciato a tutta Israele: «E’ un giorno molto difficile per me, ma dopo essermi interrogato a fondo su chi sia l’uomo migliore per la pace e la sicurezza unita alla sviluppo economico, la risposta che mi è apparsa evidente è: Arik Sharon». Sembra incredibile. A 82 anni, Shimon produce il secondo grande terremoto in pochi giorni, dopo che Sharon ha lasciato il Likud: e la terra d’Israele trema. Si è spostato, dopo Ariel Sharon, l’altro grande pilastro della tradzione politica israeliana. Peres non si unirà al nuovo partito di «Arik», Kadima, né sarà nella sua lista elettorale che, sembra secondo i sondaggi, fra 108 giorni risulterà, proprio come oggi, la prima in assoluto. Il drammatico passaggio prelude tuttavia certamente a un ruolo molto importante, probabilmente di ministro, nel futuro governo Sharon: nel suo discorso, di fatto Peres ha preconizzato tutti i suoi futuri compiti, che gli consegnano una politica sociale spostata a sinistra, compreso lo sviluppo del Negev e della Galilea, e soprattutto la ripresa del processo di pace che, ha detto, «come ho capito dai nostri colloqui, Arik mi ha promesso di riprendere subito dopo le elezioni».
Gli accordi fra Arik e Shimon sono complessi e particolareggiati. Il fatto che i due grandi vecchi siano dalla stessa parte della barricata è una rivoluzione, segna il tramonto delle ideologie nel Paese che è sempre stato fra i più accesi, quello in cui il socialista padre della patria David Ben Gurion sparò con i cannoni alla nave «Altalena» che attraccava carica dei seguaci armati di Jabotinsky, il teorico di destra che non voleva spartire nulla con gli arabi. Quell’epoca è tramontata, gli estremisti sono ormai una minoranza dalle due parti.
Le diversità fra i due oggi appaiono soprattutto metafisiche, di stile, e ancora oggi è difficile immaginarli insieme: Arik ha creato un’immagine di scelta identitaria forte, di interpretazione del compito dell’ebreo moderno come di un individuo nuovo, la cui scelta nazionale vince rispetto ai millenni di storia di oppressione e persecuzioni subite dal suo popolo. Peres, anche se è il padre della bomba atomica e sionista al di sopra di ogni sospetto, pure è affezionato all’immagine letteraria dell’ebreo diasporico, quasi europeo nell’atteggiamento universalistico e pacifista, e fiducioso quanto Sharon è scettico rispetto ai rapporti internazionali. Fra tutti gli israeliani della grande storia sionista, è quello che non è mai stato uomo dell’esercito, che porta meglio la cravatta, e che si aggira a suo agio, fra l’ammirazione generale per il suo Nobel per la Pace; Sharon e il più «sabre» (dal nome del fico d’India con cui viene chiamato chi è nato in Israele), il soldato che indossa durante le feste la camicia bianca aperta sul petto, che considera le istituzioni internazionali con distacco e sospetto, che più del jet set, in cui Peres è molto popolare, ama le mucche del suo ranch.
Il fatto che oggi i due siano insieme è un fenomeno internazionale, una scelta antideologica di azione unitaria senza precedenti, in cui, in sostanza, la battaglia per la pace e la guerra al terrorismo come suo compimento, finalmente si compongono; è una proposta di alleanza inedita valida globalmente, senza retorica, in cui finiscono i sogni e si affronta la dura realtà, di cui anche l’economia, oltre che l’idelogia fanno parte. Peres porterà nella road map il consenso e quindi anche i finanziamenti di molti, industriali e statisti, che credono in lui.
Cosa unisce i due vecchi audaci? Un’ambizione storica: combattere decisamente il terrorismo e tendere la mano per fare la pace con senso di realtà e stando in guardia. Ambedue sono pronti a compromessi territoriali, anche se Sharon con maggiore cautela; tutti e due, ormai alla fine del loro percorso politico, vogliono passare ai libri di storia come pacificatori, e le differenze ideologiche non contano molto, sembrerebbe, di fronte al pericolo gigantesco resosi evidente con la nascita del terrorismo suicida. I due saranno cauti ma coraggiosi: Peres sosterrà dall’esterno Sharon, ma avrà compiti fondamentali nei rapporti internazionali e col mondo arabo e palestinese. Sharon ne ha bisogno, come diplomatico non è molto dotato.
Anche Peres ha bisogno di lui, per avere alle spalle l’unico leader israeliano che può avanzare sulla strada che egli considera sua, quella del tavolo delle trattative. Si porterà dietro chi ancora sospetta di Sharon, smusserà le simpatie filoarabe dell’Europa, riuscirà forse a farle prendere sul serio il pericolo iraniano. Peres mostra autentico coraggio lasciando quello che è stato il suo partito da più di 60 anni mentre sotto le sue finestre sua marciano militanti disperati che lo supplicano «Shimon, resta a casa». Ma è anche oltraggiato dall’atteggiamento scioccamente e noncurante del nuovo leader dei laburisti Amir Peretz. Un sindacalista che forse farà passi importanti per i lavoratori; ma Shimon ha una sola ossessione nella vita, la pace, di cui Peretz non conosce nemmeno l’abc. E non vuole che la pace resti un pio desiderio da iscrivere nell’epitaffio.
Sharon che pure non è certo d’accordo con lui su tante cose, lo ha voluto e corteggiato anche a costo delladisapprovazione della sua destra. Non farà ulteriori concessioni unilaterali. Per Peres è una doppia scommessa. Ieri sembrava emozionato come un ragazzo anche se la sua strada è già stata percorsa dai grandi: Ben Gurion lasciò il Mapai per fondare il suo partito Rafi, Moshe Dayan addirittura dai laburisti passò a Begin. I grandi sanno dire: «Ho cambiato idea».
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