Arafat è nella Storia ? Sì, accanto a criminali e dittatori
diversamente da quanto sostiene Igor Man
Testata: La Stampa
Data: 30/11/2005
Pagina: 17
Autore: Igor Man
Titolo: Nonostante tutto Arafat è nella Storia
SPECCHIO, supplemento setimanale della STAMPA sabato 26 novembre 2005 pubblica a pagina 17 un articolo di Igor Man, "Nonostante tutto Arafat è nella Storia".

Oltre a cercare di attenuare la natura dittatoriale del potere di Arafat asserendo che doveva cercare il consenso dei "suoi" (del suo clan mafioso?) ,oltre a riproporre l'infondata tesi del suo avvelenamento, l'articolo indica un motivo per cui il raìs sarebbe "nella Storia". Perché avrebbe "creato la nazione Palestinese".
Per poi rifiutare per essa a Camp David l'indipendenza, per inseguire il suo unico vero obiettivo: la distruzione di Israele.
Fatto, questo, che Man si guarda bene dal ricordare.
E' interessante notare, però, in che cosa consista secondo lui l'identità nazionale palestinese. Essenzialmente, a quanto risulta dal suo articolo, nel sogno del "ritorno" in "patria" degli "esuli".
Quale patria ? Il futuro Stato palestinese o Israele, come Arafat chiese a Camp David?
Igor Man non scioglie questa ambiguità, ma è certo che per il raìs valeva la seconda ipotesi. Si può allora dire che l'identità nazionale palestinese di cui Man gli attribuisce la "creazione" era, e in parte rimane, fondata sul desiderio di distruggere Israele, sostituendolo con una stato a maggioranza araba e islamica.

Nessun cenno, come ci si poteva aspettare, alle vittime del terrorismo organizzato e incoraggiato da Arafat.

Che, è vero, un posto nella storia ce l'ha. Ma accanto ai dittatori e ai criminali, non certo agli statisti, ai patrioti e agli uomini di pace.

Ecco il testo:

Il mio recente articolo su Arafat (La stampa dell’11 novembre )nel primo anniversario della sua morte oscura, mi ha procurato non poche lettere. Archiviate le immancabili minacce (di morte) risponderò a due argomenti che ricorrono in tutto il corriere. "…distaccato, persino sgradevole il suo "ritratto di Abu Ammar… ma non era suo amico? "dal suo scritto sembra di capire che Arafat abbia fallito in tutto…" Sgradevole perché ho scritto (non senza pietas) che dissenteria e vomito han reso "puzzolente" la fine di Arafat? I fatti sono fatti. Anche Federico II, lui Stupor mundi, ebbe una morte "puzzolente" causa una dissenteria irrefrenabile.
Va detto che non pochi sospettano che Abu Ammar sia stato avvelenato: prima del trasferimento all’ospedale francese (dove morirà) ecco come Arafat si presentava ai medici giordani ed egiziani che l’ebbero in cura "dolori renali diffusi, forti coliche anche intestinali, crollo delle piastrine, inarrestabile perdita di peso, macchie rosse sul volto, pelle gialla". Di più: il professor Ashraf al Kurdi, medico del re di Giordania, suggerisce un’autopsia affinché si accerti, una volta per tutte, se Arafat è morto per cause naturali ovvero sia stato ucciso da un veleno non identificabile (cfr Jeune-Afrique-L’intelligent, 19 novembre)
In quanto all’amicizia… Se già è difficile l’amicizia di due italiani, l’amicizia vera, dico non la frequentazione magari assidua, quella con un arabo è pressoché impossibile. Nemmeno il favoloso (e romantico) Lawrence d’Arabia fu amico, nel senso stretto, del principe Feisal e del leggendario Auda, "bello e crudele". Ho intervistato innumerevoli volte Arafat, ho ascoltato i suoi sfoghi, l’ho visto trascorrere, lui che era piuttosto fumantino, dall’imperiosa arroganza al sorriso (fin troppo) compiacente, insomma l’ho frequentato parecchio, ma francamente l’amicizia non c’entra. Abbiamo parlato (e discusso polemicamente)più volte e a lungo, ma qui finisce.
Certamente la seconda Intifada non ha dato i frutti che Arafat sperava fossero più copiosi di quelli che portò alla causa palestinese la prima sollevazione, ma non mi sembra corretto affermare che Arafat "abbia fallito in tutto". Dobbiamo renderci conto che Arafat "ha creato al nazione palestinese. E’ andato in giro dicendo ai palestinesi della diaspora ch’essi erano sì arabi ma arabi-palestinesi, figli di una patria confiscata, la Palestina – da riconquistare "con tutte le armi possibili: col fucile e il ramo d’ulivo, con l’azione ela politica". Arafat non fu un raìs bensì uno zaim, cioè un capo che non ordina ma concerta con i suoi il da farsi. Ha fatto della causa palestinese la sua unica ragione di vita e, per tanto, ha rifiutato, di integrarsi nel mondo arabo.
Ecco perché, nonostante la lingua, un fondo culturale comune e la retorica del panarabismo, i palestinesi si sono sempre sentiti stranieri a Tunisi, al Cairo. Nel 1964, dopo il primo congresso dell’Olp, i palestinesi, spronati da Arafat, han cominciato a chiamarsi aydun, patrioti espatriati.
Nel segno di un "meccanismo autoprofetico" considerarsi privi della patria garantisce non solo che la speranza del ritorno (auda) non si affievolirà ma che il ritorno (auda) ci sarà.Arafat ha dato ai palestinesi il senso dell’appartenenza, l’ineluttabile certezza del ritorno. In Patria. E tanto dovrebbe bastare a consegnarlo alla storia.
A fianco dell'articolo si trova anche la seguente citazione:
Non fu né Bolivar né Ben Gurion né de Gaulle nèBurghiba ma seppe incarnare il suo popolo e riconoscere il diritto all’esistenza dell’Altro
Jean Lacoutre


Seppe riconoscere il diritto all'esistenza dell'Altro? Rifiutando la pace e l'indipendenza per scatenare un aggressione terroristica senza precedenti? Riversando fiumi di propaganda d'odio sui bambini palestiensi ? Promuvendo le stragi suicide di civili israeliani?

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